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Leonardo «Autoritratto»
Dei tre grandi geni del Rinascimento, Raffaello, Michelangelo e Leonardo, ho sempre subíto il fascino di quest’ultimo, pur apprezzando ovviamente anche gli altri due. Lui fu pittore, scultore, architetto, ingegnere, urbanista, inventore, studioso di anatomia, botanico, astronomo, organizzatore di eventi, trattatista e poeta.
In Leonardo da Vinci (1452-1519) trovo sempre una specie di mistero celato dietro l’apparenza delle sue opere, un mistero analogo, seppur differente, a quello che piú tardi sarebbe apparso nei lavori di Francesco Mazzola detto il Parmigianino (1503-1540).
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«La Gioconda»
È come se i dipinti del Maestro toscano nascondessero dei segreti anche dietro l’apparente semplicità formale di alcune delle sue opere, come ad esempio La Gioconda. Si tratta in fondo di un ritratto, però l’atmosfera che promana da quella piccola tavola con la celebre espressione del volto, la posizione delle mani, la luce soffusa determinata dallo sfumato leonardesco, concorrono a trasmettere allo spettatore una sorta di enigma. Non a caso Leonardo volle tenere con sé quel dipinto fino alla fine dei suoi giorni, avvenuta in Francia nel maniero di Clos Lucé presso Amboise.
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«Dama con l’ermellino»
Ma anche Cecilia Gallerani, la cosiddetta Dama con l’ermellino, che da secoli ormai si fa ammirare per il suo sguardo sfuggente, con quelle dita affusolate che ritroveremo esaltate proprio nel Parmigianino, rappresenta per me un arcano di difficile soluzione.
E come non parlare poi di enigma nelle due versioni della Vergine delle rocce, conservate a Londra ed a Parigi, quasi identiche ma con atmosfere differenti, dove la Madonna, un bellissimo Angelo e i due Bambini (Gesú e san Giovanni, oppure i due Bambini Gesú?) sono protetti da un incredibile ed inquietante paesaggio roccioso. I gesti di queste sacre figure dagli incarnati madreperlacei sono ieratici ed elegantissimi, con l’Angelo della versione del Louvre di Parigi che indica qualcosa, ma cosa?
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«La Vergine delle rocce» di Parigi
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«La Vergine delle rocce» di Londra
Rudolf Steiner scrisse di Leonardo (in I tre grandi del Rinascimento, ed. Antroposofica, O.O. N° 62 e 63): «Giunge al suo tempo con un’anima che in un’esistenza precedente apparteneva agli Iniziati che nel modo antico avevano conquistato i segreti della veggenza cosmica. Quando rinacque nel secolo quindicesimo non poté esprimerlo, perché si possono acquisire in incarnazioni precedenti i segreti universali in modo grandioso secondo come ciò è possibile appunto in quelle incarnazioni, ma come si riesca a portarli a coscienza in una nuova vita dipende dalla corporeità di cui si dispone. Un corpo del secolo quindicesimo non poteva esprimere gli intimi pensieri, le intime sensazioni e le interiori forze formatrici che Leonardo aveva assorbito in precedenti gradi dell’esistenza. Quel che aveva dai tempi antichi agí solo come forza, ma era immerso in un corpo e in un’epoca súbito precedente lo sbocciare della scienza moderna, e si sentiva come rinchiuso. Si avvicinava un tempo, se ne vedeva già l’aurora, in cui si voleva guardare solo con i sensi nel mondo dell’esistenza sensibile, in cui si voleva pensare solo con l’intelletto che è legato al cervello. Leonardo tendeva in ogni campo verso lo Spirito, perché lo aveva portato seco da vite precedenti; in modo grandioso tendeva allo Spirito».
Il genio di Vinci ebbe una vita travagliata, sempre alla ricerca di qualcosa che non riusciva a trovare compiutamente nelle sue opere e nelle varie città in cui si trasferiva.
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«Il Cenacolo»
A Milano eseguí il Cenacolo su una parete del refettorio dei domenicani di S. Maria delle Grazie. È strano che pur essendo l’artista piú interessato agli studi scientifici, in alcuni casi sbagliò la scelta delle tecniche da adottare. Nel dipinto milanese Leonardo non volle utilizzare il vero affresco, che va eseguito sull’intonaco bagnato, poiché quella tecnica non gli permetteva di ritoccare piú volte il dipinto, sfumando i colori come voleva lui. L’affresco infatti richiede rapidità di esecuzione e totale assenza di ripensamenti. Pertanto lui adottò una “semplice” pittura murale che, non penetrando nell’intonaco, rese il dipinto fragile al punto tale che ben presto si deteriorò.
Sempre il Dottore ci dice in merito al Cenacolo, seppur citandolo come affresco per convenzione: «Penetrando nel carattere cosí profondamente misterioso dell’opera leonardesca, quando si cerca di viverne i colori nell’insieme dell’affresco, quando si vive come essi siano suddivisi, come si compenetrino l’un l’altro simili quasi a colori complementari, si può veramente dire che qui i colori sono disposti in modo simile a come succede nei colori complementari; quando si vede il tutto nel suo insieme si ha in realtà luce pura; i colori sono luce pura» (in Storia dell’arte, specchio di impulsi spirituali – I, ed. Antroposofica, O.O. N° 292). Ed aggiunge ancora: «È un’opera che in un certo senso propone l’estratto dell’esistenza della Terra. …Se uno Spirito di Marte scendesse sulla Terra e vedesse tutto senza comprenderne il senso, se lasciasse agire su di sé L’Ultima Cena di Leonardo da Vinci, allora comprenderebbe la specifica missione sulla Terra…» (in L’evoluzione secondo verità, ed. Antroposofica, O.O. N° 132).
Nel caso della Battaglia di Anghiari, eseguita a Palazzo Vecchio di Firenze in competizione con Michelangelo che doveva eseguire la Battaglia di Cascina, scelse di utilizzare l’encausto ove i colori vengono resi brillanti venendo mescolati con la cera. Però alla fine del lavoro, quando fece sollevare i bracieri per sciogliere lo strato superficiale della cera, rendendo cosí iridescenti i colori, il dipinto si liquefece e l’opera venne tragicamente distrutta.
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«Salvator Mundi»
Infine un altro enigma: lo splendido Salvator Mundi, è davvero di Leonardo o “solamente” della sua bottega? Secondo l’amico Pietro Cesare Marani, uno dei massimi studiosi del maestro toscano, d’accordo con altri tre esperti, è opera autentica. Saranno soddisfatti gli acquirenti di Abu Dhabi che l’acquistarono nel 2017 per 450 milioni di dollari… giusto per ricondurre tutto al vile denaro.
Steiner, sempre in I tre grandi del Rinascimento, aggiunse: «Affinché quest’anima, che svolge la sua vita complessiva in molte vite terrene, riesca a manifestare qualcosa all’umanità, nella vita come “Leonardo” dovette sopportare che venisse portata ad espressione solo una minima parte di quanto vi era in lei. Anime come quella di Leonardo sono veri enigmi universali, enigmi della vita».
Carmelo Nino Trovato