Un giorno Massimo Scaligero mi raccontò una storia che narrava del giovane cavaliere Cuordifiamma innamorato della bella, nobile e casta fanciulla Fiordirosa. Per conquistare il suo amore, il giovane, come accadeva in quei tempi lontani, compí imprese eroiche per un anno intero, per poi presentarsi alla porta della sua bella e bussare per ottenere la risposta alla sua richiesta d’amore.
Il cavaliere bussò dunque al grande portone del castello, e Fiordirosa chiese: «Chi bussa alla mia porta?».
Cuordifiamma rispose: «Sono io, sono Cuordifiamma. Per un anno intero ho compiuto gesta di valore per conquistare il tuo amore, dolcissima Fiordirosa!».
La fanciulla ascoltò, ma non aprí la porta del castello, e neppure quella del suo cuore.
Cuordifiamma ripartí, per nulla sconsolato ma sicuro di riuscire a ottenere l’amore per cui avrebbe continuato a lottare. Passò un anno intero, e le sue gesta erano diventate leggendarie. Aveva combattuto contro draghi e fiere pericolose, aveva snidato masnadieri che taglieggiavano società di miti contadini e li aveva cacciati via per far tornare tranquilla la vita dei loro borghi. Ovunque lui arrivasse, il male indietreggiava e il bene rifioriva.
E cosí passò un anno intero. Dopo il quale si ripresentò al portone del castello della sua amata.
Bussò e Fiordirosa chiese «Chi bussa alla mia porta?».
Cuordifiamma ne aveva a quel punto da raccontare! Disse: «Sono io, sono Cuordifiamma. Per un anno intero ho ristabilito il bene dove regnava il male e la sopraffazione, sempre in tuo nome, Fiordirosa, per ottenere il tuo amore!».
Ma la fanciulla, dopo aver ascoltato, non aprí la porta del castello, e neppure quella del suo cuore.
Cuordifiamma ripartí, deciso a conquistare quell’amore che per lui era sacro e al quale aveva deciso di votarsi per l’intera sua vita. Questa volta però non si lanciò in imprese eroiche, ma si diresse verso l’eremo di un asceta, per chiedere un suo parere illuminato.
L’asceta parlò e Cuordifiamma recepí il messaggio. Per un intero anno combatté una diversa battaglia, questa volta dentro di sé invece che intorno a sé nel mondo.
Terminato l’anno Cuordifiamma si diresse nuovamente verso la porta del castello.
E di nuovo Fiordirosa chiese: «Chi bussa alla mia porta?».
Una voce rispose: «Sono te!».
E la porta si aprí.
L’identità fra gli amanti è il segreto del sacro amore. “Sono te” è la risposta che l’amata attendeva, e che ognuno di noi, se sperimenta il sacro amore, attende dall’altro.
Il lavoro interiore che prepara la liberazione del pensiero è quello che permette alla luce del pensiero, una volta liberato, di divenire la veste eterea del sacro amore.
Il fuoco delle passioni deve trasformarsi in potere di puro fuoco dello Spirito. La separazione dei due e la ricerca per arrivare a ritrovarsi passa per la trasformazione degli istinti e giunge alla vittoria sulla tenebra e l’arrivo della luce eterea sulla terra.
Identificarsi nell’altro significa negare l’ego che tende a dominare la propria personalità. Il dono di sé all’altro fa giungere al vero Io, all’Io perenne, spirituale, che è il solo a poter veramente amare.
Scrive Massimo Scaligero in Graal, Saggio sul Mistero del Sacro Amore: «La percezione sovrasensibile dà modo di incontrare nell’altro un essere aureo-adamantino, che è il suo vero essere: l’Io nella sua verste di luce, evidente sino alla forma fluidica corporea: l’essere vero ed eterno dell’altro. Ma questo essere sopramentale, che si vede come se si librasse al di sopra della testa dell’altro, è uno con l’Io di colui che contempla, nella sua veste di luce. Questo Io egli lo realizza in quanto lo vede uno con l’essere metafisico dell’altro. Non v’è possibilità di esperienza dell’Io, se non si giunge a vedere l’essere aureo-adamantino dell’altro, che è la sua realtà, con la quale occorre prendere contatto di continuo, perché l’apparire umano non devii il còmpito del sacro amore.
V’è una sorta di altare sidereo in cui si può contemplare la figura dell’altro nella sua grandezza e nella sua eternità, con una ricchezza infinita di differenziazioni o di gerarchie della luce: quella figura, una volta veduta, diviene il simbolo di continuo evocabile con il sentire superno che solo essa ha potuto suscitare».
Davanti a quell’altare campeggia la coppa del Graal, intagliata nello smeraldo caduto dalla fronte di Lucifero. Essa contiene il sangue del Cristo, sparso dal Redentore per ognuno di noi: il Sang Real, o San Graal, dalla potente virtú reintegratrice.
Marina Sagramora