Accogliere l'Ospite divino

Ascesi

Accogliere l'Ospite divino

Comunicare con il Divino, cosí da sentirlo come potenza superumana agente in te, capace di trasformare il tuo corpo “animico” e quello fisico, significa abbandonarti coscientemente alla forza divina, aprirti ad essa come dice Aurobindo, e lasciare che essa operi la trasmutazione di te. Il corpo fisiopsichico deve essere però prima preparato a ciò da una perfetta purificazione: conseguita tale condizione, tu puoi accogliere il Grande Ospite: il Divino può discendere in te e operare il grande prodigio. Tu lo senti pervadere ogni tua cellula, spiritualizzarla, rinnovarla, divinizzarla: tutto il tuo essere diviene una completa espressione del Divino.

 

I princípi sono: calma, concentrazione, purificazione, continua e cosciente ricettività verso il Divino.

Tu sei un Dio che si è sprofondato nella materia, ne ha assunto la veste, per ricondurla al Divino.

 

Domina, trasforma, divinizza l’animale in cui abiti.

 

Ogni trasformazione o guarigione fisica si compie attraverso l’azione del cuore: questo deve essere mosso dall’io psichico che è fuori, dietro di noi (purûsha), mentre l’operazione deve venir alimentata dall’Io divino (âtman). È l’infusione fluidica di una volontà superiore attraverso il centro che domina la vita sensibile: il cuore. Per una piú profonda e organica trasformazione, il centro irradiatore è quello dell’ombelico.

 

Non c’è malattia che non dipenda da una disarmonia della coscienza.

 

La salute è anzitutto una salute della coscienza: da un’armonica e chiara coscienza si sprigiona una forza sottile capace di rigenerare le cellule del corpo fisico. Tale chiarezza e tale armonia partono dal cuore.

 

La felicità e la vittoria consistono nell’aver resistito attraverso le prove e le sofferenze.

 

La guarigione divina si opera attraverso l’amore superumano: è il sole che dall’alto del cuore illumina le oscure profondità dell’essere fisio-psichico.

 

Ascesi 5Respirare nella contemplazione profonda significa corporificare lo spirito e spiritualizzare il corpo.

 

Il rilasciamento totale è il principio della calma fisica e l’inizio del silenzio psichico: rilasciamento in cui ogni tensione svanisce, ogni intimo ingorgo si scioglie, per dar luogo alla “beata serenità”. Lo spirito allora si desta e può liberamente agire, infondendo nell’“umano” il “divino”. L’ani­ma è lo strumento sottile di tale infusione.

Hatha Yoga, Pranayama, Asanas, Juju-jitsu, ginnastica ritmica interiorizzata, sono necessari per euforizzare il fisico secondo la disciplina spirituale. Cosí da assecondare la discesa della luce e della potenza nel corpo.

 

Abituarsi ad agire nel mondo fisico secondo la potenza divina: assuefare il corpo a una regola piú sottile e piú alta di quella sanitario-sportiva: è lo Yoga corporeo necessario ad adeguare l’organismo al movimento a-umano dell’energia trascendente in esso. Ciò implica l’abitudine, o la facoltà di recare la “presenza” interiore nella disciplina fisica.

 

La continuità della concentrazione – naturalmente senza alcuna tensione – è una condizione essenziale per dare al proprio essere l’impulso unificatore e trasformatore. Preghiere, meditazioni, riti – pur costituendo un appoggio validissimo – hanno un valore relativo rispetto a quello dominante di una continuità introspettiva identica attraverso ogni vicenda profana.

 

Raggiungere una concentrazione che divenga spontaneità, ossia natura.

 

Rendere partecipe il corpo di ogni illuminazione ed acquisizione dello spirito: questo è il segreto.

 

Dischiudere il varco all’infusione della Luce e della Potenza. Accogliere, ricevere l’Ospite divino.

 

Quando la conoscenza si fa in noi, ci avvediamo a un tratto che l’unica realtà è lo spirito: l’anima è irreale se non è vivificata dallo spirito e cosí il corpo. Tutto è illusione finché il nostro io non si identifichi con lo spirito, ossia con ciò che è eterno e divino in noi.

 

La sapienza e la scienza possono anche affiorare in noi senza che abbiamo compulsato libri o consultato maestri, ma sol che sbocci la conoscenza nascosta del Sé che dorme nel piú profondo dell’essere.

 

Non è possibile preoccuparsi di ostacoli o contrarietà esteriori quando si ha la certezza che il risveglio della “luce” nel cuore, l’infusione del Divino in tutto l’essere e la trasformazione che ne consegue, giungono a modificare completamente per noi l’aspetto e la sostanza della realtà esterna.

 

Quando il Divino è desto in noi esso agisce per noi, combatte e vince per noi, a patto che noi non gli creiamo impedimenti con la nostra “ignoranza”.

 

L’“io” umano lottando sul piano della manifestazione materiale è destinato a perdere, a soffrire, a scoraggiarsi: che sappia vedere il Divino, volgersi ad Esso, consacrarsi ad Esso e affidare ad Esso il peso della sua vita sensibile: cesserà di soffrire e vincerà. Occorre che l’io ceda il posto al Divino e lo lasci agire compiutamente, profondamente, in sé. Dolori, preoccupazioni, noie, angosce svaniranno d’un tratto, per fare posto a una radicale, vasta gioia che pare in contatto con l’etere cosmico, con la potenza di luce, con la felicità dell’infinito.

 

Dirsi: “Io non appartengo piú a me, appartengo al Divino. La mia vita è uno strumento del Divino. Io non esisto piú, esiste solo il Divino in me”. Realizzare ciò con il pensiero, con il cuore e con la volontà.

 

Quasi tutte le sofferenze morali, i turbamenti, le preoccupazioni dipendono dalla suscettibilità, dalla instabilità e dalla “femminilità” della nostra anima samsarica. Occorre finire di farla spadroneggiare in noi: occorre freddamente, spietatamente ridurla all’obbedienza, rieducarla alla scuola dello spirito, ricostruirla. Un segreto è già il disidentificarsi da essa e assistere da impassibili testimoni ai suoi isterismi.

 

La misura della nostra preparazione interiore e del grado di sviluppo spirituale raggiunto è l’azione, ossia l’applicazione nella vita pratica.

 

Cessare di aderire ai mutevoli amori dell’anima convergendo la coscienza nell’intimo eterno, nel centro della stabilità creatrice, d’onde si deve prendere le mosse per ricreare se stessi, ossia per identificarsi col Divino.

 

Massimo Scaligero


  1. Scaligero – A un discepolo – 17-26 gennaio 1937.