La dimensione eterica: un sensibile sovrasensibile
Da sempre gli studi sull’elettromagnetismo sono stati al centro dell’attenzione di molti scienziati; già nel VI sec. a.C. Talete di Mileto scoperse che strofinando l’ambra (in greco élektron) con un panno di lana, la pietra acquisiva una strana proprietà di attrarre a sé piccoli pezzi di paglia. Anche se bisogna attendere il XVI secolo e la nascita di William Gilbert il quale, alla corte della Regina Elisabetta I d’Inghilterra, redasse il primo trattato sul magnetismo, il De Magnete.
Con il XIX secolo una nuova rivoluzionaria scoperta si impone all’attenzione dell’umanità intera: la possibilità di produrre l’energia elettrica apre il campo alle applicazioni piú disparate, prime fra le quali la produzione di luce e la trasmissione di segnali elettrici per mezzo di quanto veniva definito “etere”.
È ovvio che una tale scoperta, e tutti i relativi usi ai quali la produzione “artificiale” di una tale energia poteva venire applicata, rivoluzionassero non solo la vita dell’umanità intera, ma cominciassero a donare alle scienze fisiche un profondo alito di misteriosofia, una sorta di coscienza di un quid “invisibile” manifestantesi sotto forma di eventi di ordine “vibrazionale”.
D’altro canto, è già il termine stesso di “energia” a donare a questo campo di ricerca un profumo di trascendente; il termine deriva dal greco «energeia», stante per «forza d’ordine divino capace di trasformare l’ipotetico in realtà», e fu proposto dal fisico inglese Thomas Young nel 1802, al fine di indicare una qualsiasi capacità di una macchina di compiere un lavoro.
Ma andiamo per gradi. Huygens, nel suo Treatise on Light, redatto nel 1678 ma pubblicato nel 1690, in merito ad una teoria di analogia tra luce e suono afferma con grande chiarezza che «È inconcepibile dubitare che la luce consista nel moto di qualche tipo di materia …materia che esiste tra noi ed il corpo luminoso …ma non può esserci alcun trasporto di materia. …Ciò che ci può aiutare a comprendere questo, è propriamente la conoscenza del suono…».
Insomma, già nel XVII secolo gli studi sulla luce, e di conseguenza su tutti i fenomeni di ordine elettromagnetico, ponevano un problema che qualsiasi fanciullo può porsi dinanzi all’affermazione, scientificamente provabile, che il suono non si propaga in assenza di aria, mentre la luce non subisce alterazioni posta alle medesime condizioni. Cosa dunque è in realtà il suono prima ancora della sua propagazione, e quale misteriosa sostanza permette alla luce di propagarsi?
Thomas Young, anch’egli sostenitore dell’analogia fra suono e luce, affermava nel 1802: «Un etere luminifero pervade l’intero Universo, rarefatto ed elastico in notevole misura, in questo etere vengono eccitate delle ondulazioni tutte le volte che un corpo diventa luminoso».
Un passo indietro.
In tempi molto lontani e meno sospetti, un tale Pitagora parlava di qualcosa che egli definiva “Musica delle Sfere”, ovvero un suono primordiale, una Harmonia Mundi al principio della Creazione, un Suono dei Suoni inudibile dall’orecchio umano ma percorrente tutto l’Universo, conservante in Sé tutta la storia dell’Universo e modellante qualsiasi forma di vita…
Ma dunque di cosa realmente parlava Pitagora? Era la sua “Harmonia Mundi” un semplice concetto esprimente la massima concezione Divina ed Unitaria del Cosmo, o una Reale sostanza che il “chiaroveggente” (sarebbe piú corretto peraltro usare il termine “chiaroudiente”) Pitagora era in grado di meta-percepire quale Vibrazione Prima del Cosmo ponentesi a capo di qualsiasi terrestre musica?
Intorno al 1950 Massimo Scaligero, eminente punta della ricerca spirituale in Italia, cosí si esprime, richiamando all’attenzione proprio la Musica delle Sfere di cui appena accennato: «Ogni musica, ogni brano musicale è il lontano ricordo del Suono Celeste, dell’originaria Musica alla quale la terrestre composizione aspira ascendere».
Comincia a chiarirsi qualcosa; quando Huygens affermava di riscontrare un’analogia fra il suono e la luce, di certo si riferiva, dunque, non al suono già entrato in propagazione, e quindi soggetto all’auto-elisione in assenza di mezzo propagatorio, ma al suono come sorgente pulsionale che si trova a capo stesso della sua realizzazione, insomma qualcosa di simile alla luce, con la sola differenza che la luce è ancora visibile e riscontrabile in assenza di aria, mentre quel determinato suono di cui qui si parla risulta, all’orecchio ordinario, inudibile.
A questo punto i calcoli sono facili: se il fanciullo in questione prende per buona l’esistenza dell’Etere quale sostanza impalpabilmente pervadente l’Universo, allora la luce è una delle sue manifestazioni (e non tanto una semplice vibrazione trasmessa per mezzo dell’etere…) ed essa stessa potrebbe essere l’inudibile Suono Cosmico dal quale tutto trae moto!
Chiarisco. Torniamo a Young; nel 1804 afferma di essere «disposto a credere che l’etere luminifero pervade la sostanza di tutti i corpi materiali, con resistenza piccola o nulla, forse liberamente come il vento passa attraverso un boschetto di alberi…».
Insomma, l’etere luminifero è dunque un quid che “pervade” la sostanza materiale, e la sua resistenza nulla lo pone in una dimensione di certo non riscontrabile con qualsiasi mezzo meccanico.
Si pone chiaramente dunque l’errore di interpretazione sulla analogia tra luce e suono; l’aver ritenuto di accostare i due eventi l’uno all’altro ponendoli sul campo ondulatorio, ha inevitabilmente posto le basi di una sconfitta quasi immediata del principio di etere, per il semplice fatto che, in questo modo, si sarebbe sin dal principio esclusa la meta-fisica sostanza del suono indipendente dalla speculazione di ordine vibrazionale, e si sarebbe al contempo affermata la sperimentabilità, dunque, dell’etere come elemento non solo a capo della materia, ma in qualche modo coincidente con i princípi della meccanica oscillatoria!
Piú tardi Lorentz avrebbe preso in considerazione la suddetta questione, affermando la netta distinzione tra la sostanza materiale ponderabile e l’imponderabilità della sostanza eterica, senza, pertanto mettere in dubbio l’esistenza di tale sostanza.
Nel 1878 Maxwell scrive, per conto dell’Enciclopedia Britannica: «Qualunque difficoltà possiamo avere nel formare un’idea consistente della costituzione dell’etere, non vi può essere dubbio che gli spazi interplanetari e interstellari non sono vuoti, ma sono occupati da una sostanza materiale o corpo, che è certamente il piú grande e probabilmente il piú uniforme fra quelli di cui abbiamo qualche conoscenza». Per Maxwell è dunque chiara una cosa: l’etere raggiunge livelli di uniformità che nessun altro elemento conosciuto raggiunge, e a tal proposito azzardo una interpretazione massima dell’idea di Maxwell che è quella di rappresentarsi l’etere come una sostanza dalle caratteristiche di continuità.
Il non aver avuto la calma di affrontare proprio una tale questione, ha portato gli studiosi del secolo XIX ad inoltrare una serie illimitata di esperimenti per la verificabilità dell’esistenza dell’etere luminifero. È a questo proposito che si inserisce il celebre esperimento di Albert Michelson ed Edward Morley.
Nel 1881 Michelson, nelle sue memorie, cosí si esprime: «La teoria ondulatoria della luce assume l’esistenza di un mezzo chiamato etere, le cui vibrazioni producono i fenomeni del calore della luce, e che è supposto riempire tutto lo spazio. Secondo Fresnel, l’etere, che è racchiuso nei mezzi ottici, partecipa al moto di questi mezzi, in misura dipendente dai loro indici di rifrazione. Per l’aria questo moto sarebbe soltanto una piccola frazione di quello dell’aria stessa, e sarà trascurato. Assumendo che l’etere è a riposo, mentre la Terra si muove attraverso esso, il tempo richiesto perché la luce passi da un punto all’altro della superficie della Terra, dipenderebbe dalla direzione in cui viaggia».
Ponendo da parte, per un attimo, la mancata valutazione di un’eventuale proprietà di continuità dell’etere, l’intuizione di Michelson non può non risultare di una genialità eccellente.
Prima da solo, nel 1881, e poi con l’ausilio di Edward Morley, nel 1887, Michelson provvede a progettare un apparecchio di rilevazione detto “interferometro”, il quale (senza addentrarmi nelle davvero complesse spiegazioni tecniche delle modalità di esecuzione dell’esperimento), era progettato in modo tale che per una accurata collocazione di lastre semiargentate e semi-riflettenti, un rilevatore di luce potesse, a eguale distanza dalla fonte di luce, essere in grado di ricevere il fascio luminoso sia nel suo moto diretto che nel suo retroverso.
A questo punto va polemicamente sottolineato che tutti i sostenitori accaniti della non esistenza e dell’inconcepibilità della sostanza eterica hanno sempre affermato che Michelson, con tale esperimento, avrebbe voluto dimostrare l’esistenza della sostanza stessa. Nulla di piú ingannevole. Michelson dichiara apertamente di voler dimostrare lo stato di quiete dell’etere, cosí da poter prendere la medesima sostanza come costante universale per la rilevazione di qualsiasi moto e velocità.
Infatti Michelson prende le mosse da una affermazione di Maxwell, sempre del 1878, il quale in merito allo stato di moto dell’etere dice: «Se fosse possibile determinare la velocità della luce osservando il tempo che impiega per viaggiare tra una stazione e un’altra sulla superficie della Terra, potremmo, confrontando le velocità osservate in direzioni opposte, determinare la velocità dell’etere rispetto a queste stazioni terrestri. Però tutti i metodi con cui è possibile determinare la velocità della luce da esperimenti terrestri dipendono dalla misura del tempo richiesto per il doppio cammino da una stazione all’altra e ritorno, e l’aumento di questo tempo …sarebbe non rilevabile».
Da questa affermazione Michelson si pone nella direzione di evidenziare proprio la differenza di velocità della luce attraverso l’etere, ovvero provare sperimentalmente l’ipotesi dell’etere a riposo.
Ancora una volta, dunque, si conferma che la volontà dello studioso era tutt’altro che provare l’esistenza dell’etere, la quale per nessuna ragione si doveva mettere in dubbio, quanto affermare lo stato di riposo dell’etere.
L’interferometro, senza per nulla addentrarmi nello specifico della descrizione dell’esperimento, avrebbe dunque dovuto rilevare la differenza di velocità della luce nelle due direzioni attraverso lo sfruttamento del fenomeno dell’interferenza, ovvero della sovrapposizione di onde di interferenza che avrebbero proiettato sull’apparecchio rilevatore determinate figure dette “frange”. Visto che il differenziale di velocità presuppone anche un differenziale dell’indice di rifrazione, ovvero della capacità di un fascio luminoso di “rifrangersi” su un oggetto, l’entità delle frange prodotte dall’apparecchio rilevatore sarebbe dovuta cambiare se la velocità della luce fosse stata diversa nelle due direzioni.
Tutto questo non avvenne né nel 1881 né nel 1887, e Michelson e Morley, con un esperimento che avrebbe voluto definire una volta e per tutte la natura dell’etere quale sostanza particellare in quiete, divengono involontariamente gli artefici di un percorso di pensiero che non potrà piú in alcun modo ritenere di poter assumere l’etere quale costante di riferimento universale.
A questo punto sorge un grande equivoco: anzitutto è da considerare che sino a qui si è voluto provare che l’etere è una sostanza particellare, dunque discreta e, seppure per similitudine, ponderabile, quanto qualsiasi sostanza materiale. In conseguenza di ciò, la mancata verificabilità di una tale sostanza quale riferimento assoluto per la speculazione scientifica ha determinato, nell’immediato, un cambio di registro nei confronti di tale principio.
È a questo proposito che devo operare un salto temporale di almeno mezzo secolo e piú, fino alla metà del secolo XX, dove un certo tipo di scientismo ha cominciato a riportare alla luce il problema, liquidando definitivamente la questione dell’etere definendola una inconsistente invenzione della necessità metafisica umana, per nulla dimostrabile e del tutto inutilmente ipotizzabile.
Eppure contemporanei o immediati predecessori di esponenti di tale scientismo, che in ultima analisi cominciava a mettere la scienza ordinaria al servizio del controllo sociale e della morte di qualsiasi possibilità dell’Uomo di poter anche solo supporre una dimensione trascendente, erano uomini di alto valore, quali Nikola Tesla nei primi decenni del secolo e Nikolai Kozyrev piú tardi, i quali avrebbero genialmente dimostrato, per esclusione, l’esistenza di una meta-sostanza eterica, fonte di inesauribile energia radiante.
È doveroso, prima di andare avanti su questa linea, fare ancora un passo indietro per porre l’attenzione su una questione estremamente delicata nella storia dell’etere e della fisica in genere: la teoria della Relatività di Albert Einstein.
La mancata soluzione dei problemi riferentisi alla ricerca di un sistema assoluto di riferimento, ha inevitabilmente guidato il pensiero scientifico verso quanto viene propriamente affermato dalla teoria ristretta e generale sulla relatività, elaborata in ultima analisi da Einstein.
Posto che un osservatore in bicicletta e un secondo osservatore in automobile percorrenti la medesima strada alle rispettive velocità ipotetiche di 30 Km/h e di 100 Km/h registrano la velocità di un treno percorrente una linea vettoriale parallela, il risultato delle rilevazioni sarà ovviamente diverso. Questo semplice dato di fatto può essere potenziato sino alle massime velocità conosciute e, se pur difficoltosamente, pensabili dalla mente umana: la velocità della luce.
Le rilevazioni della velocità della luce, cominciate già nei secoli precedenti, attestano nei primi anni del XX secolo tale dato sul valore di 300.000 Km al secondo; nella teoria della relatività ristretta solo la velocità della luce ha un valore di riferimento assoluto, al contrario del tempo e dello spazio che diventano relativi.
Per l’osservatore fisico il poter dunque, se anche di poco, raggiungere i limiti della velocità della luce, significherebbe rilevare una contrazione di tempo e di spazio rispetto al punto di riferimento; per tale ragione se due esseri nati lo stesso giorno dei quali l’uno restasse sulla terra e l’altro viaggiasse ad elevatissime velocità nello spazio si incontrassero sulla terra dopo 20 anni verificherebbero l’evidente rallentamento dell’invecchiamento fisico del secondo rispetto al primo.
Questo perché rispetto alla velocità della luce tutto diviene relativo; è come se i nostri stessi corpi fossero ammassi di luce “rallentata”, in modo tale da acquisire consistenza e grandezza.
A tal proposito infatti un sapiente studioso, Riccardo Pieracci, interpreta in questa linea il concetto di materia come “energia cinetica condensata” ovvero radiazione rallentata e condensata. Proprio partendo da questa interpretazione, e posto dunque che un corpo per la teoria della relatività se raggiungesse la velocità della luce non avrebbe lunghezza alcuna nel senso del moto, il sapiente Pieracci, nel suo testo Illusione e Realtà, pone il seguente quesito tanto geniale quanto scomodo: «Su cosa si fonda dunque la tanto diffusa convinzione scientifica dell’oggettività di un corpo, quando ormai si sa che quando questo oggetto fosse sottoposto a variazioni di velocità si contrarrebbe fino a vanificarsi se raggiungesse la velocità della luce?».
Insomma, Pieracci ipotizza che la Materia sia di per sé condensata solo perché l’energia cinetica del moto degli elettroni, cosí come le pale in movimento di un ventilatore, sembrano dar vita ad un disco compatto, conferisce agli elettroni stessi una sorta di onnipresenza spaziale, velocità senza la quale l’universo fisico si ridurrebbe a ciò che, per dirla con Pietro Ubaldi, scienziato filosofo del nostro scorso secolo, realmente è: «Un po’ di nebbia, di polvere impalpabile…».
L’etere, invece di trovare in questi anni la sua morte, ritrova invece il suo piú alto e nobile significato e, lungi dal perdere di significato, si rinnova profondamente, e restituisce all’etere il carattere di trascendenza, liberandola per sempre, piuttosto, dall’errata ed ingenua definizione di sostanza particellare!
Molto scomoda, anzi troppo, questa intuizione; una tale teoria avrebbe per sempre dichiarato agli occhi delle genti l’esistenza reale di qualcosa che avrebbe a che fare con l’Anti-Materia, ovvero con un principio uguale e contrapposto alla condensazione dell’Energia, e tale sarebbe esattamente la dimensione nella quale trapasserebbe un qualsiasi oggetto se raggiungesse la velocità della Luce. Per facilitare la comprensione di tale pensiero basta un semplice esempio, ma anzitutto è necessario porre una base speculativa: la Realtà nella quale l’uomo percepisce il fenomeno è esclusivamente una realtà discreta, quindi la massa è Energia condensata e, infine, la Materia è costituita di punti.
Il senso fisico dunque, ragionando per eccesso, opera in una Realtà che è costituita a scatti, a momenti costitutivi; ma chi mai almeno una volta nella vita non si è posto il problema di cosa risiedesse tra l’uno e l’altro di tali punti? Una retta è divisibile all’infinito, ma sempre in punti; la realtà sensibile non ha, dunque, nulla a che vedere con una realtà continua, ipotizzabile solo da alcune categorie matematiche.
Per dirla con un pensatore napoletano, Luciano Luisi: «Nello spazio senza tempo compreso tra gli attimi che formano la costellazione dei nostri minuti …esiste una vita reale …vissuta da un essere …che rappresenta il nostro vero Io». Ebbene , è proprio tra gli infiniti punti del fenomeno manifestantesi al nostro senso che si svolge una Realtà uguale e contrapposta, una Realtà che rappresenta quanto di piú simile al concetto di Anti-materia, ovvero qualcosa che, alle spalle della evidente condensazione materica, ne rappresenta il principio opposto e della quale necessita per un “corretto funzionamento”.
L’esempio di cui pocanzi parlavo potrebbe dunque essere il seguente; in una visione macrocosmica della realtà possiamo ampiamente affermare, posta l’equivalenza energia-massa, che come nell’atomo l’elemento positivo presuppone l’elemento negativo per un corretto moto, cosí nella realtà fenomenica un dato fenomeno dovrebbe presupporre una sorta di “anti-fenomeno”, in modo da rispondere con assoluta perfezione alle leggi del “movimento”.
Poniamo dunque dinanzi a noi una ipotetica scena di un film dove un personaggio particolarmente evoluto e coraggioso decide di sperimentare l’esperienza di infondersi in uno specchio che, postogli dinanzi, ne riflette l’immagine.
Il nostro personaggio resta fermo dinanzi allo specchio speculando sulla sua immagine riflessa, e dopo avere per alcuni attimi sostato sul pensiero di osservare il suo “negativo”, si forma in lui una coscienza lucida ed immediata che ciò che si pone alla sua attenzione non rappresenta affatto il suo Reale opposto, ma solo un retroverso dell’immagine condensata; accade dunque che il nostro personaggio afferri con coraggio la decisione di penetrare lo specchio ed unirsi alla sua immagine riflessa.
Se tutto questo fosse sperimentabile, potremmo farci raccontare dal nostro di quanto egli abbia osservato al di là della realtà immanente ricordando, però, che il personaggio in questione non ha trasceso tale realtà con la morte od altro, ma, elemento fondamentale, con la lucida Volontà di penetrare nel retroverso della Realtà immanente. Anzitutto egli perderebbe la massa nel senso della condensazione, e comincerebbe a sperimentare una forma del tutto sconosciuta sino ad allora della sua Realtà, una forma che, pur mantenendo le vaghe fattezze del suo essere fisico, per nulla corrisponderebbe alla sua immagine sensibile.
Una tale figura potrebbe essere agevolmente definita una sorta di retro-figura di energia non condensata, atta a plasmare la forma fisica stessa secondo i dettami della condensazione. Un tale concetto è chiaramente esposto, per esempio, da Rudolf Steiner in una conferenza del 10 ottobre 1911 (O.O. N° 131). Parlando di quanto viene definito fantòma, Steiner afferma che «…le sostanze e forze fisiche, deposte con il corpo fisico [con la morte], non sono l’intero corpo fisico, anzi non darebbero neppure l’intera figura del corpo fisico. A queste sostanze e forze si aggiunge anche qualcos’altro a cui, se vogliamo parlarne giustamente, dobbiamo dare il nome di fantòma umano. È la figura della forma umana che, come un tessuto spirituale, elabora le sostanze e le forze fisiche in modo che si inseriscano nella forma che ci si presenta sul piano fisico. Come lo scultore non crea una statua, se prende del marmo e vi picchia sopra disordinatamente facendone saltare via delle schegge, ma occorre che abbia il pensiero che poi imprime nella sostanza, cosí anche per il corpo umano è presente il pensiero; poiché poi il materiale del corpo umano non è né marmo né gesso, il pensiero non deve essere come quello dell’artista, ma deve esistere come pensiero reale nel mondo esteriore, come fantòma».
Quanto viene definito dunque da Rudolf Steiner come fantoma è esattamente ciò che il nostro personaggio proverebbe essere, se coraggiosamente attraversasse l’immagine di Sé; egli continuerebbe ad essere Sé, ma ad un grado di spazialità infinito, ove non regnano piú i limiti della realtà discreta, egli sarebbe, dunque, in una realtà continua, e pertanto, paradossalmente, piú reale di quella reale! L’Energia di tale dimensione non sarà pertanto mai soggetta a condensazione, perché essa stessa è all’origine del fenomeno di condensazione. In poche parole stiamo trattando di una sostanza che è rispondente al principio dell’Anti-Materia, stiamo parlando di quanto ipotizza, per esclusione, la teoria della Relatività per quanto riguarda l’etere.
Ma allora, ci si potrebbe chiedere, se potessimo sfruttare la dimensione dell’Anti-Materia, avremmo a disposizione una fonte di Energia illimitata, senza necessità di produzione alcuna, perché la fusione stessa di Materia ed Anti-Materia darebbe vita a un impulso energetico pari a quello della Creazione stessa?
L’aver individuato una simile idea è stato l’evento che ha decretato la condanna definitiva del concetto di etere; l’etere è scomodo, l’etere non può per nessuna ragione essere compatibile con il principio del capitale, della produzione e della distribuzione.
L’etere è la porta della Libertà di Pensiero, dell’autonomia umana, della percezione di una Realtà non piú limitata allo spazio e al tempo in quanto coordinate primarie di valutazione, ma espansa al principio della continuità. A morte l’Etere!
Al caso si inserisce una figura che nel 1881, mentre Michelson sperimentava il fallimento del suo progetto, progettava uno strumento capace di produrre la corrente alternata, forma di energia oggi indispensabile per la fornitura di corrente elettrica.
Nikola Tesla, scienziato (ma sarebbe proprio il caso di definirlo un meta-scienziato) serbo-croato, nato nella seconda metà del secolo XIX, proprio nel 1881 comincia a elaborare un concetto che in seguito sarà il fondamento di geniali ricerche sulla natura motoria dei campi elettromagnetici: il principio della rotazione di un campo elettromagnetico.
La propagazione lineare e ondulatoria di tali campi era stata già per lungo tempo elaborata e speculata, ma lo sfruttamento del principio di rotazione diede vita, nel 1883, al primo generatore di corrente alternata, ad opera proprio di Nikola Tesla.
Il nostro scienziato era dotato sin da ragazzino di proprietà alquanto particolari; sia nella sua autobiografia che in testimonianze si narra della facoltà di Tesla di “vedere” forme ed oggetti al di là della sfera sensibile, quasi come se i lampi di luce che egli dichiara interferirsi tra lui stesso e la visione di oggetti sensibili rischiarassero una dimensione stessa degli oggetti non visibile all’occhio ordinario.
È evidente che una tale facoltà si riferisce a quanto viene comunemente definita “chiaroveggenza”, la quale, peraltro, altro non è che una nobile capacità di penetrare con la coscienza proprio nella dimensione “continua”, “anti-materica” o, in ultima analisi, “eterica” di cui prima si parlava. Tesla stesso, inoltre, dichiara di provare da sempre qualcosa che, nella presupposizione dell’esistenza di una realtà eterica, è assolutamente riscontrabile: la formazione di forme vere e proprie a seguito dell’evocazione di un pensiero. Le Forme-Pensiero sono le entità piú “visibili” della dimensione eterica, formantesi con Energia Anti-Materica a seguito di un qualsivoglia pensiero o emozione.
Non è difficile dunque pensare che Tesla avesse una particolare predisposizione alla percezione di una tale meta-realtà, tanto che di lui si narra sempre avesse fatto in ogni momento a meno di appunti e studi, in quanto l’invenzione da lui intuita gli si presentava ad un occhio interiore con tale chiarezza da permettergli di ridurre al minimo i tentativi di costruzione. Tale è stato sempre il metodo di lavoro di Tesla: definire le modifiche da apportare ai progetti in fase di sviluppo senza bisogno di dover ricorre a disegni, schemi, progetti, ma dando fondo al solo lavoro della capacità “immaginativa” intesa nel senso della piú lucida visione di una qualsiasi entità non ancora formatasi in materia ma già reale ed esistente nel mondo della forma.
Se dovessimo ricorrere alla nostra scena del film, Tesla aveva la facoltà oltrepassare lo specchio dei fenomeni sensibili (e tanto un tale concetto ci ricorda Platone) con agevolezza e leggerezza.
Tra le decine di brevetti di fondamentale importanza depositati da Tesla, restano perlopiú dimenticate due scoperte che, proprio per la loro rivoluzionaria natura, hanno avuto breve vita e, in seguito, pochi scienziati hanno ereditato, uno fra i quali è Nykolaji Kozyrev: anzitutto l’energia elettrica è distribuibile senza alcun bisogno di cablatura, essa può essere trasmessa e ricevuta sfruttando proprio quanto di piú misterioso da sempre era chiamato etere, e per di piú proprio l’etere (o dimensione Anti-Materica, o dimensione energetica continua) è «…una misteriosa fonte di energia gratuita, illimitata e capace di trasmettere qualsiasi altra forma di energia…».
Pericolosa , questa affermazione.
L’etere veniva definito da Tesla una meta-sostanza inconoscibile agli strumenti meccanici (la quale esistenza, dunque, era ponderabile solo per esclusione) che avrebbe potuto dunque fornire e distribuire una illimitata fonte di energia convertibile, l’unica questione da risolvere era progettare una sorta di “ricevitore” capace di assorbire le misteriose radiazioni provenienti dalla sfera eterica.
Già da anni Tesla aveva progettato una torre alta circa 80 metri a forma di fungo, la quale, dotata al suo interno di bobine, trasformatori ed amplificatori valvolari, era in grado di emettere grandi quantità di energia elettrica radiante proprio attraverso l’etere, e da un tale esperimento egli comprese che proprio l’illimitata capacità dell’etere di trasportare energie di vario tipo poteva essere non difficilmente convertita in capacità di ricevere l’energia stessa dall’etere.
Nel 1931 vede i natali una questione poco conosciuta nella storia dell’automobilismo: l’affare Pierce-Arrow. Ospite d’onore della ricerca di Tesla è il componente fulcro di tutta la storia della ricerca sulla conduzione e produzione di energia elettrica: la valvola termoionica.
Nei primi anni del XX secolo compare la prima tipologia di valvola, il diodo, e già da allora questo componente assume delle caratteristiche che, per quanto fosse un oggetto di natura artificiale, donava al suo funzionamento un che di vitale; il calore e la capacità di emettere suoni, capacità peraltro sfruttata per la nascita di strumenti musicali elettronici quali il Theremin e le Onde Martenot nell’interazione con la vicinanza del corpo umano.
Nel nostro discorso sull’etere potremmo brevemente affermare che per i suoi principali elementi caratterizzanti la valvola è stata la prima forma di invenzione umana ad assumere in sé qualcosa di umano, anzi, per dirla con Nietzsche, di superumano: generare potenza e calore sfruttando zone dell’elettromagnetismo o poco conosciute, quali possono essere le caratteristiche dell’etere.
Non dimentichiamo, inoltre, che nella storia delle apparecchiature valvolari (con buona pace di racconti fantastici) non è raro trovare testimonianze e registrazioni di misteriose voci captate dalle valvole stesse (metafonia) intromettentesi nel circuito di amplificazione!
La valvola, dunque, non poteva non rappresentare la chiave di volta del lavoro di Tesla il quale, nel 1930, coinvolse un suo ipotetico nipote, Peter Savo, per il collaudo di un’automobile a motore elettrico che, a sua detta, avrebbe mostrato qualcosa di stupefacente.
Petar Savo era stato nell’esercito austriaco ed era un esperto pilota; intervistato nel 1967, raccontò l’episodio dell’auto elettrica che collaudò per conto di Tesla. La Westinghouse Electric e la Pierce-Arrow avevano preparato un’auto sperimentale seguendo le indicazioni di Tesla, con finanziamenti della Studebacker Corporation. Aveva un motore elettrico a corrente che poteva raggiungere 1.800 giri al minuto, senza spazzole, raffreddato da una ventola frontale e due terminali di alimentazione sotto il cruscotto.
Savo racconta che Tesla sollevò il cofano, fece qualche regolazione, posizionò 12 valvole termoioniche in un dispositivo all’interno di una scatola di circa sessanta centimetri per trenta e alta quindici. Poi eseguí la connessione al motore. L’auto percorse circa 80 chilometri attorno a Buffalo, raggiungendo i 145 km/h in perfetto silenzio. A detta di Tesla il dispositivo che alimentava l’auto era in grado di alimentarlo per sempre e soddisfare il fabbisogno energetico di un’abitazione. L’inventore affermò che sfruttava una misteriosa radiazione proveniente dall’etere, disponibile in quantità illimitata. L’auto aveva una batteria ricaricata da un’antenna che entrava in sintonia con la risonanza di Schumann intorno ai 7,83 Hz. Una valigia come quelle dei ricevitori a bassa frequenza rimodulava la corrente alternata del campo magnetico terrestre in corrente continua necessaria alla batteria fornendo una quantità illimitata di energia.
Considerando tutto questo, non possiamo fare a meno di pensare che la grande torre progettata dallo stesso Tesla potesse assumere la funzione di quella valigetta, assorbendo dalla Terra energia elettrica per distribuirla senza l’uso di fili, sfruttando proprio la risonanza di Schumann sulle frequenze di 30 Hz riscontrata nella costruzione. Gli esperimenti durarono una settimana, l’auto percorse vari tipi di strade alla velocità di 150 chilometri orari, dopodiché venne consegnata in tutta segretezza in una fattoria vicina a Buffalo e Tesla si portò via il suo dispositivo. Nel 1933, per problemi amministrativi, la Pierce-Arrow venne liquidata e la storia si ferma qui.
Nel New York Daily News del 2 aprile 1934 un articolo intitolato “Il sogno di Tesla di un’energia senza fili vicino alla realtà”, si parlava di un «esperimento programmato per spingere un’automobile utilizzando la trasmissione senza fili di energia elettrica». Nello stesso periodo la Westinghouse Corporation pagò per la sistemazione di Tesla al “New Yorker Hotel” di New York, dove visse per tutto il resto della sua vita.
Quale sia la posizione che si voglia assumere dinanzi ai fatti qui sopra riportati, sia dunque essa di fiducia o meno, posso comunque azzardare che una qualunque mente in grado di non escludere un che di metafisico dalla speculazione di fenomeni sensibili, sarebbe agevolmente capace di concepire la possibilità di poter “ricevere” l’energia, la quale, e qui arriviamo ad un punto cruciale, non è “prodotta” da generatori a moto rotatorio, ma semplicemente “ricevuta nel suo moto torsionale” e trasformata.
Ed è proprio a proposito del principio di “torsione” che introduco l’argomento finale al sostegno dell’etere, con Nykolai Kozyrev, astrofisico di origine russa nato nel 1908.
Dal principio di curvatura di spazio e tempo e dall’osservazione effettuata nell’800 da Louis Pasteur sulla intrinseca non simmetria del blocco di vita in formazione, noto come “protoplasma”, Kozyrev, durante le osservazioni effettuate nel periodo di prigionia nel 1936, ebbe modo di ritenere e dedurre che tutte le forme di vita dovessero essere composte da una forma di energia invisibile spiraliforme in aggiunta alle loro normali proprietà di ottenimento dell’energia per mezzo di cibo, respirazione e fotosintesi.
Di conseguenza, secondo Kozyrev, se esiste una particolare proprietà di moto energetico spiraliforme nella formazione di determinati organi (ad esempio il cuore) deve esistere, in qualche parte dello spazio-tempo, un’area in cui il flusso di energia produca spirali in direzione opposta.
Insomma, vi è un moto, di conseguenza, che trascende la linearità, ed ha come principale caratteristica la direzionalità spiraliforme, la quale si manifesta in una direzione nella condensazione materica e si presuppone essere di direzione opposta nella dimensione anti-materica. Come Tesla, anche Kozyrev manifesta, dai suoi primi approcci alla ricerca, una tendenza alla «chiarovisibilità» dei fenomeni, ove per chiarovisibile si intenda una particolare proprietà di meta-percepire con coscienza i retro-fenomeni di un evento non visibili ai sensi ordinari.
Scampato dalla prigionia nel 1948, Kozyrev comincia a dedicarsi ad approfondimenti sulla fisica esoterica, al fine di trovare conferme ponderabili di quanto da lui stesso sperimentato nel percorso di evoluzione spirituale della conoscenza di mondi superiori al quale, con tutta probabilità, pare che le stesse opere di Rudolf Steiner abbiano partecipato.
Kozyrev comincia con l’affermare che i modelli di energia a spirale rappresentano la vera e propria natura e manifestazione del tempo. Il “tempo” deve essere qualcosa di piú di un semplice calcolo di durata, il tempo deve avere una causa prima, e tale causa può essere agevolmente ritrovata nel movimento a spirale.
Il movimento spiraliforme presuppone che mai nulla possa essere uguale a se stesso, ma nemmeno che un punto trovantesi in un momento corrispondente al suo simile della spirale precedente possa essere del tutto dissimile, e se a questo aggiungiamo la capacità di aggiungere un secondo moto spiraliforme di direzione opposta, troviamo espresso in una forma-pensiero perfetta il principio di evoluzione temporale. Tutti i punti di tale moto spiraliforme sono dunque dipendenti l’uno dall’altro, d’altro canto il tempo è moto. A questo punto potremmo con grande serenità affermare che la motivazione per la quale un ipotetico albero caduto qualche minuto fa nelle campagne del tavoliere delle Puglie si proietti ben aldilà del vento che, movendosi, lo ha abbattuto, porti addirittura a trovare una connessione con fenomeni svolgentesi a migliaia di chilometri.
Insomma, il principio che cominciava a far capolino con ricerche di tale genere era la compiutezza perfetta ed autonoma del cosmo, compiutezza estrinsecantesi attraverso moti non visibili ai normali apparecchi meccanici perché attivantisi in zone meta-particellari. Kozyrev non esita dunque a riconoscere in queste zone l’etere stesso, e a definire tali moti quali campi torsionali.
Nel 1913, il fisico Élie Cartan dimostrò che per effetto della “curvatura” generale del cosmo energetico – il quale non possedendo il “tempo”, ovvero la successione sequenziale di momenti e quindi la linearità, è soggetto a inevitabile curvatura di ordine spiraliforme – la gravità possiede «in se stessa anche un movimento di rotazione, o spiraliforme, conosciuto come “torsione”».
D’altro canto una tale teoria porta buona parte degli astrofisici odierni a considerare la possibilità di una generale rotazione destrorsa dello spazio che circonda la Terra e probabilmente dell’intera galassia.
Il campo torsionale di Kozyrev è dunque una iper-energia spiraliforme di ordine cosmico che si muove a velocità addirittura superluminale e che permea qualsiasi forma di condensazione materica (oltre che essere il principio della condensazione stessa!) donando, per il principio della curvatura, la qualità della gravità.
La forza gravitazionale e i campi elettromagnetici non sono quindi altro che differenti forme di etere in movimento; ogni molecola di un intero corpo planetario per tale ragione deve essere sostenuta da un continuo flusso interno eterico, e per essere soggetta a movimenti superluminali, il flusso eterico deve necessariamente essere qualcosa che oltrepassi il principio del discreto.
Il fatto che i nostri corpi non possano in nessun modo spostarsi tra le masse solide, non vuol dire che non sia possibile invece per il fluido eterico, il quale, movendosi a velocità superluminale fra le masse, rende alle masse stesse il principio dell’unità.
Kozyrev non si ferma alla semplice supposizione di un tale flusso; quanto viene da lui stesso definito il “flusso del tempo”, ovvero l’insieme delle probabilità che un evento accada non solo per la sua causa immediata ma per la totalità dei movimenti ad esso precedenti, potrà essere rilevato con una particolare bilancia definita “bilancia di torsione”, la quale consta di un meccanismo, leggerissimo, a due bracci, sospeso ad un sottile filo e montato in atmosfera di vacuum. Per un abile gioco di tensioni, e grazie ad un meccanismo di attivazione elettromagnetica posto al capo del filo, la bilancia è particolarmente sensibile a qualsiasi campo di movimento spiraliforme. Uno dei tanti esperimenti consisteva nel fare innalzare ed abbassare a distanza di 23 metri e schermato da un muro (nonché da una calotta di rete metallica per evitare qualsiasi influenza di campi magnetici) un peso di 10 Kg; questo semplice movimento esercitava una pressione torsionale sui gioghi della bilancia che era in grado di attraversare anche il muro, come se il peso in questione venisse immerso nell’acqua e creasse leggere increspature nella sostanza di propagazione. Questo semplice esperimento, come tanti altri che furono effettuati, dichiara palesemente la necessità della presupposizione di una sostanza ove le masse di energia (o di meta-energia, a questo punto) si propaghino in senso “torsionale” e superino l’assenza stessa di aria e la probabilità che campi elettromagnetici influiscano sulla propagazione.
Nel 1992 un interessantissimo esperimento fu effettuato dal dott. Bruce de Palma. All’interno di un completo vacuum, De Palma prese due biglie d’acciaio e le catapultò in aria ad angoli uguali, con la stessa forza. La sola differenza era che una biglia ruotava 27.000 volte al minuto mentre l’altra era stazionaria. La biglia ruotante saliva piú in alto e scendeva piú velocemente della sua controparte, cosa che violava tutte le leggi della fisica.
L’unica spiegazione per questo effetto è che entrambe le biglie attingono energia da una fonte sconosciuta, e la biglia rotante “assorbe” piú energia della controparte, energia che potrebbe esistere normalmente come la gravità, che si muove giú verso la terra. Con l’aggiunta della ricerca sui campi di torsione, possiamo rilevare che lo spinning-ball è in grado di sfruttare naturalmente le onde torsionali spiraliformi presenti nell’ambiente, le quali forniscono un surplus di energia addizionale.
Tornando a Kozyrev, dopo la sua lunga serie di sperimentazioni sull’etere, egli afferma, ponendosi in una condizione scientifica di certo innovativa e in un certo senso controcorrente, che gli esseri viventi, oltre che essere formati di una corporeità fisica condensata, sono altrettanto dotati di una corporeità meta-fisica (e non per questo anti-fisica!) eterica, partecipante alle attività vitali in misura uguale se non superiore alla corporeità densa.
Il “corpo eterico” del Prof. Kozyrev, della meta-Scienza, professato dalla maggior parte delle scuole misteriosofiche di tutti i tempi e posto al centro dell’attenzione nel passato secolo da Rudolf Steiner, non può essere solo una esigenza di pensiero dell’uomo, per presupporre un trascendente che attende oramai di essere strappato dalla sfera dell’inconoscibile per entrare nel mondo del percepibile, ed è, al contempo, ben lontano dall’essere qualcosa di meccanicamente ponderabile.
Possiamo tornare al quesito posto all’inizio: cosa accade nei moti emozionali susseguenti la percezione di un brano musicale quale, ad esempio, il Poema dell’Estasi di Alexander Scriabin?
Donde trae vita quella capacità immaginativa che si pone dinanzi a noi e ricrea ad ogni ascolto del finale di quel brano quell’improvviso senso di estasi luminescente, di assenza spazio temporale come se le note susseguentesi l’una all’altra oltrepassassero esse stesse la velocità della luce?
I risvolti eterici di qualsiasi fenomeno sono una Realtà, al pari della Realtà condensata, ed è un atto di coraggio, da parte di una scomoda ma grande fetta di pensatori moderni, voler penetrare i mondi sovrasensibili liberandoli dall’alone di inconoscibilità di ordine rappresentativo che, nei secoli, si è stratificata.
Se il Pensiero è una entità pura ed esistente a priori del pensato, questa è una scelta di libertà di Pensiero.
Andrea Tarantino (2. continua)