Scrivere su Castel del Monte ci porta su un terreno dove autori e studiosi di ogni genere in tanti, tanti volumi hanno esposto studi e teorie sulla storia di quel luogo e di Federico II a cui è indissolubilmente legato. Anche in questo scritto ci rifaremo a nostre presenze e studi sul posto, verso la metà degli anni ‘90, un giorno di novembre in cui eravamo gli unici visitatori e anche lí, come altrove, incontrammo un appassionato studioso del posto, che negli anni aveva dato alle stampe lavori frutto di una seria ricerca scientifico-spirituale; a tutti costoro che ci guidarono, a distanza ormai di decenni, siamo grati.
Entriamo ora nell’argomento senza la pretesa di dare del nuovo ma con la convinzione che questi articoli su “Siti e Miti” siano un invito, a chi specialmente si avvicina da poco ai temi proposti, ad approfondire, recarsi sul posto, non accontentarsi del già dato, già letto e tanto meno accontentarsi dell’ausilio che siti on line possono dare dei luoghi che si vanno trattando, che per essere vissuti e compresi hanno bisogno di un nostro personale impegno e passione; sí, il desiderio di conoscere e incontrare che solo eleva l’uomo.
Castel del Monte compare già a distanza, sull’altura dove sorge, e già il primo impatto ti dice che lí c’è qualcosa di autentico, qualcosa di piú di quello che potrebbe sembrare un castello turrito. Altri monumenti dell’uomo infondono la stessa impressione, ma lí si coglie che vi è rinchiuso qualcosa di piú.
Nonostante il titolo tradizionale di “castello”, in un decreto emanato a Milano in data 5 ottobre del 1240, in cui si fa l’elenco dei castelli compresi nella Terra di Bari, Castel del Monte non compare. Non era considerato castello nel senso proprio del termine, cioè luogo di difesa, destinato a proteggere da attacchi esterni, anche perché mancano tutte quelle strutture usate per ostacolare un attacco offensivo: caditoie, ponte levatoio, il fossato, i merli e le feritoie, e quest’ultime, o quelle che sembrano tali, sono strombate nella parete in senso opposto a quello che si ritrova nei castelli da difesa. Fino ad oggi non si conosce alcun documento storico che possa far luce sulla destinazione d’uso originaria di Castel del Monte e confortare una tesi piuttosto che un’altra, tra tutte quelle ipotizzate per questo edificio.
Esisteva un frammento di copia di una lettera scritta dall’Imperatore Federico II in quel di Gubbio, successivamente andato perduto, che sembra accenni alla costruzione di un castello che doveva realizzarsi nei pressi di “Sancta Maria de Monte”, forse un’abbazia cistercense che sorgeva nelle vicinanze, l’interpretazione del documento rimane però incerta, sicura però la vicinanza del Sovrano all’ordine dei Cistercensi, di cui divenne terziario, e con il loro saio volle esser vestito sul letto di morte.
Solo un uomo soprannominato “Stupor Mundi” poteva rendere concreta un’idea cosí avveniristica: creare il Tempio della “Philosophia Universalis”, poiché di un Tempio si tratta, e non di un Castello, una sorta di sincretismo religioso ai vertici della religiosità. Unificare i popoli della Terra e i loro credi, come la sua corte, cosí eterogenea e cosí compatta, questa era l’idea meravigliosa che intendeva promuovere Federico II.
Ma grande fu l’ostruzionismo dei suoi nemici, e del resto sappiamo dalla Scienza dello Spirito dataci dal Dottor Steiner in quante occasioni della Storia le Forze dell’Ostacolo hanno impedito che si compissero svolte durature di bene, basti ricor- dare la fine dei Catari, dei Templari, il lavoro svolto dai Rosacroce nella clandestinità, la stessa azione del Dottore, che ebbe nemici non solo esterni ma pure interni, l’incendio infine dello stesso Goetheanum.
Federico II muore il 13 dicembre 1250 e i suoi nemici, laici o nel clero, si diedero subito da fare per procedere alla sistematica distruzione di tutto ciò che riguardava Castel del Monte: scritture contabili, disegni progettuali e qualsiasi altro documento che lo riguardava, cosí da oscurare per sempre quel significato di Tempio Universale della pace e dell’arricchimento spirituale, motivo per cui era stato edificato.
Lo “Stato laico” di Federico II è frutto di un equivoco, non innocente, di una maldestra ma anzitutto strumentale manipolazione della Storia. Non c’è una riga, in tutta l’attività di statista e di legislatore di Federico, che contraddica al suo ruolo di sovrano cristiano: le frequenti e anche dure tensioni con il pontefice, se talora lo conducono a scontrarsi con i privilegi del clero, mai lo portano ad abbandonare l’ortodossia cattolica e a venir meno al suo senso del dovere di re cristiano.
Filoeretico, secondo una perfida propaganda guelfa, traditore dell’ideale crociato e filoislamico a detta delle calunnie dei suoi detrattori, egli portò invece correttamente a termine lo scopo vero della crociata che era il controllo e l’accesso ai Luoghi Santi, non certo la lotta contro l’Islam in quanto tale, ed è la missione che pure Francesco d’Assisi porterà a compimento con il Sultano. Vi furono certo ombre sul cammino storico dell’Imperatore come statista e come uomo, ma resta il fatto che “Uomo universale” lo fu solo nella misura in cui seppe interpretare perfettamente il suo tempo. Nel suo Liber Augustalis egli dimostra come suo scopo costante fosse l’equità e sua cura fondante il principio secondo il quale non esiste nessun retto potere che non sia anzitutto servizio.
Lo stesso Dante Alighieri cosí scrive di lui nel De Vulgari Eloquentia: «L’Imperatore Federico, mostrando la nobiltà e la rettitudine del suo animo, fino a quando la sorte lo consentí, si comportò da vero uomo, sdegnando le maniere delle bestie».
E dopo un preambolo doveroso su Federico II, se pur breve e non certo esaustivo sulla sua figura di cui vi sono tra l’altro opere e studi di validi autori, si cercherà di entrare in merito a quello che Castel del Monte vuole esprimere a chi sinceramente e con umiltà di conoscere vi si accosta.
La costruzione principale è formata da due ottagoni concentrici che comprendono otto sale trapezoidali al piano terra e altrettante al primo piano. Su ogni angolo esterno è innestata una torre anch’essa ottagonale e della stessa forma è il cortile centrale interno. L’ottagono, secondo l’interpretazione medievale, rappresenta la posizione intermedia fra il cerchio (Dio) e il quadrato (l’Uomo) e con ciò la figura geometrica di tutto quel che era di pertinenza celeste e trascendente, con la seconda che indicava gli elementi della dimensione terrena; la figura dell’ottagono è quella che unifica entrambe e si pone come simbolo di elevazione.
Il paramento originale delle torri, alte circa 21 metri era, ed in parte è rimasto, in blocchi levigati e sovrapposti senza connettivi, cosí da dare l’impressione di un monolite, è stata usata anche la breccia corallina, un conglomerato naturale, proveniente da cave del posto, i marmi sembrano provenire dal Gargano e dalla Turchia. Bifore, trifore e monofore si aprono sull’esterno, alcune con resti di smalti e mosaici, le vetrate originarie sono andate perdute e le feritoie rimaste sono 116 ma un tempo dovevano essere molte di piú, considerando l’altezza originaria delle torri che era di circa 7 metri superiore all’attuale; alcuni indizi architettonici rimasti fanno ipotizzare, con un certo fondamento, che in alto l’edificio fosse sormontato da una grande cupola poi rovinata.
L’armonia che esprime l’esterno, l’intarsio dei marmi e delle brecce e le forme del gotico nascente inserite in un romanico ormai maturo danno una potente immagine al visitatore. Nonostante sia stato spogliato della gran parte dei marmi, dei capitelli e delle decorazioni, sia stato adibito a ricovero per pastori, greggi e briganti e abbia subito restauri non sempre felici, tanto è ancora ciò che l’insieme riesce a trasmettere. Il maestoso portale è rivolto ad est e le scale d’accesso, restaurate nel 1928, hanno 12 gradini, il triangolo del timpano, che ospitava un tempo un bassorilievo, è decorato con motivi floreali e mensole e vi sono studi attendibili che dimostrano come le misure del portale e il protiro d’ingresso rimandino a conoscenze di astronomia ben precise legate ai Solstizi ed Equinozi e al movimento degli astri. Del resto tutto il Castello si regge su rapporti basati sulla divina proporzione del numero aureo, il Macrocosmo si inserisce in quel Microcosmo e l’Uomo ne è al centro.
Le sale interne, la particolarità delle scale a chiocciola, le porte che collegano le stanze, i decori in pietra, il cortile, dove un tempo esisteva una fontana, il terrazzo, tutto insomma è scrittura da decifrare esotericamente; il profano, il turista frettoloso ben poco vi coglie.
Federico II che aveva, tra altri sommi, anche Michele Scoto alla sua corte, alla domanda di quest’ultimo su cosa ne avrebbe fatto del Castello cosí si sentí rispondere: «Riportare nella pietra il numero aureo, un calendario in cui siano eternati i simboli dei pianeti e delle costellazioni, le ore, i giorni e le stagioni, i rapporti della matematica e i rapporti del potere. Un Castello ma non uno dei tanti, non una macchina da guerra, bensí un concentrato di bellezza e verità; chi vi entrerà dovrà compiere un cammino iniziatico, un percorso obbligato, in spazi definiti e significanti, racchiusi tutti nella quadratura del cerchio. Poiché il cerchio è il simbolo del sé che esprime la totalità della vita spirituale dell’uomo; mentre il quadrato è simbolo della totalità del corpo e della realtà materiale. Il Castello dovrà realizzare l’unione dei contrari, materializzare la perfezione dell’uomo in sintonia con la Natura e col Cosmo, esprimere il vero senso di tutte le cose…».
Questo ed altro fu detto dall’Imperatore, ma la cosa non piacque a chi, in alto nella piramide nera, briga da sempre per ostacolare la crescita spirituale dell’umanità, e le forze dell’Ostacolo, da quel momento, decretarono la fine di Federico II e del suo progetto di unità sociale e religiosa.
Lasciamo alla Storia, quando questa è poi spesso una “favola convenuta”, come la definiva il Dottor Steiner, il compito di scovare documenti, prove e testimonianze, scavare il terreno per ricercare tracce di un passato impossibile a capire per l’uomo di oggi. Rimane il fatto che Federico fu contemporaneo di Francesco d’Assisi, e nel Duomo di questa cittadina fu battezzato ed ebbe a soggiornarvi, fanciullo, nella Rocca, ospite di Corrado di Urslingen. Avranno mai incrociato i loro passi? Non è dato saperlo, rimane il fatto che ognuno di loro segnò quei tempi con la sua missione da compiere, e la compirono.
Davide Testa