Siamo quasi arrivati al completamento della nostra trattazione, e con sperata dovizia abbiamo ben contemplato quella zona della corporeità, alla quale abbiamo affidato il nome di Ètere, ove si svolgono i molteplici retroscena della vita sensibile; abbiamo altresí definito una zona dell’Uomo ove splende una perenne luce di immediata conoscenza, la zona ove regna l’Io.
L’Ètere, dunque, il corpo eterico, le relazioni interno-esterno, il Pensiero Vivente, il ribaltamento dei processi di causa ed effetto, la Terra di Mezzo dell’Io cosciente ed essente in sé, la mistica della Scienza, la Scienza dello Spirito, tutto questo non può non spingere il lettore, seppur razionalmente animato da giustificatissimo sospetto, alla contemplazione di un nuovo orientamento della conoscenza volta a inglobare, ai lodevoli attuali strumenti analitici, l’indomabile potere dell’osservazione globale di un fenomeno. La musica, prima fra le arti in questo senso, è il primo reale veicolo per la dimostrazione, anche se per mezzo di sole esclusioni, dell’esistenza di una facoltà umana, latente, di conoscenza immediata dell’essenza della realtà.
Se pur anticipato da un lungo cammino di evoluzione umana ad opera della moltitudine di compositori a lui preceduti, Richard Wagner per primo imprime sulla carta la sostanza eterica nella quale siamo immersi, senza alcuna mediazione. Alessio di Benedetto, nel suo testo Tristano e Isolda, definisce l’opera di Wagner come «il trionfo dell’Intelligenza del Cuore, che ricompone ogni cosa contro la polverizzazione del giorno e la sua desertificante logica quotidiana».
Se la musica, volendo abbracciare Pitagora, è il veicolo terrestre per l’espressione dei piú alti moti cosmici e spirituali, allora con Wagner si annuncia un processo reale che dà irreversibilmente vita alla nascita di un uomo nuovo, un uomo dall’Io cosciente, in grado di dissolvere, se pur con cavalleresco sacrificio e con tempi incommensurabili, la stratificazione secolare del regno egoico, la cristallizzazione del regno della brama.
In realtà è in quest’uomo che l’impulso del Cristo ritrova la sua reale antica radice orientale, ove l’essenza del Buddha ha preparato la saggezza morale e l’autonomia dal corpo per l’accoglimento di una nuova luce di coscienza, luce rinnovante il medesimo significato di corpo e restituente alla realtà fisica la sua reale essenza di espressione condensata di eventi trascendenti.
Potremmo dunque definire questa nuova era, senza cadere in facili fraintendimenti da bassa editoria, proprio l’èra graalica, ovvero la Terra di Mezzo dell’evoluzione, ove la luce del Graal possa essere intesa come l’equilibrio perfetto tra qualsiasi principio ed il suo opposto, in prima linea l’unione sacra dei princípi maschile e femminile.
Che il concetto di epoca moderna sia un costrutto di stampo biecamente maschilista di dogmi operanti nell’esclusivo campo del soddisfacimento delle brame di possedimento e della proprietà privata (sia materiale che di pensiero!) non è messo in dubbio, si può ritenere, oramai piú da nessuno; è con Richard Wagner che la musica celeste del principio del ricongiungimento degli opposti si fa strada nella vita sensibile dell’uomo.
Potremmo, prima ancora di trattarne con maggiore perizia, tracciare un ipotetico sentiero evolutivo della coscienza dell’Io attraverso la contemplazione proprio di tre compositori moderni, Wagner, Scriabin e Messiaen. Per quanto lo si voglia ritenere un caso, l’opera di questi autori, peraltro a distanza costante l’uno dall’altro, delinea davvero la fioritura di una musica che sempre piú è in grado di penetrare senza alcuna mediazione la realtà piú essenziale dell’Uomo, traendo direttamente vita dalla zona ove fluidamente e perpetuamente si rigenerano le leggi spirituali degli eventi, zona che potremmo definire come illuminata dalla luce del Graal.
Ad aggiungere un tocco di mistico sentire, pur se lo si voglia ritenere un elemento casuale, è l’incredibile comune uso, in senso proporzionalmente evolutivo, di un elemento per lo piú dimenticato da buona parte della storia della musica: l’intervallo di quarta eccedente.
Possiamo affermare, prima ancora di trattarne, che tutto questo non rappresenta un puro caso, in relazione alla cosmologia misteriosofica moderna e comparando tutto alla ricerca della fisica moderna. Tutto coincide.
Spieghiamo meglio.
La fisica dell’ultimo secolo, come ben descritto nel primo articolo pubblicato, si è trovata dinanzi alla necessità di presupporre l’esistenza di una meta-sostanza, la quale in molti casi ha assunto il nome di antimateria. Si è trovata, in poche parole, quasi alla metà di un percorso evolutivo che, esaurite le risorse di analisi unilaterale della materia comunemente adottate, ha dovuto ammettere, se pure senza definizione alcuna, l’esistenza (o per meglio dire la meta-esistenza!) di retroscena della materia ai quali poter addurre i meccanismi propri alla fenomenologia sensibile. La cosmologia misteriosofica, la cui Cronaca dell’Akasha (ovvero cronaca chiaroveggente della memoria cosmica dell’Ètere) di Rudolf Steiner si pone come summa piú che attendibile delle conoscenze espresse nell’intero secolo, dichiara con scientifica certezza che la fase evolutiva planetaria nella quale viviamo è la dissoluzione della cosiddetta quinta epoca post-atlantidea mista all’avvento della sesta epoca post-atlantidea. Saremmo dunque, in senso cosmico, all’ingresso di una sesta èra evolutiva.
Che il numero dodici sia un numero che contraddistingue una moltitudine di elementi basilari della conoscenza umana, si ritiene innegabile; che il numero sei si trovi all’esatto centro di una tale sequenza numerica, e che corrisponda proprio al numero di semitoni contenuti nel tritono, fa al caso nostro.
Varie scuole di cosmologia della musica (ed in verità anche alcune scuole di fisica… metafisica!) hanno ritenuto l’ottava musicale come un microcosmo contenente in sé l’interezza del processo evolutivo umano passato e futuro, ove il Do iniziale rappresenti l’Io nella sua prima apparizione spirituale e il Do superiore, superate tutte le fasi di evoluzione e trasformazione, incarni l’Io nella sua piú libera e cosciente Forma. Nulla di casuale dunque, se in tutte le espressioni del pensiero umano ci si senta alle porte di qualcosa di sconosciuto eppure presumibile, se il tema del Graal improvvisamente, se pur in discutibili forme, rinasce da lungo occultamento, se l’epoca dell’abbrutente logica maschilista cade stanca su se stessa, se la misteriosofia ci dichiara alle porte di una sesta èra, e se l’intervallo di quarta eccedente, la divisione perfetta dell’ottava, brilla di una inimmaginabile luce nelle composizioni dei nostri tre autori.
Non volendo eccedere nelle nostre ipotesi, possiamo cautamente dichiarare che la comparsa potente dell’accordo contenente la quarta eccedente (non come appoggiatura, ma come nota reale!) nel “Tristano e Isotta” di Wagner, non rappresenta solo il simbolo della nascita di una luce dirompente, ma è la medesima dirompente luce, dissolvente nella sua potenza secoli di stratificazione dell’ego, che si fa Suono.
L’accordo del Tristano, dunque, al di là di ogni lodevole analisi tecnica, è il vero e proprio incontro di due esseri che, lungi dall’essere solo immaginativi, tessono con il loro congiungimento l’archetipo ritrovato, in una forma di luminosa coscienza, di volitiva ricerca di sé. Ecco dunque che quell’accordo non è il rivolto di nulla, perché in sé contiene tanto moto quanto moto si possa ritrovare nel cosmo, nell’incontro cosmicamente umano dei princípi femminile e maschile.
Nulla di piú potente, in questo caso, dell’intervallo di quarta eccedente, ove le correnti fisiche ed eteriche si ricongiungono in una mistica unione generante velocità che, se potessero essere misurate, si dichiarerebbero superiori a quelle della luce.
Il principio del tritono è esattamente conforme a quanto si diceva nella prima parte del presente lavoro a riguardo dell’antimateria: se fosse possibile generare un anti-atomo, ad esempio di idrogeno, l’unione di esso con un comune atomo di idrogeno genererebbe una dose di energia inimmaginabilmente superiore ad una bomba atomica, energia che in senso eterico si sprigiona dall’esecuzione di un tritono, il quale, proprio per la sua incommensurabile potenza penetrante i mondi superiori, ha subíto nella storia moderna il titolo di “diabulus in musica” ad opera delle massime istituzioni religiose, diligentemente votate al sonno della coscienza.
Alessio di Benedetto, sempre nel suo testo “Tristano e Isolda”, definisce l’accordo fa-si-re#-sol# che, dopo tre note del violoncello, apre l’opera e si ripete per circa 150 volte nell’opera stessa, l’“Accordo di Morte”, dichiarando che: «Esso rappresenta la caduta nella voragine del tempo, da cui gli innamorati devono uscire per riconquistare la libertà di danzare come angeli nel cielo».
Ben dice Alessio di Benedetto quando parla di Accordo di Morte, perché l’epoca della luce dell’Io è proprio l’era del rinnovamento del principio stesso di Morte, la quale si pone, in senso lato, come condizione necessaria per l’iniziazione dell’individuo alla sua piú essenziale realtà. Infatti la Morte, in un profilo esoterico, è il passaggio in una fase nella quale tutte le costruzioni, le rappresentazioni pietrificate, le immagini di un caduco sé, vengono risucchiate da un potente vortice di forze superiori, ove la coscienza si ridesti nella conoscenza immediata di sé, ad opera del ritrovamento dell’altro termine di sé, nel ricongiungimento della Coppia cosmica.
Nella sua opera Il Volto Magico, il poeta e pensatore napoletano Luciano Luisi cosí inizia il lettore alle vicende: «Senza piú appoggi piombò nel vuoto nero, ma nel guardarsi, si trovò divino». Nulla di piú adatto per definire il vortice di Morte che l’accordo del Tristano evoca ad ogni sua esecuzione, un vortice nel quale è il tritono base a donare all’accordo la capacità intrinseca di infinita auto-rigenerazione, superante i limiti stessi della corporeità fisica ed esprimente, in senso profondamente misteriosofico, la reale natura della Morte. Quell’accordo, come d’altro canto altri accordi potentissimi contenenti all’estremo acuto una quarta eccedente, ritrovabili nel “Tristano” stesso, come in tutte le opere di Wagner, annuncia la presa di coscienza autonoma, e dove, citando ancora Alessio di Benedetto: «Fa il suo ingresso Tristan, l’uomo che riconquista il suo stato divino, contro ogni ingannevole trascendenza di un dio esterno che punisce chi non si sottomette al suo volere, ma nulla fa per eliminare la malvagità di questo nostro inferno».
L’elemento portante dell’inaugurazione di questo uomo nuovo è proprio il ricongiungimento dei termini della Coppia Iniziatica: coppia proveniente da altre sfere del cosmo, ove in lontani tempi era un organismo unico e non cosciente. Tristano e Isotta non sono invenzioni di un abile scrittore, essi sono entità eteriche sempre rinnovantesi in ogni coppia terrestre che si incontri nella luce della necessità dell’evoluzione spirituale, e che in essi opera al fine di guidarli al superamento delle prove alle quali saranno chiamati necessariamente per la loro stessa natura corporea.
Tristano e Isotta, nella musica di Wagner che risuona costantemente e quasi scientificamente negli spazi eterici dell’uomo, sono dunque entità reali e meta-visibili, che annunciano il vero senso della Morte alla luce della piú profonda essenza dell’impulso Christo. L’incontro dell’altro termine della coppia riassume in sé, in senso reale, la produzione di un anti-atomo, e un tale incontro libera l’energia necessaria alla trasfigurazione di tutte le false rappresentazioni dell’ego ad opera dell’evocazione del piú alto principio dell’Io.
Insomma, a quanto pare le ricerche della fisica moderna non si distanziano molto da quanto avviene negli spazi meta-visibili dell’umanità!
L’incontro realmente eterico di Tristano e Isotta, negli accordi donati da Wagner, evoca nelle coscienze umane un processo irreversibile di conoscenza del sé piú reale. L’energia liberata dagli impertinenti tritoni, muove con potenza nettamente superiore alla portata delle Forme-Pensiero, un sentiero del quale possiamo trovare un reale proseguimento nell’opera di Alexander Scriabin.
Proprio come in un percorso perfettamente hegeliano, il processo eterico del trionfo dell’Amore trova in questo autore l’assenza del tema della coppia, al fine di potere, nell’autonomia e nella lontananza dei due termini, meglio penetrare la realtà dimensionale da noi affrontata in tutta la presente trattazione, la realtà eterica. In Scriabin lo spirito iniziato all’Amore Celeste si avvale del materiale armonico scolpito da Wagner per operare qualcosa di definitivo nella evocazione della dimensione eterica.
Possiamo prendere in esame una delle opere forse piú significative della volontà di lucida trascendenza del compositore, il “Poema dell’Estasi”; inutile, anzitutto, sottolineare l’uso costante di intervalli di quarta eccedente – che può essere facilmente evinto da una appena sommaria visione della partitura – su cui Scriabin costruisce persino i suoi agglomerati accordali in un sistema definito “nucleopolare”, ovvero un sistema speculare gravitante intorno ad un centro magnetico. La nucleopolarità di Scriabin è proprio l’espressione della volontà eterica di superamento di qualsiasi apparente opposizione di contrari, una volontà che nello spazio eterico della musica – capace piú di altri spazi del pensiero umano di muovere l’uomo nella sua piú profonda realtà – costruisce con destrezza, e di continuo, atomi ed anti-atomi. L’essere che in Wagner era magicamente ritornato a se stesso per mezzo dell’incontro del suo termine perduto, in Scriabin si trova, in solitudine, a dover penetrare le realtà celate, quasi a superare la velocità stessa della luce.
Ed è proprio il superamento della velocità stessa della luce il punto centrale dell’opera di Scriabin il quale, nel “Poema dell’Estasi”, riesce a portare l’ascolto a velocità possiamo dire eteriche, non spiegabili con nessuna teoria razionale, ad opera di sovrapposizioni di quarte e di quarte eccedenti, e dopo una lunga reiterazione di un tema affidato alla tromba, basato su un costrutto di quarte eccedenti, e dopo un ulteriore forte pizzicato dei bassi sulle già numerosamente esposte note Si-Fa. Si noti la comunanza con il tritono base dell’accordo del “Tristano” e si rifletta sulla questione che il tritono Si-Fa è l’unico tritono naturale, il tritono che risuona nel Do cosmico. Nel fortissimo Maestoso del Tutti, alla settima battuta dopo il numero 38, provi l’ascoltatore a porre attenzione, dalla settima battuta dopo 36, alla sensazione di ingenua e bambinesca solitudine alla quale Scriabin porta, e che dura tanto poco quanto le dieci battute che precedono l’ingresso della tromba, la quale, con “imperiosa sonorità”, mette in moto un meccanismo vorticoso, con un tema costruito su una quarta eccedente, che sembra aumentare la sua velocità ad ogni battuta, sempre piú ed ancora sino a superare (realmente!) la velocità della luce stessa nel maestoso Fortissimo della settima battuta dopo 38.
L’ascoltatore, in questo punto, è realmente al di là degli eventi, in uno spazio ove la cosmica velocità è percepita con maestosa lentezza. L’ascoltatore non è fuori degli eventi, ma è al di là di essi e ne abbraccia, in senso graalico, l’interezza dell’essenza, dalla scaturigine spirituale alla condensazione materica, e ciò che in questo momento si sostituisce, nella percezione, alla ordinarietà della sensibilità è propriamente il principio dell’Io.
Le ultime parole del “Poema dell’Estasi”, infatti, cosí recitano: «E cosí l’Universo risuona, con pianto di gioia ricco. Io sono!».
Possiamo facilmente ritenere che anche l’ascoltatore piú scettico, dinanzi allo svolgersi di questo evento musicale, si chieda donde provenga questo irrefrenabile senso di moto; se Wagner penetra e trafigge la materia con gli eventi dello spazio eterico, Scriabin ci porta senza alcuna mediazione all’interno del medesimo spazio eterico, ove i movimenti vibrazionali presupposti dalla fisica moderna trovano perenne moto e continua rigenerazione.
Potremmo dunque affermare che, attraverso l’evento musicale di quelle battute del “Poema dell’Estasi”, al principio del XX secolo si realizza nella indefinibile materia del suono l’incontro tra Scienza, Religione e Arte, ove l’Intelligenza del Cuore annunciata da Wagner, e peraltro essenza stessa del principio Christo, trova reale apparizione sui sentieri terreni ed entro le fila del pensiero umano.
La presenza costante di questo intervallo Maestro, il tritono, porta inevitabilmente sull’opera di un compositore che si profila essere propriamente la terza fase del percorso Hegeliano sopra annunciato: la solitudine dell’essere, che aveva precedentemente schiuso le porte del Sé a se stesso, trova nell’opera di Messiaen il ricongiungimento definitivo e super-cosciente dei due termini, i quali, nella lucida osservazione l’uno dell’altro, brillano nella luminescenza del Christo, principio di conoscenza immediata della propria essenza.
Olivier Messiaen, piú volte sul suo cammino artistico, rivolge l’attenzione al Christo; ricordiamo i due brani dal Quartetto per la fine dei Tempi “Louange à l’Eternité de Jésus” e “Louange à l’Immortalité de Jésus”, o ancora “Christ lumière du Paradis” e “Apparition du Christ Glorieux”. In tutti questi brani sono presenti accordi formati da quarte e quarte eccedenti sovrapposte, moventesi spesso anche in senso parallelo per intervalli di quarta eccedente e creando un tessuto sonoro inconfondibile per la sua luminescenza oltre ogni limite in precedenza raggiunto.
In Olivier Messiaen il principio dell’Io-Christo si manifesta in tutta la sua equanime bellezza, priva di turbamenti estetici o di ordine sentimentale. La sua musica è reale compimento del nostro ipotetico cammino della coscienza, ove, per esempio, nel brano tratto dai “Six Eclairs sur au delà” dal titolo “Christ, Lumière du Paradis” il procedere degli agglomerati accordali, affidati ad una tessitura di archi in continua ritrazione ed espansione, portano l’ascoltatore puro al di sopra dello spazio stesso ove Scriabin, abbattendo con i soli suoni la velocità della luce, ci aveva condotto.
Messiaen compi l’atto lucido della visione diretta della realtà eterica, cogliendo in quest’atto la piú profonda essenza della luce della coscienza cristica, superante e trascendente la materia, non certo per disinteresse, ma, al contrario, per aver realmente penetrato i piú intimi segreti della stessa formazione della materia, e per averne risalito i gradi di condensazione sino al raggiungimento, nell’Estasi fuori dall’ego, dei princípi primi e portanti.
Il tritono in Messiaen sembra addirittura perdere il senso di profondo scuotimento fisico verso la trascendenza che caratterizzava quello di Wagner e di Scriabin, e sembra acquisire un tono di quieta e cosciente conoscenza della Realtà immanente e trascendente, osservata da un luogo ove l’Io di ogni individuo, che ne sia o no cosciente, regna indiscusso.
La musica di Messiaen ci accompagna alla fine del millennio, dimostrando con la paradossale scientificità dell’evento sonoro, che ha rappresentato l’argomento portante del presente lavoro, l’esistenza di un luogo del Pensiero umano appena intuito, dove realmente l’auspicio dell’unione tra Arte, Scienza e Religione possa trovare mistico compimento. È questo il significato della battuta finale del preludio per pianoforte n. 6 “Cloches d’angoisse et larmes d’Amour” dove, alla successione di tre crome, con punto coronato dalle note si-mi#-si 8va (ecco ancora la cara successione Fa-Si!), si accompagna la didascalia “Adieu”, auspicio all’incontro con l’essenza divina dell’uomo, al centro dell’ottava dell’evoluzione, dove opera con perenne Amore la luce graalica del tritono.
Conclusioni
La conoscenza umana del mondo e degli eventi, ad opera dell’infaticabile sapere scientifico, ha accompagnato l’uomo moderno ad un grado di analisi dei fenomeni di certo superiore a qualsiasi aspettativa. Il presente lavoro, nella speranza di aver affrontato con esauriente trattazione gli argomenti, si auspica non già di demolire l’ordinarietà del sapere scientifico, quanto di portare con urgenza all’attenzione del lettore l’evidente necessità dell’apertura di orizzonti di indagine che permettano al pensiero umano di oltrepassare la fase di stallo sulla quale gli strumenti analitici ed autoreferenti della meccanica in genere, proseguono una ricerca che, lungi dall’oltrepassare il limite, se non trovasse altra direzione, frammenterebbe all’infinito la realtà discreta.
Con l’ausilio della potenza evocatrice della musica, voglia questo lavoro porre il lettore in una posizione che contempli l’esistenza di una dimensione altrettanto reale quanto quella fisica, ove si svolgano i processi che precedano la constatazione di fatto della realtà sensibile, e ove infine l’osservatore possa davvero contemplare la realtà slegandosi dalla sudditanza della punta dell’iceberg dei suoi princípi meccanici e dalla zona dell’Io, del Pensiero Vivente, si possa dunque scorgere, con scientifica spiritualità, il senso piú vivido e reale dell’essenza umana.
Andrea Tarantino (6. Fine)