Anche questo articolo trae spunto da esperienze fatte anni or sono nei luoghi che andrò a descrivere. Ci muoveva un anelito di ricerca volto a comprendere cosa rappresentassero le vestigia di un passato che millenni or sono ci aveva visti testimoni.
Partiremo da Carnac (Karnag in bretone), nel Morbihan, noto per il complesso megalitico tra i maggiori al mondo: nella località di Mènec vi sono vasti campi di menhir (il cui significato bretone è “pietra lunga”), 1.169, disposti su una decina di file, altri 1.029 a Kermario e 555 a Kerlescan.
Anche i dolmen, per citarne uno, quello denominato “La Table des Marchand” presso Locmariaquer, in cui si è voluto vedere un tipo di sepoltura megalitica, e dove si svolgevano cerimonie funebri di cui si ignora quasi tutto, sono presenti in quell’area.
Sia i menhir che i dolmen vengono datati in un arco di tempo che va dalla fine del V al III millenio a.C., alcuni autori li fanno risalire anche al VI-VII millenio a.C., e in Europa sono entrambi presenti, oltre che in Francia, anche nel Regno Unito, a Malta, in Germania, Spagna e Portogallo. In Italia ve ne sono testimonianze in Sardegna, Sicilia, Puglia e Liguria.
Dei menhir si afferma avessero una funzione e significato religioso, attraverso gli “allineamenti” si era in contatto col volgersi delle stagioni, con i solstizi e il sorgere e calare del sole. Non va dimenticato che per quei tempi tutto l’agire e operare dell’uomo era scandito e guidato dalle Divinità.
Gli antichi Romani riutilizzarono i menhir come punti di riferimento sulle proprie strade, come veri e propri segnali stradali: infatti molti menhir si trovano a ridosso delle antiche strade romane o in prossimità degli incroci.
In era cristiana, per soppiantare i riti pagani, diversi menhir vennero “cristianizzati” scolpendovi motivi religiosi o sormontandoli con croci in ferro: ormai erano solo muti testimoni di un lontano passato di cui la nuova religione nulla comprendeva. Molti vennero abbattuti e usati come materiale da costruzione. Bisognerà attendere il XVIII-XIX secolo per riportarli all’interesse della scienza archeologica che stava allora nascendo.
In origine ai dolmen venne attribuita una funzione d’altare, solo piú tardi se ne comprese l’uso come camere sepolcrali, talvolta con un corridoio d’accesso che può essere in lastre di pietra o muratura a secco.
La camera sepolcrale, di forma variabile (rettangolare, poligonale, ovale o circolare) è talvolta preceduta da un’anticamera. In alcuni dolmen l’entrata possiede una porta tagliata in una o piú lastre verticali. Sia i menhir che i dolmen sono per lo piú in granito, e il tempo ne ha spesso eroso una buona parte; alcuni conservano rilievi scolpiti che raffigurano asce, animali e simboli geometrici, raramente vi sono ancora presenti tracce di dipinti in nero, ocra e rosso, sempre con gli stessi motivi.
In Bretagna molte leggende sono sorte a proposito di questi monumenti, una racconta che nella notte del Solstizio d’Inverno i dolmen si aprano e rivelino i tesori di cui essi sono custodi, viene anche detto che queste strutture sorgano all’incrocio di linee di forza magnetiche, rilevate a quel tempo dai sacerdoti che ne seguivano la costruzione.
Chi erano, chi eravamo quando si innalzavano menhir e dolmen, o veniva posto in essere Stonehenge in uno spazio temporale di millenni? Si usciva da tempi in cui gli unici strumenti di uso quotidiano erano la selce, l’osso, il legno ed ecco che dai Mondi Spirituali (come ci insegna la Scienza dello Spirito), viene data all’uomo la conoscenza della metallurgia, e s’impara l’uso del rame, lo stagno, il bronzo e poi, piú avanti, il ferro. L’argento e l’oro verranno destinati ad oggetti di pregio, per il culto e l’ornamento, si affinano nei secoli le tecniche di fusione dei metalli e questi diverranno oggetto di scambio e commercio, dapprima col baratto poi, in tempi ormai piú vicini, con la monetazione.
Su Stonehenge si sono scritti volumi su volumi, studi di ogni sorta nel tentativo, anche qui parziale, di dare risposta a quale fosse la funzione di quel cerchio di pietre innalzato da popolazioni che all’incirca tremila anni prima della nostra era l’avevano posto in essere. L’ipotesi che questo fosse una sorta di osservatorio astronomico che regolava ed indicava il sorgere e tramontare del sole negli equinozi e nei solstizi e quindi luogo di culto, sembra la piú avvalorata. Di certo esprimeva il sentire religioso e un contatto col divino di quelle antiche genti.
Il complesso di Stonehenge attraversò tempi di ascesa seguiti da declino, sicuramente fu riedificato piú volte, l’ultima pare sia intorno al 1500 a.C. Ciò che oggi rimane non è del resto che un’ombra di quello che appariva al suo apogeo.
Va rimarcato che in quei tempi si assiste alla comparsa in Europa, e non solo, di culture, monumenti, culti e usi sociali molto simili, pur a grandi distanze, prova questa che un’ispirazione dai Mondi Spirituali investe le civiltà, un vero progresso comune.
Di quei lontani millenni le varie discipline della Scienza, la Storia, l’Archeologia, l’Antropologia, la Storia dei miti e delle religioni, hanno tentato di dare nel tempo la spiegazione e il racconto di come l’uomo fosse e come vivesse, di cosa volesse rappresentare con ciò che metteva in atto, fosse un monumento, un tipo di sepoltura, o i manufatti di uso quotidiano. Tutto ciò è lodevole e fa parte dell’anelito umano alla conoscenza, quel che non si considera è però che l’uomo di oggi, o meglio di questo quinto periodo, è molto distante dal poter comprendere ciò che muoveva le civiltà del passato, già quelle del quarto periodo, ed ancor piú quelle del terzo, secondo e primo periodo di civiltà. Solo la possibilità della lettura della Cronaca dell’Akasha potrebbe dar le giuste risposte, intanto ci si accontenterà di quello che la Storia ci può dare, attingendo a ciò che documenti o scavi o monumenti ci portano incontro.
Grazie a Rudolf Steiner e a Massimo Scaligero apprendiamo che una vera storia dell’uomo la si trova praticando la via della Scienza dello Spirito, dove i Maestri hanno dato una messe di informazioni ed indicazioni a chi soltanto le voglia seguire e mettere in pratica.
Davide Testa