La Supernova del 1604 e l’azione occulta dei Rosacroce

Sacralità

La supernova del 1604 de l'azione occulta dei Rosacroce

 

 

Il Buddha e Ananda

       Il Buddha Mahāvairóciana e alla sua destra Ānanda          Grotte di Long-men, Cina, 671-675 d.C.

Negli anni della rottura con la Società Teosofica (1911-12), Rudolf Steiner prese le distanze dal misticismo orientale e s’im­pegnò ad approfondire gli aspetti esoterici della cristologia, nonché le istanze del Mo­vimento rosicruciano. S’incasella in questo contesto l’importante conferenza che tenne il 18 dicembre 1912 a Neuchâtel (in Il cristianesimo rosicruciano, O.O. N° 130), nella quale annunciò la nuova missione intrapresa nel 1604 da un’entità buddhica ema­nata dal corpo spirituale dell’Illuminato (Dharmakāya) – personificato dal Buddha archetipico Mahāvairóciana – e da San Francesco d’Assisi sul pianeta Marte. L’insediamento delle due entità su Marte fu richiesto, da un lato, dalle catastrofiche condizioni spirituali del pianeta rosso, ma, dal­l’altro, dalle precarie condizioni della Terra, travolta dalla ventata luciferica della “rivoluzione copernicana”, ovvero dalla concezione eliocentrica, sostenuta dall’astronomo ed ecclesiastico polacco Niccolò Copernico nel De Revolutionibus Orbium Coelestium (1543), posto dalla Chiesa all’Indice dei libri proibiti fino al 1758. Steiner non ha dubbi: «In futuro ci si accorgerà che la concezione copernicana del mondo stellare è ancor piú sbagliata di quella tolemaica [geocentrica]».

Da quanto ci è dato capire dalla conferenza tenuta a Neuchâtel, fu Christian Rosenkreutz a guidare l’intero evento spirituale, allo scopo di evitare che sulla Terra si contrapponessero fra loro i seguaci delle due concezioni: l’eliocentrica e la geocentrica. Perché ciò avrebbe finito col dividere l’umanità in due tipologie: da un lato gli esseri pratici, abili nella meccanica e nella tecnologia; dall’altro, i contemplativi, poco versati alla concretezza del vivere, ma esperti di vita interiore.

Gabriele Burrini  «Il Buddha e San Francesco»

Gabriele Burrini «Il Buddha e San Francesco»

Ma qual era in questo contesto il ruolo di Francesco d’Assisi? La missione di Francesco d’Assisi al seguito del Buddha ha le sue radici in una lontana vita del santo italiano. Egli infatti era stato con ogni verosimiglianza Ānanda, il mite cugino del Buddha, nato nello stesso istante del figlio del principe Siddhārtha, Rāhula. Ānanda riverirà e servirà il Buddha storico negli ultimi venticinque anni della sua vita, fino a che l’Illuminato non entrò nel Parinirvana. Trascorsi i suoi venticinque anni di servizio, un anno dopo la morte del Buddha, Ānanda raggiunse l’Illuminazione e divenne un santo (arhat), proprio la notte precedente il primo concilio di Rājagṛha.

Nella vita successiva Ānanda si reincarnò ancora come discepolo del Buddha in una comunità spirituale nei pressi del Mar Nero – rivela Steiner – ma poiché ciò si verificò tra il VII e l’VIII secolo d.C., c’è da supporre che in questa occasione Ānanda abbia seguito non piú il Theravada, ma il Grande Veicolo, che attraverso l’ideale del Bodhisattva gli avrebbe aperto le porte della spiritualità cristiana.

«Piccoli segni – afferma Rudolf Steiner nei Nessi karmici – possono metterci sulla giusta via per risalire a una rinascita precedente di una data anima». Non è un caso che Francesco d’Assisi abbia vissuto i primi venticinque anni della sua vita (speculari rispetto ai venticinque anni trascorsi da Ānanda al servizio del Buddha) in modo del tutto profano e proprio a venticinque anni abbia vissuto una profonda malattia, seguita da una svolta interiore, da una radicale conversione. Era il 1204. In seguito a questa svolta Francesco attira i primi discepoli e, una volta divenuti dodici, vanno tutti a Roma assieme a Francesco, per chiedere a papa Innocenzo III di approvare la Regola francescana. Francesco d’Assisi opera con i suoi dodici, che nell’ottica cristiana rappresentano una confraternita compiuta, in quanto racchiude in sé i dodici punti di vista dell’universo, come i dodici apostoli del Cristo. Nelle sue istanze originarie, il francescanesimo fu rivoluzionario, in quanto – assieme all’Ordine domenicano – salvò l’ecumene cristiana dalla deriva luciferica che si espandeva a macchia d’olio grazie ai movimenti ereticali, che predicavano la povertà radicale e l’estremo ascetismo. Francesco parte invece con il rivalutare la bellezza della natura, come si legge nel Cantico delle creature.

 

Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz

                 

1604: un anno rosicruciano

 

Secondo il manifesto R+C Confessio Fraternitatis del 1615, Christian Rosenkreutz nacque nel 1378 (anno del Grande Scisma d’Occidente), visse 106 anni e morí nel 1484. Il suo sepolcro fu scoperto 120 anni dopo la sua morte, esattamente nel 1604. Il 1604 fu dunque un anno particolarmente importante per l’esoterismo europeo. A questa data si riconnettono infatti altri significativi eventi del movimento rosicruciano. Il teologo luterano Johann Valentin Andreae scrive il suo celebre libro Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz proprio intorno al 1604, quando aveva 19 anni. Nel 1604 il medico e filosofo tedesco Heinrich Khunrath (1560-1605) scrisse la sua ultima opera illustrata, l’Anfiteatro della Sapienza eterna, in cui, sulla base di un metodo che fondeva Sacra Scrittura e filosofia della natura, descrisse la divina Sophia, microcosmica e macrocosmica, cristiana e cabbalistica, ponendo in correlazione il Cristo con la Pietra Filosofale. Ancora nel 1604 l’alchimista polacco Michael Sendi­vogius pubblica I dodici trattati sulla Pietra filosofale.

 

La Supernova del 1604

 

Ma soprattutto il 1604 è un anno assai singolare dal punto di vista astronomico. Nell’autunno di quell’anno, nel triangolo formato dai tre segni di Fuoco (Ariete, Leone e Sagittario) e nello spazio celeste occupato dalla congiunzione di Marte, Giove e Saturno (che si trovavano in Sagittario), apparve una nuova stella. Si trattava dell’esplosione di una Supernova avvenuta molto lontano dalla nostra galassia, ma visibile nelle costellazioni del Cigno e del Serpentario (detto anche Ofiuco, altro nome di Esculapio, figlio di Apollo) sin dalla notte del 9 ottobre 1604.

Carteggio inedito Brahe, Keplero e altriLeggiamo la lettera scritta dall’astronomo Cristoforo Clavio al collega Giovanni Antonio Magini da Paterno Calabro (CS) il 18 ottobre 1604: «Sabbato a sera, che furono li 9 di ottobre, andando a vedere la congiontione di e di che stanno congionti nel 2° di  viddi insieme con loro una stella nova della grandezza et colore di Marte, et era sopra di Giove, quasi congionta con esso. Et mi diede gran maraviglia, perché la sera d’innanzi non c’era tal cosa, anzi piú e piú sere era andato a vedere detta congiontione di Giove et Marte, et erano loro due soli, et poi questa sera delli 9 di ottobre erano tre splendide et belle. La sera seguente la stella nova si trovò alquanto piú gran­de, et la sera seguente piú, di modo tale, che di mano a mano si è fatta quanto è ♃ et del medesimo colore, splendore et grandezza, anzi alquanto piú» (Carteggio inedito di Ticone Brahe, Giovanni Keplero e di altri celebri astronomi e matematici dei secoli XVI e XVII, Bologna 1886).

La Supernova è l’esplosione di una stella, che espelle nello spazio gli involucri del nucleo e lascia dietro di sé un buco nero o una stella di soli neutroni. In genere si verificano solo due o tre esplosioni di Supernove ogni cento anni. Tra il 185 e il 1604 ce ne furono sette: nel 1054 ce ne fu una, osservata dai cinesi, di cui resta oggi la nebulosa del Granchio; nel 1572 ce ne fu un’altra osservata da Tycho Brahe. La Supernova del 1604 divenne invisibile nel marzo 1606 ed è stata l’ultima finora osservata nella nostra galassia.


Stella NovaL’astronomo e matematico tedesco Giovanni Keplero (1571-1630), che aveva preso alla corte praghese dell’imperatore Rodolfo II il posto di Tycho Brahe, scoprí e registrò la Supernova il 17 ottobre 1604.


Keplero parlò di que­sto fenomeno celeste e delle sue implicazioni terrene nel libro De Stella Nova in pede Serpentarii, De Stella incognita Cygni (1606) è. L’astronomo tedesco respinse l’idea che una stella potesse apparire per caso in una regione celeste in cui si trovasse, in quel preciso tempo, una congiunzione. Nova Stella, Novus Rex, disse Keplero, che vide nel fenomeno astrale un preannuncio di radicali cambiamenti: una generale migrazione verso il Nuovo Mondo, la caduta degli Stati musulmani, il ritorno del Cristo. Egli scorse in questa stella che risplendeva come il pianeta Giove l’an­nuncio di una nuova èra politica e religiosa, che avrebbe riconciliato i due tronconi della cristianità divisi dalla Riforma protestante. Del resto, una riforma del sapere era nell’aria in Europa, anche perché nel 1603 era terminata l’èra elisabettiana, con la morte della regina Elisabetta I.

Collegio Confraternita della RosacroceUn’incisione tratta da un noto libro rosicruciano attesta l’importanza che il Movimento Rosacroce attribuí a questa Supernova per il rinnovamento dello Spirito europeo: lo Speculum Sophicum Rhodo-Stauroticum (1618) di Teofilo Schweighardt (in italiano Lo specchio della Sapienza Rosicruciana). L’incisione riproduce il Collegio della Confraternita, ai lati delle cui porte spiccano una rosa e una croce è. In alto brillano due stelle rispettivamente connesse con le costellazioni del Cigno e del Serpentario.

 

VIII secolo, XII secolo, XVI secolo…

 

Ogni 400 anni l’anima di Ānanda-Francesco si è reincarnata, movendo nuovi passi verso Occidente. Dal 1604 sono passati poco piú di 400 anni e assistiamo tutti alla diffusione del buddhismo mahayanico in Occidente, tanto che, a proposito di essa, i maestri buddhisti parlano di un “quarto rivolgimento della ruota del Dharma”, dopo i tre già trascorsi (Theravada, Mahāyāna, Vajrayana tibetano). Non dimentichiamo le parole dello storico delle religioni Mircea Eliade: «Nel 1959 è accaduta una cosa che avrà grandi conseguenze per il futuro. La Cina ha invaso il Tibet, molti saggi tibetani si sono rifugiati in India e da lí andranno o sono già andati piú lontano. È la prima volta nella storia che succede una cosa simile».

 

Buddha su Marte: la visione del Mahāyāna


Va detto infine che l’evento del 1604 non è affatto in contraddizione con il buddhismo, giacché il Grande Veicolo ammette la pluralità dei Mondi, detti “Campi buddhici” (buddhaketra): il Campo buddhico è il dominio in cui un Buddha agisce per facilitare il cammino interiore degli esseri senzienti che vi abitano. Il puro Campo buddhico piú popolare in Asia è la Sukhāvatī, o paradiso d’Occidente del Buddha Amitābha, una regione celeste che i tibetani chiamano Devachan. In questo Campo buddhico, immune dal dolore, si può rinascere dopo la morte purché, prima del trapasso, si sia recitato, anche se per pochi attimi, il nome di Amitābha, il Buddha cosmico della Luce infinita. Innumerevoli Campi buddhici circondano ogni “Trichiliocosmo”, il grande universo costituito da un miliardo di sistemi planetari. Il Buddha storico agí nel nostro Trichiliocosmo, detto Sahā, contaminato dalla triplice macchia del dolore, della malattia e della morte, mentre il Bodhisattva Vimalakīrti, che apparteneva al campo buddhico Abhirati, venne ad agire nel nostro Sahā per acquisire piú alti meriti spirituali in saggezza e in compassione. Riecheggiando verso Oriente, l’evento del Golgotha ha dato vita al grandioso ideale del Bodhisattva, ma starà a noi occidentali fare di esso quel nuovo e unico ideale di santo e di eroe che riconcili la duplice tipologia umana del passato: il santo e il mago, l’uomo contemplativo e l’uomo attivo, il monaco orante e lo scienziato. A tal proposito è quanto mai lungimirante ciò che si legge nel secondo manifesto rosicruciano, Confessio Fraternitatis: «Cosí noi sappiamo che molti Illuminati faranno progredire con i loro scritti questa riforma ormai imminente: …si leveranno le pietre e offriranno i loro servigi prima che vi sia penuria di uomini che effettuino e portino a compimento il disegno divino. Dio ha già inviato messaggeri del suo volere: le nuove stelle apparse nel firmamento, nelle costellazioni del Serpentario e del Cigno; questi importanti signacula del disegno divino possono voler insegnare ciò: che, oltre alle scoperte dell’umano ingegno, ci si debba dedicare alla scrittura segreta, cosí che il libro della natura sia accessibile e manifesto a tutti gli esseri umani, anche se pochi tuttavia possono leggerlo o comprenderlo del tutto» (F. Yates, L’Illuminismo dei Rosacroce).

 

Gabriele Burrini