Seppellire la morte

Socialità

Seppellire la morte

Cerciello Rega

Mario Cerciello Rega

La recente cronaca di Roma ha dovuto registrare un fatto di sangue particolarmente efferato: un ragazzo americano ha ucciso un giovane carabiniere colpendolo undici volte con un coltello da marine portato clandestinamente in Italia. Delitto con tanti lati oscuri ma con una lampante evidenza: i protagonisti, l’americano e il suo compagno di viaggio, consumavano (e spacciavano?) droga, i due carabinieri, il pugnalato a morte e il suo collega, erano di pattuglia per controllare e frenare il consumo dilagante di oppiacei e stupefacenti che affligge la capitale. Una piaga che si aggiunge al malgoverno, dovuto questo non tanto all’incapacità degli amministratori (negli anni di varia notazione politica) quanto al gigantismo della realtà metropolitana, soggetta a una immigrazione incontrollata e ai guasti e al disagio che tale condizione di quasi anarchia produce. I luoghi delle “movide” serali sono imbrattati da mozziconi di hashish e da siringhe lordate di siero e di sangue, il Tevere è un cocktail di narcotici.

Sbalordisce l’acquiescenza alla morte e l’abbandonarsi inermi, quasi giulivi, ai rituali che la inducono. Sarebbero dunque, tutti coloro che vivono nelle metropoli, votati al trionfo finale della Morte?

Chi crede nella figura del Cristo e nel suo sacrificio sul Golgotha, sa che la morte è stata vinta per sempre. La morte del Dio fattosi uomo garantisce alla periclitante creatura umana la Vita Eterna. Questa verità è alla base della dottrina cristiana e il Cristo l’ha resa probante con la Sua resurrezione.

Afferma San Paolo che senza la resurrezione di Cristo il cristianesimo e i cristiani non si giustificano. Eppure, a guardare con occhi spassionati il palcoscenico del mondo, ci accorgiamo che la morte, sconfitta dal Cristo, viene corteggiata da un’umanità sedotta dal cupio dissolvi. Dismesse le pratiche liturgiche delle antiche fedi, ridotti gli ateismi e le miscredenze ai livori di un sapere che dopo millenni non è riuscito a debellare le malattie e la fame, e neppure a smaltire in maniera seria i rifiuti e le scorie inquinanti, ci accorgiamo che l’homo sapiens è invischiato in maccalube di inanità autodistruttiva da cui non sa come uscire. Anzi, quando ci prova, non assistito com’è dal sapere del cuore ma dalla supponenza cerebrale, produce disastri peggiori del male che vorrebbe, in buona o mala fede, sanare. Specie quando mette mano ai guasti ambientali.

I laghi svizzeri della Romandia, Lemano e Neuchâtel, ritenuti dagli esperti troppo inquinati dai fosfati di saponi e detersivi, oltre che dagli scarichi fognari, sono stati sottoposti a un pluriennale trattamento chimico di depurazione intensiva e onnipervasiva. Tanto pervasivo è stato il trattamento di depurazione che tutti i batteri presenti nelle materie, inquinanti e non, sono stati azzerati. Ciò ha interrotto il cosiddetto ciclo vitale per cui un batterio nutre l’altro, in una catena di mutuo sostentamento di cui l’uomo è il maggior beneficiario. Lungo la catena brutalmente e integralmente interrotta dagli agenti correttivi immessi nelle acque dei detti laghi, le vittime piú illustri sono state, tra le tante, i coregoni, l’equivalente di spigole e dentici della fauna ittica marina. Un’ecatombe. Ora le acque dei due laghi svizzeri sono quanto mai chiare, fresche e dolci, ma disperatamente sterili.

È stato debellato dagli esperti persino il tenacissimo e irriducibile batterio che sulle confezioni di detersivi casalinghi figura nel meta-spazio tra il 99,99% e il 100% della popolazione batterica attiva nei rifiuti liquidi, solidi e organici che la bulimica civiltà dei consumi produce in quantità cosmiche. Non il batterio, dunque, metterà fine all’Esperimento Uomo, ma un cocktail maldestro di saponi e detergenti.

asteroideSulla scorta di tali notizie possiamo altresí ridimensionare alcune apprensioni di origine astronomica. Si rassicuri e dorma tranquillo chi teme l’impatto, dato per certo dai media, del­l’asteroide 2006QV89 con la superficie del nostro pianeta, la mattina del 9 settembre. Ignota la regione che potrebbe essere colpita. Ovunque sia, con molta probabilità il meteorite farà un grosso buco, come è avvenuto molte volte in passato. Ci ricaveranno un laghetto artificiale per la pesca sportiva, oppure, per un progetto umanitario, uno slum attrezzato per i senzatetto e gli sbandati. L’uomo risolve in tal modo gli incerti sociali e spaziali.

Sorge spontanea la domanda: cos’ha di speciale la creatura umana per essere stata scelta dalle Gerarchie a realizzare un disegno d’immortalità nella vicenda della materia psicofisica altrimenti peribile?

Una risposta sommaria se la danno da sempre gli evoluzionisti, come argutamente fa lo scrittore Tom Wolfe nel suo saggio Il Regno della Parola: «Dal punto di vista fisico, l’essere umano è un caso piuttosto disperato: i suoi denti, compresi i canini, sono dentini da bebè, e riescono a malapena a intaccare la buccia di una mela acerba; i suoi artigli servono al massimo a grattarsi dove gli prude, il suo corpo, dai legamenti lunghi e sottili, è mingherlino se paragonato a quello degli altri animali delle stesse dimensioni. Gli altri animali delle stesse dimensioni? In uno scontro a zampate, unghiate e morsi, se lo mangerebbero a colazione! Eppure l’uomo li domina o li controlla tutti in virtú del suo superpotere: il linguaggio».

Constatare la natura di un fenomeno non vale tuttavia a spiegarlo in termini scientifici soddisfacenti. Ben altri misteri erano stati indagati e chiariti con lo studio e la ricerca sistematica nel corso degli anni. Einstein, teorizzando la velocità della luce, aveva formulato la relatività spazio-temporale; Pasteur aveva individuato la responsabilità dei batteri in molte malattie dell’apparato respiratorio; la struttura del DNA, le tessere del puzzle genetico, era stata studiata e codificata da Watson e Crick.

LinguaggioLa parola, dunque, ha posto la creatura umana al sommo della piramide del vivente creato per animare la vicenda cosmica. Indagare perché e come tale privilegio è stato accordato a un essere tutto sommato mediocremente quotato nelle funzioni e azioni vitali, è stato il mistero principe su cui gli evoluzionisti, a diversi livelli e gradi di conoscenza e specializzazione, si sono impegnati nel tempo, Darwin in testa. Un gruppo di ‘sapienti’ in particolare, formato, oltre che da linguisti, da biologi e antropologi, si è dedicato negli anni recenti a dipanare la matassa del “mistero dei misteri”, come la facoltà della parola, esclusiva della specie umana, è stata etichettata dal mondo scientifico. Capeggiava l’illustre consesso di studiosi Noam Chomsky, il massimo linguista a livello mondiale. Il 7 maggio del 2014, Chomsky, a nome del gruppo di ricerca, in un articolo apparso sulla rivista «Frontiers in Psycology» con il titolo “The mystery of language evolution”, annunciava che il mistero tale restava, nonostante tutti gli sforzi compiuti dal suo gruppo e da altri consimili a livello mondiale: «Gli interrogativi fondamentali sulle origini e sull’evoluzione della nostra capacità linguistica restano piú che mai avvolti nel mistero. Negli ultimi quarant’anni si è avuto un vero e proprio boom di ricerche sulla questione. Peccato però – concludeva il comunicato – che questo fiorire di studi si sia rivelato una colossale perdita di tempo, anche per le menti piú brillanti del mondo accademico».

Ci fosse stato un poeta nel gruppo, forse il mistero si sarebbe chiarito in termini metafisici. Bastava che uno degli esimi sapienti avesse letto Leopardi, per sapere, da intuito e non per codice, che “La parola è l’ancella del pensiero”, come aveva compreso, in un empito ispirativo, il Grande Solitario. Ma anche lui, l’autore dell’Infinito, condizionato dal sensismo imperante a quel tempo in ogni ambito della cultura e dell’arte, non andava oltre il processo mentale attribuito al cerebrale. Il pensiero raziocinante non possiede tuttavia la capacità di solcare indenne il mare ignoto del vacuum cosmico, ci si perde, vi fa naufragio. Eppure doveva risultare evidente e allo stesso tempo straniante, a lui e a tutti i ricercatori delle supreme verità, realizzare come il cervello umano, simile a quello delle altre specie animali, fosse in grado di elaborare capacità operative e creative uniche. Quale ignoto processo dovrebbe illuminare l’uomo, ispirandolo, perché sia in grado di leggere i codici sorgivi di sublimazione della materia bruta, della speculazione raziocinante e articolare la lingua degli archetipi? Si tratta soltanto del­l’omerico “Cantami o Diva…”, ossia il favor dei accordato ai poeti e ai creativi in genere, o si tratta di una facoltà che l’essere umano può acquisire mediante autodisciplina?

cervello e pensieroFacoltà non legata, in realtà, alla sola capacità espressiva vocale, prerogativa regina della specie umana nella complessa e articolata vicenda evolutiva. Un nucleo segreto di potenza ferve nei precordi della creatura pensante, in parte accennato per intuito dal “cogito ergo sum” cartesiano, ma in seguito perfezionato a piani di avanzamento speculativo, trasformando l’ergo sum in ego sum e infine nell’IoSono, che era risuonato a Mosè in vetta al Sinai, incidendo la propria essenza morale nella pietra.

Se il gruppo di sapienti capeggiato da Chomsky avesse tenuto in considerazione l’assioma di Leopardi, per cui la parola è ancella, ossia serva, del pensiero, avrebbe dedotto che la creatura umana, la sola nella scala evolutiva dotata del linguaggio, sarebbe di conseguenza anche l’unica a formulare il pensiero da cui la parola dipende. E di deduzione in deduzione sarebbero arrivati a Kant che assegnava all’Io puro o trascendente la facoltà di formulare pensieri non condizionati dalla realtà fisica, mentre definisce empirico l’Io che dalla realtà trae coscienza. E sarebbero poi arrivati a Hegel per il quale l’Io, manifestazione dell’assoluto, fatta l’esperienza della natura, assume la consapevolezza di sé nel mondo dello Spirito e si rivela a se stesso. Sarebbero arrivati, per estrema deduzione, all’IoSono della creatura coinvolta nel disegno di sublimazione come fattiva, determinante operatrice, al riconoscimento di una forza trascendente la fonte del pensiero umano, un seme biogenetico per cui l’uomo pensa e capisce la vita che lo coinvolge, mentre l’animale sente e subisce nell’astrale il proprio destino biologico, la pianta sviluppa il proprio nella sfera eterica, e il minerale risplende nel dominio dell’inerzia molecolare.

Questo avrebbero chiarito gli illustri componenti del gruppo di ricerca sulle origini del linguaggio umano, il “mistero dei misteri”, se solo avessero proceduto con l’umiltà richiesta a chiunque indaghi tali quesiti. Ma si sono persi nella spirale di nebbia dei massimi sistemi razionali per cui un nobile arcano diviene un rebus irrisolvibile.

Risolvibile invece dai criteri della Scienza dello Spirito, chiave di volta della filosofia occidentale nella ricerca dell’Uomo-Spirito. Scrive Rudolf Steiner nella sua biografia La mia vita (O.O. N° 28): «E mi rendevo conto che nessuna speculazione filosofica, se vuol giungere alla realtà vera, ha il diritto di andare con il pensiero oltre il fenomeno. I fenomeni stessi del mondo rivelano questa realtà, quando l’anima, divenuta cosciente, si rende atta ad afferrarla. Chi accoglie nella coscienza solo ciò che è afferrabile dai sensi, può cercare la realtà in un “al di là” della coscienza; ma chi afferra l’elemento spirituale nella percezione interiore, ne parla come di cosa appartenente a un “al di qua” e non a un “al di là” (nel senso della teoria della conoscenza). In Hartmann mi riusciva simpatica l’osserva­zione del mondo morale, perché qui egli trascura completamente il suo punto di vista dell’“al di là” e si attiene all’osservabile.

OrchideaIo volevo che la conoscenza dell’essere risultasse dall’approfondi­mento dei fenomeni, fino al punto in cui essi stessi rivelano la loro essenza spirituale, e non dall’elucubrazione su ciò che sta dietro ai fenomeni. Cercando di comprendere in tal modo l’es­sere della pianta, si è assai piú vicini con lo Spirito ai processi naturali, che non afferrando l’inorganico con i concetti amorfi. Per l’inorganico si afferra solo una parvenza spirituale di quanto, in natura, esiste in forma priva di Spirito. Ma nel divenire della pianta vive qualcosa che ha già una lontana somiglianza con ciò che nello Spirito umano si forma come immagine della pianta. Ci si rende conto che la natura, producendo l’organico, porta ad efficienza in se stessa un’essenzialità affine allo Spirito. Nell’introduzione alle opere botaniche di Goethe, volli mostrare come, con la sua teoria della metamorfosi, egli abbia preso la giusta direzione per pensare i processi organici della natura, in modo affine allo Spirito. E ancora piú affini allo Spirito appaiono, per il pensiero di Goethe, i processi che si svolgono nella natura animale e in ciò che è natura nell’uomo. …Per Goethe la forma umana era una metamorfosi della forma animale, portata a un grado superiore di sviluppo. Tutto quanto appare nella formazione animale deve trovarsi anche in quella umana, ma in forma superiore, in modo che l’organismo umano possa diventare il portatore dello Spirito autocosciente. …Nella forma organica dell’uomo agiscono forze creative spirituali che operano in essa una suprema metamorfosi della conformazione animale; queste forze sono attive nello sviluppo dell’orga­nismo umano, e si esplicano infine quale spirito umano, dopo aver fatto del corpo (sostrato naturale) un recipiente, capace di accoglierle nello stato di esistenza libero dalle forze della natura, che è loro proprio. L’interpretazione materialistica delle scoperte di Darwin conduce a formare, sulla base del­l’affinità tra l’uomo e l’animale, delle rappresentazioni che rinnegano lo Spirito proprio là dove nel­l’esistenza terrestre esso si manifesta nella sua forma piú alta, cioè nell’essere umano. La concezione goethiana conduce a riconoscere invece la conformazione animale come una creazione dello Spirito, la quale però non ha ancora raggiunto quel grado di sviluppo in cui lo Spirito possa vivere come tale. Ciò che nell’uomo vive come spirito, opera nella forma animale, a un gradino precedente di sviluppo; e nell’uomo modifica questa forma sino al punto di manifestarsi non solo quale Spirito operante ma quale Spirito che sperimenta se stesso».

Se la creatura umana è la sola in grado di articolare parole, quindi la sola a possedere, grazie all’Io, il potere di nominazione della realtà creata, essa è anche l’unica a formulare, sempre per mezzo dell’Io, pensieri che descrivano le impressioni ricevute nel contatto fisico e visivo di tale realtà e dei soggetti e oggetti che la compongono e la animano.

Antonio Maria Esquivel Michele caccia Lucifero dal cielo

Antonio Maria Esquivel «L’Arcangelo Michele scaccia Lucifero dal cielo»

La presenza dell’Io nella creatura umana, la trascendenza sovrannaturale e la metafisica negli oggetti e nei soggetti formano, dall’inizio della vicenda cosmica umana, la posta in gioco contesa tra le forze di Michele e gli Ostacolatori, le cui schiere, nel tempo storico, hanno incorporato e incarnato, in varie forme, le milizie preposte a sabotare e distruggere ogni tentativo delle creature umane a sublimarsi, fino ad acquisire, come è previsto per l’essere umano, il corpo di luce, preludio alla sua immortalità.

Lotta senza quartiere e senza esclusione di colpi, come quella della mimesi cristica nella figura dell’Anticristo, dispensatore di beni materiali, onori e privilegi sociali, avvenenza fisica, salute e longevità. Un pacchetto di doni prestigiosi cui è difficile opporre un rifiuto. E infatti, come era predetto, l’Anticristo “sedurrà molti”, uomini e donne sensibili alle lusinghe materiali, all’oro, da intendersi non solo come metallo ma come ambizione e libido degli onori e delle remunerazioni. L’espressione “vendersi l’anima”, riferita agli emuli di Faust, ha indicato in passato e tuttora indica, non tanto chi incautamente cede alle lusinghe di Mefistofele commettendo il male ma, come rispose Bernadette agli inquisitori che volevano metterla in difficoltà, soprattutto chi ‘ama’ il Male. 

Nella sua ingenuità disarmata e disarmante, ma illuminata dal  suo Io santificato dalla forza della fede, la piccola e fragile montanara dei Pirenei metteva in guardia, con un giudizio lapidario, contro la piú subdola e invisibile delle tentazioni: quella di fare lega con il Male, divenendone agenti promotori, fino ad amarne ogni aspetto e fino a lasciare che le orde dei suoi Asura divorino il nostro Io.

Luca Signorelli «L'Anticristo»

Luca Signorelli «Il Giudizio Universale – L’Anticristo»

Nell’affresco del Giudizio Universale, Luca Signorelli, vi­sionario, possente, ispirato, ha voluto dare a chi osserva l’o­pera, di rara maestria pittorica, la sensazione di assistere alla scena finale della storia umana, un avvicendarsi di col­pa e redenzione, esaltazione e caduta nell’errore. Domina su tutte le figure quella dell’Anti­cristo, l’inganno estremo del Male per confondere e perdere l’uomo. Doppio e abile contraffazione del Salvatore, di cui compie i miracoli e le guarigioni, predica parabole, promette beatitudini, l’Anticristo attacca, servendosi dei suoi accoliti, non l’anima dell’uomo, ossia la sua sfera astrale, come Lucifero e Arimane, ma il suo tesoro piú prezioso: l’Io, il seme di luce che lo guida alla sua divinizzazione. La creatura umana deve opporvi, con la sua risvegliata coscienza, le adeguate difese animiche, con l’aiuto del Logos: «Non Io ma il Christo in me».

È questa la battaglia esiziale alla quale è chiamato l’essere umano: impedire che i Tentatori arrivino ad assolvere il compito che è stato loro affidato dalla Divinità per temprare l’uomo. Molte le insidie per indebolirne le difese. L’esito fatale sarebbe la morte dello Spirito, cui seguirebbe il fallimento del progetto divino di rendere l’uomo un essere partecipe dell’opera delle Gerarchie.

L’esito della battaglia non è scontato. Gli Ostacolatori, ognuno a proprio modo e con le armi piú scaltre, cercano di avere ragione dell’umanità. Instillano nell’interiorità delle creature, al posto del­l’amore per la vita e la bellezza, per la misura e l’armonia, la seduzione mortifera dell’horror vacui, la dissoluzione dell’armonia. Musica, poesia, pittura, letteratura, cinema, tutte le arti in genere, risentono della congiura sempre piú insinuante contro l’Io umano. Per sconfiggerla, vale il pensiero libero dalla pania dei sensi, e «l’Amor che move il sole e l’altre stelle».

Fortunato Pavisi scriveva: «Il paradosso della nostra epoca è questo: la massima intelligenza raggiunta dall’umanità s’accompagna con l’assoluta incapacità di pensare. Solo su tale fatto si regge il materialismo: abbiamo perso il contatto con la realtà e l’astrazione ci ha portato a navigare in un mare di nuvole, lontanissimi dalla Terra, in una regione ove tutto è instabile e caotico. …Quello che mi entusiasma dell’Antroposofia non è certo il fatto che essa solleva l’uomo alle altezze spirituali, ma piuttosto il fatto che lo mette saldamente sulla Terra, a contatto diretto con la realtà. La Scienza dello Spirito, se giustamente compresa, è anche la vera ed esatta scienza della materia. L’uomo del tempo nostro ha perso il contatto con lo Spirito non perché è disceso nella materia, ma perché l’intelligenza astratta lo ha distaccato dal reale. Chi si apre alla visione del concreto e del reale, trova lo Spirito già nel mondo dei sensi: In ciò sta l’importanza storica dell’Antroposofia e la grandezza spirituale di Rudolf Steiner. Per la prima volta nella storia dell’umanità una grandiosa concezione spirituale dell’universo, destinata a essere il seme di una nuova civiltà, si presenta non piú come una rivelazione divina, ma come scienza umana. Perciò l’edificio di Dornach ha preso il suo nome da Goethe. Per goetheanismo si deve intendere prima di tutto una visione del mondo strettamente aderente al fenomeno osservato, al fatto sperimentale, cioè reale. Io lo chiamerei materialismo concreto, per distinguerlo da quello astratto e speculativo di Newton e Darwin.

Goethe e Steiner

Wolfgang Goethe e Rudolf Steiner

Ma è proprio il materialismo concreto di Goethe che offre il miglior fondamento per costruire uno spiritualismo altrettanto reale e concreto. Perciò, per comprendere Rudolf Steiner bisogna prima comprendere Goethe, ma purtroppo gli uomini del tempo nostro sono troppo ‘intelligenti’ per conquistarsi questa comprensione. O troppo spiritualisti. Il materialismo, poggiandosi sulle concezioni atomistiche, dichiara che il contenuto percettivo del mondo è puramente soggettivo, è una illusione assoluta dell’uomo. Cioè è maya. Ma la Scienza dello Spirito è appunto qui per dire agli uomini che dopo l’evento del Golgota il mondo dei sensi, il mondo fisico-materiale, la Terra, insomma, con tutto il suo contenuto, non è maya, ma realtà. Il materialismo, ben inteso, è oggi il piú alto fatto spirituale».

Il Cristo ha affrontato sul Golgota la Morte e l’ha vinta. All’uomo il compito di seguire le sue orme, arrivando a seppellire la Morte. Solo cosí il mondo potrà rifiorire e l’umanità, la natura, l’ordine delle cose ritornare al loro Principio.

 

Leonida I. Elliot