L’ultima Thule

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L’ultima thule

Pentecontera dipinta su una coppa

Pentecontera dipinta su una coppa

La cosiddettaBattaglia del Mare Sardo” ebbe luogo nel 541 a.C. tra Alalia, l’odierna Aiaccio, sulla costa orientale della Corsica, e le Bocche di Bonifacio. Da una parte la flotta dei Greci di Focea e dall’altra una coalizione di Etruschi e Cartaginesi. Alalia era un emporio, uno dei tanti, che i Focesi della Ionia, l’apoikia ellenica dell’Asia Minore, andavano fondando un po’ ovunque nel Mediterraneo come basi mercantili, nel progetto di una talassocrazia che acquisisse ricchezza con il commercio. Questo frenetico andar per mare e costruire città-mercato era dovuto, secondo Erodoto, all’impiego del naviglio usato: le pentecontere da guerra, rese piú veloci con il sistema vento e voga, ossia ampia velatura e spinta procurata da cinquanta gagliardi rematori.

Pitea

Pitea

La battaglia si risolse in un nulla di fatto per le squadre contrapposte. I Greci lasciarono Alalia e potenziarono Massalia, l’odierna Marsiglia. In questa città popolosa e aperta al mercato della Gallia, ebbe i natali Pitea, navigatore e cartografo, ritenuto lo scopritore di molte remote e fascinose terre, tra queste Thule, la patria degli Iperborei. Con il tipo di nave usato dai Focesi per colonizzare il Mediterraneo, Pitea fece il periplo del mondo allora conosciuto, e lo descrisse in due libri, Dell’Oceano e Periplo della terra, andati perduti nella forma fisica ma rimasti vivi nel mito e nella poesia. Nel primo libro delle Georgiche Virgilio cita l’esistenza di Thule, dedicando un carmen augurale all’Imperatore per la sua futura assunzione tra gli dèi celesti: «E tu sopra tutti, Cesare, / di cui solo ignoriamo / in quale consesso divino sarai accolto / dopo questa vita/ se sceglierai di proteggere la città, / di assistere la terra, / se l’universo infinito ti assumerà, / incoronato col mirto di Venere, / creatore e signore di messi e tempeste; / o se dio diverrai del mare immenso / sino all’estremo limite di Tule / unica divinità sacra ai marinai

 / e Teti ti vorrà genero / col dono di tutte le onde…». Si respira nei versi la vastità dei flutti oceanici che avevano dato al navigatore la possibilità di conoscere, superate le Colonne d’Ercole, regioni e città sconosciute, popoli e genti la cui vita scorreva a un ritmo diverso e piú armonioso. Oltre la barriera del “mare rappreso” dei ghiacci polari, il polmone di un vacuum atmosferico in cui prosperava una verde natura rigogliosa. Il neopitagorico Antonio Diogene, 2 sec., scrisse Le meraviglie al di là di Tule, descrivendo quel mondo incantato. Nella Divina Commedia, nel canto XXXIII del Purgatorio, Dante fornisce, con un abile gioco di parole, ai versi 52 e 53, la posizione geografica di quella terra beata:

Carta di Thule del 1539

Carta di Thule del 1539

«Tu nota, e sí come da me son porte, prendi nota delle due lettere. Tu, cosí queste paro-le segna a’ vivi e perimenti a questo fatto prima segna anche le del viver ch’è un correr a la morte. E aggi a mente, quando tu le scrivi».

Islanda, Groenlandia, le Shetland, di volta in volta l’identificazione di Tule varia, come variano i sogni che ogni navigante dell’assoluto fa: che dopo la barriera di ghiaccio ci sia la Tule iperborea, dove si mangiano cibi squisiti e si beve l’idromele, misto di erbe rare e miele, dove tutto è pace e armonia, e dove, terminato il periplo avventuroso, si trova la felicità dell’approdo.

Un sogno questo che diventa ogni giorno piú ossessivo e stringente per una civiltà che ha ridotto la Terra una Tule inversa: Eden meraviglioso divenuto discarica e gli abitanti ‘fatti’ di droga e petrolio. Nascono, sempre piú numerosi, scaltri o ingenui, i profeti di sventure climatiche che gridano però nel deserto. Denunciano ma non danno soluzioni. La Thule favolosa è dentro di noi. Basta raggiungerla. 

 

Elideo Tolliani