Dante Alighieri parlava di “quattro sensi della scrittura”, quattro possibili modi per interpretare un testo sacro, un testo religioso. Cosí pensava Dante e cosí riteneva la filosofia cristiana medievale, fiera di poter cogliere nella Scrittura quell’intimo significato anagogico, mistico o esoterico, che piú avvicina l’uomo al Divino. Allora come oggi, andare alla ricerca di ciò che di piú spirituale un testo sacro dice, è il segno dell’intima nostalgia che ogni essere umano prova per il mondo superiore, il segno della sete che ognuno ha dell’armonia fra il Sé e il Divino: una sete che non si sazia solo della chiave di lettura morale – che pur sempre arricchisce l’anima, se non diviene moralismo – ma ha bisogno anche di una lettura spirituale che disseti la conoscenza, avida di certezze, di ideali, di simboli viventi.
Nel corso dei secoli i Vangeli sono stati letti da piú punti di vista: come libri di storia, come libri di morale, come biografie del Cristo, come testi mistici. Chiavi di lettura che però lasciano spesso insoddisfatta l’anima umana del nostro tempo, che, coinvolta dai disagi della società tecnologica, cerca di trovare nei Vangeli nuove risposte, impulsi esoterici che concilino le esigenze dell’intelletto con quelle dell’interiorità. Ma che cosa significa oggi interpretare esotericamente i Vangeli? Significa confrontarsi con realtà eterne, che sono al di fuori del tempo, con categorie dello Spirito che valgono per l’uomo di oggi piú ancora che per quello di ieri.
Facciamo un esempio. Oggi si parla molto di reincarnazione, e si è anche tentato piú volte di ritrovarne le tracce nei quattro Vangeli. Ma ciò che piú importa ai fini di una lettura esoterica è non tanto ravvisare la presenza dell’idea di reincarnazione nel Nuovo Testamento, quanto comprendere il senso profondo del karma che il Cristo insegna nel “Sermone della montagna”, ove Egli spiega il modo in cui noi stessi instauriamo i legami karmici con gli altri attraverso il nostro agire: Gesú sottolinea la complementarità delle azioni umane (karman significa appunto “azione” in sanscrito), per cui un’azione non è mai solo mia, ma fa di me un qualcosa a seconda di come io ho agito con l’altro. E soprattutto il Cristo insegna il modo per vincere il karma, facendo dell’amore una forza trasfiguratrice. A una lettura esoterica si rileva infatti che i Vangeli usano tre verbi diversi per dire “amare”: amare secondo il volere (erao, da cui eros), amare secondo il sentire (fileo), amare secondo il pensare (agapao). È quest’ultimo il verbo usato da Giovanni per celebrare l’amore cristico: un amore che nasce dalla conoscenza, dalla stima, dal ravvisare in altri – sia Dio sia il prossimo – un valore piú grande di noi stessi. Sotto questo aspetto, una lettura esoterica dei Vangeli consentirà di fondere insieme le esigenze del conoscere con quelle della fede, il bisogno dell’anima con i valori autentici dello Spirito.
Le verità esoteriche non sono esposte nei Vangeli sotto forma filosofica o speculativa, sotto forma simbolica o rituale, o attraverso un linguaggio segreto di tipo iniziatico. Al contrario queste verità vivono nei Vangeli sotto forma di semplici fatti umani, che pure hanno un alto contenuto spirituale: il Cristo predica agli umili, attraverso un linguaggio semplice, le piú alte verità dello Spirito già contemplate dagli Iniziati del mondo greco e orientale; il Cristo opera miracoli attraverso le leggi del karma; il Cristo muore e risorge incarnando il piú alto contenuto dei misteri solari mediterranei. L’uomo moderno merita, soprattutto nel nostro tempo, di comprendere questo volto segreto dei Vangeli, perché, disponendo potenzialmente di una nuova coscienza, può giungere a cogliere appieno le grandi leggi cosmiche evocate dal Cristo, il senso della sua missione sulla Terra e nell’universo, e il significato del dono “di fuoco” dello Spirito Santo nella Pentecoste.
Una lettura esoterica dei Vangeli – pur rispettando il principio che l’evento di Palestina è unico e irripetibile nella storia – favorisce il vero incontro fra le credenze religiose, di là dagli steccati che ogni religione istituzionalizzata pone, di là dai dogmi e delle teologie. A dar corpo all’evento di Palestina concorrono infatti tutte le grandi correnti spirituali del passato, che in esso si incontrano per attingere nuova vita e nuove forze verso il futuro: pertanto, dalla comprensione esoterica di questo evento, che è un modello esemplare di vita dello Spirito, possono venire per l’uomo di oggi nuovi aneliti interiori che gli consentano di non recludersi nella dimensione materialistica del vivere.
Non nasce oggi l’esigenza di una lettura esoterica dei Vangeli, anzi è assai antica. Un filo rosso collega infatti la scuola mistica di Dionigi l’Areopagita – il primo autore cristiano che descrive le Gerarchie angeliche – e il ciclo letterario del Graal, le aspettative epocali del mistico medievale Gioacchino da Fiore e il movimento rosicruciano europeo del XVII secolo: sono alcune tracce lasciate sulla coltre della storia dal cristianesimo giovannita, quella corrente mistica ed esoterica che si rifà al quarto evangelista. Solo nel nostro secolo, però, grazie ai commenti ai Vangeli fatti da Rudolf Steiner, è emersa una completa interpretazione esoterica della vicenda e dell’insegnamento del Cristo, interpretazione talvolta avvalorata da alcune scoperte archeologiche avvenute nel ‘900, come il rinvenimento dei manoscritti del Mar Morto in Palestina o dei testi gnostici in Egitto. Sul percorso suggerito dalla chiave di lettura esoterica data da Rudolf Steiner ci incammineremo perciò per offrire una comprensione piú profonda dei Vangeli.
I Vangeli dell’Infanzia
I due racconti sulla Natività che ci vengono riportati dal Vangelo di Luca e da quello di Matteo ci descrivono la personalità umana di Gesú dalla nascita fino ai suoi dodici anni. I Vangeli di Marco e Giovanni non trattano invece questo periodo.
Partiamo ora da un antefatto della storia dell’uomo sulla Terra, da quello che possiamo definire un universale umano: l’esistenza in natura di due poli complementari: il polo maschile e quello femminile, il polo attivo e quello contemplativo, il polo del giorno e della vita di veglia e il polo della notte o del sonno. Già i primi filosofi greci avevano compiuto queste riflessioni: Empedocle, per esempio, sosteneva che a produrre il divenire dei Quattro elementi (aria, acqua, fuoco, terra) erano due forze opposte: l’Amore e l’Odio, che determinano rispettivamente l’ordine e il caos, l’armonia e la disgregazione. Questo principio ritorna poi nella diade, la dualità pitagorica di pari e dispari, che è il primo prodotto nell’Uno. Lo stesso avviene nel taoismo cinese dove i due principi yang e yin (attivo-passivo, giorno-notte, maschile-femminile) sono la prima espressione del Tao, come si nota nel simbolo del Tai Ji («Ultimo Supremo», [): luce-buio, sole-luna, attività-riposo, sinistra-destra, tempo-spazio.
La stessa dualità e complementarità di opposti si ritrova nella Qabbalah ebraica, nel misticismo ebraico medievale, nel simbolo che viene chiamato l’Albero della Vita o Albero delle sefiroth. Ai due lati dell’asse centrale Corona-Misericordia-Fondamento-Comunità, ci sono le due colonne del Rigore e della Clemenza: a sinistra Intelligenza-Rigore-Gloria, a destra Saggezza-Clemenza-Trionfo. Ma c’è anche un’altra polarità nell’Albero della Vita: in alto Keter, il polo maschile del Santo-Sia-Benedetto (Qadoš Baruk Hu), in basso, alla decima sefirah, c’è Malkut, la Comunità, nella quale dimora la Presenza divina del Dio immanente, la Šekinah.
Il principio della dualità e della complementarità degli opposti si ritrova in tante filosofie antiche, in tante credenze: è un universale umano, è un archetipo dello Spirito. Vi è un simbolo che in molte civiltà è servito per esprimere bene questo principio: la bilancia a due piatti, che in Cina era il simbolo del Ministro e in India quello del Re, che riassumeva in sé la funzione militare e quella amministrativa. Questo simbolo esprime lo stesso principio anche in astronomia: si entra infatti nel segno della Bilancia il 23 settembre, nell’equinozio di autunno, quando giorno e notte sono uguali. Non a caso la dea greca della Giustizia, Temi, che portava la cornucopia e la bilancia, era figlia di Urano e Gea, Cielo e Terra.
È perciò deviante quella concezione occidentale che ha trasformato questa diade in un dualismo di bene-male, perché nessuno di questi poli è di per sé buono o cattivo. È solo il loro equilibrio che è bene, o il loro squilibrio che è male: l’essere umano, per esempio, mira alla ricerca del continuo equilibrio fra queste due forze cosmiche, perché tali forze polari sono soltanto disposizioni, tendenze. Quando queste due forze si polarizzano, rifiutando la complementarità con l’altro e il reciproco equilibrio, allora esse assumono un aspetto dichiaratamente negativo. In tal caso l’Antroposofia le chiama luciferiche e ahrimaniche: sono la polarità fra infiammazione e sclerosi, eccesso di idealismo ed eccesso di realismo, eccesso di contemplazione ed eccesso di attività.
Nella vita storica di Israele la collaborazione fra questi due princípi ebbe la sua piú bella espressione al tempo della monarchia (Saul, Davide, Salomone), quando il potere regale era in sintonia con quello sacerdotale, quando Davide era il re e Samuele era il profeta. Poi, con il crollo della monarchia, i re del Nord e del Sud si rivelarono assetati di potere, e i profeti (Elia, Amos, Isaia) tuonarono contro di loro: i due princípi, il principio regale e il principio sacerdotale o profetico si sono polarizzati.
Sul piano della vita dello Spirito questi due poli hanno trovato la piú profonda espressione religiosa in due grandi fondatori di religioni, in due grandi personalità spirituali:
- il polo della contemplazione, prima dell’avvento del Cristo, diede il meglio di sé nella personalità del Buddha;
- il polo dell’azione diede il meglio di sé nella personalità del profeta persiano Zarathušthra.
Nell’ambito dell’evoluzione della coscienza, queste due personalità sono gli archetipi umani e spirituali dei due poli che ho descritto.
Ritorniamo ora a Luca, che ci ha lasciato il testo classico, il testo piú noto sulla notte di Betlemme.
Il Vangelo di Luca
Il Vangelo di Luca è il Vangelo che piú degli altri conduce il nostro sguardo sul valore dell’interiorità, che piú ci spinge a guardare l’anima umana nella sua semplicità, liberi dagli orpelli della cultura, dalle illusioni e dalle convenzioni del vivere: l’anima nella sua povertà essenziale, cosí com’è: un dono del Divino. Ex Deo nascimur, nasciamo da Dio: questo detto rosicruciano, riportato nella Fama Fraternitatis, il primo dei manifesti dell’Ordine della Rosa-Croce, racchiude tutta la verità espressa in questa prima pagina di Luca: l’anima umana ha origine dal Divino, e il Bambino che nasce nella notte di Betlemme fra i poveri e gli umili è il simbolo vivo dell’anima di ogni essere umano, che viene dal Divino. In questa notte non ci sono distinzioni: non c’è il ricco e il povero, l’ebreo e lo straniero. Ci sono gli umili pastori e ci sono gli angeli, che a uno stesso richiamo vengono alla grotta di Betlemme.
Chi sono i pastori? Sono i rappresentanti dell’ideale ebraico e semitico della santità, sono i Giusti, che vivono secondo una saggezza che viene non dalla speculazione intellettuale o dalla contemplazione dei misteri, ma dalle forze morali e profetiche che sorgono dall’anima umana quando essa contempla le leggi spirituali che regolano l’agire terreno. In una conferenza del 25 dicembre 1920, Rudolf Steiner precisa che i pastori sono per antonomasia gli esseri ispirati, guidati dalla purezza del volere, dalla saggezza insita nella Terra, dalla sintonia con ciò che l’anima sperimenta oltre le porte della morte, una volta che si è nutrita delle esperienze terrene, delle concrete esperienze basate sulla percezione sensoriale.
L’ideale del Giusto è il piú alto modello di santità che percorre tutto l’Antico Testamento. Il primo esempio è Noè, di cui il Genesi (6, 9) dice che «era un uomo giusto e integro», che grazie alla sua giustizia riesce a preservare da morte i congiunti e il resto del creato. Successivamente un nuovo Giusto, Abramo – al quale Dio dirà: «Cammina davanti a me e sii integro» (Genesi 17, 1) – porta con sé tutto il suo clan verso la terra di Canaan. Noè e Abramo sono i primi Giusti che salvano i molti. A questa idea del «Giusto che salva i molti» rimanda una delle piú belle pagine del Genesi, quella che vede Abramo a colloquio con Yahwèh, che vuole punire tutti gli abitanti di Sodoma: «Davvero sterminerai il Giusto con l’Empio?» (Genesi 18, 23) domanda Abramo. E allora, in cambio della distruzione, Dio esige cinquanta Giusti. Di rimando, Abramo chiede di ridurre il numero di Giusti richiesto, sempre di piú, finché Dio non si accontenta di dieci Giusti: basterà la loro presenza a risparmiare Sodoma dal castigo.
Un clima di benedizione e di salvezza si riversa dal Giusto sul popolo. Ciò ritorna, qua e là, in tanti altri passi della Bibbia: «Dio è con la stirpe del Giusto» (Salmi 14, 5); «La discendenza dei Giusti sarà benedetta» (Salmi 112, 3); «Quando comandano i Giusti, il popolo gioisce» (Proverbi 29, 2); infine quel grido di Isaia (60, 21): «Il tuo popolo sarà tutto di Giusti / per sempre avranno in possesso la Terra». E poi c’è quell’ideale del Giusto che sopporta pene ingiuste, cosí ben descritto dal libro di Giobbe. Perché? Perché, come un interlocutore dice a Giobbe, è cosí che Dio migliora e fa evolvere i Giusti; gli ingiusti, i cattivi, piú che resistere alle prove, avrebbero ceduto e sarebbero divenuti ancora piú malvagi. Il Giusto è l’ideale di perfezionamento morale proprio dell’antico Israele, della tradizione religiosa ebraica.
Ora, nella notte di Natale (VL, 29) ai pastori si manifesta, secondo Rudolf Steiner, l’archetipo spirituale: «la corrente spirituale archetipica della compassione e dell’amore, dell’amorevolezza e del distacco dal mondo»: che assume forma visibile nella moltitudine dell’esercito celeste.
Questa apparizione angelica non è altro che il corpo spirituale del Buddha, il Corpo di Beatitudine o Sambhogakaya. È il Buddha glorificato, che si è ormai spogliato del suo corpo fisico e si è rivestito di un corpo eterico di gloria, che lo pone in comunione con gli esseri angelici del buddhismo, con i Bodhisattva, con coloro che, pur incarnandosi come uomini, rinunciano all’Illuminazione per spingere coloro che non camminano, finché l’ultimo essere non sia salvato. I pastori sono i Giusti, i portatori dei valori dell’interiorità, della semplicità del cuore, dell’umiltà dell’anima che unisce uomo a uomo grazie alla sua origine divina. Questa segreta connessione fra il Buddha e il Cristo ricompare in un altro evento della vita di Gesú, in un altro passo del Vangelo di Luca: nel passo di Simeone.
Questo passo (Luca 2, 25-33) ha un diretto parallelo con la vita del Buddha. Alla nascita del principe Siddhartha, i brahmani di corte esaminarono il fanciullo predicendo per lui un destino di conquistatore e di prode guerriero, che avrebbe dato gloria alla nobile stirpe degli Šâkya. Ma Asita, solitario veggente che dimorava alle pendici dell’Himalaya, avrebbe contraddetto questo responso: giunto a corte, prese il bimbo fra le braccia e scoprí sul suo corpo i trentadue segni (lakshana) dell’Uomo Superiore, le ruote (cakra) sulle piante dei piedi, le dita palmate della mano, la pelle dorata, un ricciolo di peli fra le sopracciglia… A quel punto Asita pianse, e il re Šuddhodana, preoccupato per la sorte del piccolo, si affrettò a chiedere che cosa ci fosse di tragico nel suo destino: «Nulla – rispose il veggente – ma quando egli diverrà un grande asceta, un Buddha perfettamente illuminato, e convertirà innumerevoli genti alla Dottrina, il vecchio Asita non potrà ascoltare la sua parola».
Ecco, il veggente Asita riconosce nel principino il futuro Illuminato, perché scorge sul suo corpo i segni dell’Uomo Superiore, i segni che contraddistinguono il Corpo di Beatitudine che il Buddha condivide con i Bodhisattva celesti. Simeone, dice Steiner, è Asita reincarnato: colui che allora ebbe la missione di riconoscere il Buddha è la stessa persona che riconosce il Cristo, in quanto osserva sul suo corpo l’azione irradiata dal Sambhogakaya nella notte di Natale. Questa volta Asita non piange, ma confessa al Mondo spirituale di aver ultimato la sua missione.
Chi è allora il Gesú descritto da Luca? Chi è quest’anima di fronte alla quale si inchinano in terra i Giusti e i semplici pastori e in cielo gli angelici Bodhisattva? Si tratta, secondo la visione di Steiner, di un’anima pura e incontaminata, che, proprio in quanto porta al mondo un messaggio di amore e di pace che elimina ogni diseguaglianza umana di fronte a Dio, ha ancora in sé forze paradisiache. Steiner dice che il Gesú di Luca è un’anima di tipo adamitico, paradisiaco, non macchiata dal peccato originale (seduzione astrale) avvenuto nella Lemuria, un’anima rimasta molto giovane, che poche volte era discesa in Terra. È un essere umano particolarmente puro, che ha ricevuto il beneficio di essere irradiato alla nascita dalle forze del Corpo spirituale del Buddha.
Il corpo eterico-fisico del Gesú di Luca proveniva dalla Loggia madre del grande oracolo solare del Manu, che aveva conservato quella parte del corpo eterico di Adamo che non era stata contaminata dalla seduzione luciferica esercitata sul corpo astrale. La sostanza eterica che era stata sottratta ad Adamo prima che egli cadesse nel peccato, era stata tenuta in serbo e venne immersa nel bambino Gesú natanico – dice Steiner.
Ciò è anche confermato sia dalla genealogia riportata da Luca, che fa risalire Gesú ad «Adamo, figlio di Dio», e non ad Abramo, come invece fa Matteo, sia dal fatto che Paolo stesso (I Cor. 15, 45) parla del Cristo Gesú come del secondo Adamo.
Vangelo di Luca
Genealogia natanica.
Annunciazione a Maria: Gabriele.
Annunciazione a Zaccaria: Gabriele.
Nasce a Betlemme in una grotta.
Lo visitano i pastori.
Compaiono gli angeli.
Fa ritorno a Nazaret.
Ogni anno i genitori si recano a Gerusalemme.
Gesú fra i Dottori a Gerusalemme.
Poi torna a Nazaret.
Gabriele Burrini (1. continua)