Sognando neve, la magnolia sboccia,
turibolo di umori primigeni,
stemperando le anomale calure
di un’anomala estate. Freschi petali
per la mente che memora il velluto
di bianche mani, tenere, sapienti.
La natura ha il segreto per lenire
l’arsura con acerbi sortilegi.
Ma il vulcano non sa né può dissolvere
l’afrore della pietra incandescente
rappresa in duri cordoli nerastri.
Il suo destino è monito per l’uomo.
A bocca spalancata il monte chiede
al cielo sovrastante la calura,
affinché scenda nel suo ventre l’algida
frescura delle nuvole, a sollievo
dell’inesausto ardore di cui ferve
il magma in sonno torpido ma pronto
a liquefarsi e minacciare il mondo.
Si consumano occulti sacrifici:
le ginestre rinate dalla cenere,
ritornano combuste nell’inferno
di una vita vissuta giusto il tempo
che va da una rovina all’altra. Come
la lava fatta pomice, leggera,
pare voglia risorgere e prillare
nel vento, finché il soffio la precipiti
nell’abbraccio del mare, però cade
tra rovi e cespi d’agave, diventa
sabbia senza clessidra. Cosí, vana
è la sorte dell’uomo: male e bene,
incapace di scegliere tra il fuoco
del sangue e la dolcezza dell’amore,
tra il furore e la pace che consola.
Finché non scenda nel suo cuore in fiamme
l’eterica radianza del pensiero:
tra fiore e magma, al vento del silenzio,
la Parola non detta che sublima.
Fulvio Di Lieto