Per la critica neotestamentaria il prologo di Giovanni non è un testo che presenta speculazioni cristologiche sulla preesistenza del Cristo. Intenderlo cosí – suggerisce Joachim Jeremias (Il messaggio centrale del Nuovo Testamento, Brescia 1968) – sarebbe un equivoco. L’incipit del Vangelo di Giovanni è invece un salmo, un inno sul tipo del Magnificat, del Benedictus. Per noi, al contrario, il prologo è un piccolo poema scritto in linguaggio gnostico che racchiude tutta la vicenda cosmico-terrena del Cristo. I 14 versetti del prologo di Giovanni, in quanto corrispondono ai cosiddetti Vangeli dell’infanzia di Luca e Matteo, che narrano l’origine del Gesú natanico e del Gesú salomonico, descrivono l’origine del Cristo, la sua preesistenza ultraterrena, la sua progressiva incarnazione.
Che cosa si intende per Logos nel Vangelo di Giovanni? Si intende il Cristo disincarnato, l’impulso del Cristo prima che esso scendesse nel corpo umano di Gesú di Nazaret. Questo principio ha dietro di sé tutta una storia, una storia cosmica, che gradualmente ha condotto questa suprema entità spirituale a contatto con la Terra, come Giovanni stesso scrive nei quattordici versetti. Abbiamo visto come Maître Philippe descrivesse il principio del Cristo alla gente semplice di Lione: è il modello, il pensiero di tutte le cose, diceva Philippe. Non è una scoperta di Philippe, perché è in fondo un’idea ben familiare all’apostolo Paolo, il quale dice (I Cor. 15, 49) che, come abbiamo portato in noi l’immagine terrena di Adamo che fu fatto di terra (’adamah), cosí porteremo in noi l’icona, l’immagine dell’uomo celeste, del Cristo, il secondo Adamo. Questa preesistenza del Logos disincarnato ritorna nei Padri greci: Clemente Alessandrino, per esempio, negli Stromata (VI, 16) sosteneva che la luce del primo giorno preesiste alla creazione: essa «è la vera luce del Logos che illumina le cose ancora nascoste e mediante la quale ogni creatura accede all’esistenza». Tutti i grandi Padri greci (Eusebio, Clemente, Origene, Atanasio…) hanno sostenuto la preesistenza del Logos, sulla scia di Paolo, dicendo che Dio aveva creato l’uomo avendo di fronte a sé come modello il Cristo.
Il Cristo, secondo Rudolf Steiner, è la piú alta delle entità solari, la piú alta entità di tutta l’evoluzione cosmica. Questa entità ha agito nella storia cosmica sotto la forma complessiva degli Elohim, dei sei Elohim che diedero vita al mondo e all’uomo nei sei giorni della creazione («tutte le cose furono fatte per mezzo di lui»). La parola ebraica Elohim è uno dei nomi di Dio.
La Bibbia infatti, fra i tanti attributi che dà a Dio, lo chiama soprattutto Elohim o Yahwèh. La parola Elohim è un plurale dell’antica parola Eloah, che deriva dalla stessa radice El, dalla quale proviene il nome arabo ’Allah. El infatti era una delle grandi divinità del mondo semitico. Ritroviamo chiaramente l’uso di questo plurale in alcuni versetti, che attestano come l’antico ebreo avesse ancora coscienza della pluralità del mondo spirituale: «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza» (Genesi 1, 26), oppure «Ecco l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male», dicono gli Elohim dopo la caduta (Gn 3, 22).
Lo Spirito creatore nella Bibbia si chiama Ruah Elohim (Vangelo di Matteo – O.O. N° 123): esso è lo Spirito degli Elohim che originariamente aleggia sulle acque. Scrive Steiner: «Ciò che chiamiamo Logos è la somma dei sei Elohim che sono uniti al Sole, i cui doni spirituali affluiscono sulla Terra mentre esteriormente irradia sulla Terra la luce solare. …Gli Elohim sono i veri Spiriti della Luce, gli abitanti del Sole» (Vangelo di Giovanni – O.O. N° 103).
Il Logos era la guida delle entità spirituali che, quando il Sole si staccò da quell’unico pianeta che era il Sole-Terra-Luna, uscí con il Sole. Dalla sua posizione solare il Logos ha da sempre aspirato a riavvicinarsi all’atmosfera terrestre, all’uomo, attraverso poderosi fenomeni cosmici, nell’intento di trasformare il nostro pianeta in un Cosmo dell’amore (Vangelo di Luca – O.O. N° 114).
Che cosa sapevano del Logos le civiltà antiche, le antiche Guide dell’umanità?
Agli antichi Indiani, che si distinsero per l’elevata elaborazione del corpo eterico, che essi percepivano come prana, il Logos apparve come Vita e lo chiamarono Višvakarman, «Colui che crea tutto», il Dio architetto del cosmo, Colui che dà vita e forma a cielo e terra: il progettatore del mondo. E di ciò parlano gli antichi inni dei Veda.
Agli antichi Iranici, emblematicamente rappresentati in Zarathušthra, il grande profeta del mondo iranico, il Logos si rivelò come Luce, e fu chiamato Ahura Mazdâ, il «supremo Signore» o «Signore pensante» che vive nella luce solare. Nella concezione zarathuštriana il dio Ahura Mazdâ è «buono e santo (spenta)»: la Bontà, la Santità, la Saggezza sono i nuovi ideali connessi a questo essere supremo, che ha creato il mondo con il pensiero. Il dio supremo è identificato col sole (Yasna 30, 5) e si dice che abbia per veste il firmamento (Yašt 13, 3; Yasna 43,16). Questa concezione del Logos come Luce è consona al particolare sviluppo che nell’epoca iranica ebbe il corpo astrale.
Successivamente a Mosè, sul monte Sinai, il Logos apparve sotto forma di elemento ancora piú terreno: comparve come fuoco tra i fulmini, come Roveto ardente. Rivela infatti Rudolf Steiner (Cristo e l’anima umana – O.O. N° 155) che «Colui che guidò Mosè, che apparve a Mosè nel roveto ardente, Colui che condusse il popolo attraverso il deserto, che fece sgorgare acqua dalla rupe, quello era il Signore, era il Cristo! Ma non era ancora venuto il suo tempo: nemmeno Mosè lo riconobbe. Mosè lo prese ancora per un altro».
Secondo la legge biogenetica fondamentale dell’evoluzionista Ernest Haeckel, una legge condivisa da Rudolf Steiner, «l’ontogenesi ricapitola la filogenesi», pertanto questa ricostruzione della incarnazione storica del Logos non fa che ricapitolare l’evoluzione del cosmo.
- In principio era il Logos = Saturno, corpo fisico = mondo intuitivo
- il Logos era la Vita = Sole, corpo eterico, Višvakarman = mondo ispirativo
- la Vita era la Luce degli uomini = Luna, corpo astrale, Ahura Mazdâ = mondo immaginativo
- Il Logos si è fatto carne = Terra, la discesa dell’Io in ogni uomo, Io-Fuoco.
Il Logos è la Parola, che prima di essersi incarnata nella compagine umana di Gesú di Nazaret è dunque risuonata nel cosmo, avvicinandosi gradualmente alla Terra. Ecco che infine si incarna come Cristo, sceglie la Terra come dimora – come si legge nell’ultima preghiera giovannea – e sceglie l’uomo come amico («vi ho chiamato amici» Gv 15, 15); ed eccolo infine manifestarsi come Spirito Santo, elemento di fuoco che si incarna in ogni uomo grazie all’evento della Pentecoste. Sono quattro, secondo l’antroposofia, le tappe, per cosí dire, evolutive della vita del Cristo o, meglio, della sua incarnazione nel corpo umano di Gesú e quindi nell’umanità stessa:
- il battesimo del Giordano
- l’atto di camminare sulle acque
- la Trasfigurazione sul monte Tabor
- l’ingresso a Gerusalemme nella domenica delle Palme.
Il battesimo nel Giordano. Ci si è posti piú volte questo interrogativo: “Nei Vangeli si parla spesso degli angeli che intervengono in determinate circostanze spirituali vissute dal Cristo (Natale, Tentazione, Getsemani, Resurrezione), ma come mai non si parla dell’Arcangelo Michele? Compare mai nella narrazione evangelica un esplicito riferimento alla missione eterna di questo Arcangelo?”.
Sulla scorta della Bibbia (Dn 10, 13), il piú famoso autore di angelologia cristiana, Dionigi l’Areopagita, nel nono capitolo della Gerarchia celeste (trad. di G. Burrini, Tilopa, Roma 1994), scrive che l’arcangelo Michele (in ebraico, Mika’èl, “chi è come Dio?”) è il principe, la guida celeste del popolo ebraico, l’entità spirituale che veglia sui destini della comunità d’Israele. Questo sostiene la tradizione esoterica cristiana ispirata da Dionigi, alla quale fa idealmente seguito la cristologia steineriana, che vede in Michele l’entità celeste dell’intelligenza e del pensiero impersonale, l’entità che da sempre ha guidato l’intelletto umano nel suo cammino di conoscenza verso il Mondo spirituale. Tanto grande e vasta è la sovranità di Michele sul popolo di Palestina che, a prestar fede a Rudolf Steiner (Il Vangelo di Matteo, op-cit.), gli Ebrei sono stati il primo popolo nel quale si sviluppò il cervello come strumento del pensare, la prima etnia nella quale l’intelligenza rappresentò – oltre al cuore – una via attraverso la quale il Divino potesse discendere nell’interiorità umana ed esprimersi come elemento morale. Questo dono del pensiero come facoltà di coscienza spirituale venne fatto per la prima volta ad Abramo, e quindi fu trasmesso al “seme di Abramo”, cioè ai patriarchi, e dopo questi ai profeti. L’ultimo dei profeti dell’antico Israele, com’è noto, fu Giovanni il Battista: nelle sue parole e nella sua missione emerge tutto il valore dell’antico profetismo, il nucleo stesso dell’ispirazione michaelita veicolata dall’organo fisico del pensiero.
Che cosa dice infatti Giovanni? Dice e grida: «Metanoeîte» (Mt 3, 2) – cioè “mutate pensiero (noûs)” – e aggiunge: «poiché il regno dei cieli è vicino». Che cosa sia il “regno dei cieli” possiamo comprenderlo soltanto se riflettiamo su ciò che avveniva durante il battesimo praticato da Giovanni sulle rive del Giordano. Come spiega Rudolf Steiner, i battezzandi rimanevano sott’acqua fin quasi al rischio di annegare e, in seguito a ciò, vivevano quella che oggi viene chiamata “esperienza di pre-morte” (NDE) o “esperienza extracorporea” (OBE): i battezzandi piú evoluti spiritualmente subivano per pochi attimi il distacco del corpo eterico e del corpo astrale dal fisico e vedevano passare davanti ai propri occhi tutto il panorama della loro vita fin lí vissuta, in una visione retrospettiva: il progetto della propria vita.
Il “regno dei cieli” annunciato da Giovanni non era dunque un’esperienza iniziatica (che prevede la visione di specifiche entità divino-spirituali, la quale a sua volta si imprime poi sul corpo eterico), ma si trattava di un’esperienza per cosí dire propedeutica a una nuova consapevolezza dello Spirito, una visione che apriva le menti degli Ebrei alla certezza che davvero esiste, dietro la comune realtà fisica, un Mondo spirituale percepibile dall’uomo: un nuovo Io. Ecco perché Giovanni il Battista ripeteva: «Mutate pensiero», volendo dire: «Andate incontro a un nuovo modo di pensare e di percepire, diverso da quello che serve per comprendere la comune realtà». Questo volgersi a un nuovo modo di pensare veniva chiamato dalla tradizione ebraica con il nome di “ritorno” (tešuvàh), solitamente reso in italiano con “conversione”. Giovanni dice: «Io vi battezzo in acqua ai fini di un ritorno» (Mt 3, 11): ritorno alla via del pensare trasmessa dall’eredità di Abramo, dunque ritorno verso il deserto, la vera patria dell’anima ebraica, in cui Dio si era rivelato a Israele.
L’invito di Giovanni a “mutare pensiero”, l’esperienza offerta dal battesimo nelle acque del Giordano, il ritorno alla vita nel deserto, come del resto avevano fatto gli Esseni di Qumrân, sono le caratteristiche michaelite del messaggio del Battista, che si identifica tutto con quel battesimo di acqua, con quel rito di purificazione che è il passo ineludibile che introduce al battesimo di fuoco (Mt 3, 11), al battesimo pentecostale donato dal Cristo. Il messaggio di Giovanni sorge da una profonda ispirazione michaelita, che da allora fa parte integrante della missione del Cristo, anzi ne è momento essenziale, che si offre a chiunque intraprenda con intensità di pensiero e di fede il cammino verso la comprensione interiore dell’azione del Cristo sulla Terra.
Per il Gesú di Nazaret il battesimo nel Giordano rappresentò qualcosa di straordinario rispetto alla comune esperienza che esso suscitava, perché Gesú aprí le porte non al proprio Io umano (che nel suo caso era l’Io di Zarathuštra, a lui ben noto), ma all’Io divino, al Cristo. Lo stesso Giovanni il Battista (Gv 1, 31) comunica che egli battezzava con l’acqua perché il popolo d’Israele riconoscesse la realtà del Cristo, cioè riconoscesse – attraverso l’esperienza del proprio Io nella propria vita – la grande funzione spirituale dell’Io nell’evoluzione, dell’«Io sono».
Vorrei insistere su questa concezione dell’«Io sono» che non è cristiana, ma è biblica e risale alla rivelazione mosaica (Esodo 3), a quando Mosè chiede a Dio: «Ma mi diranno: “Come si chiama?” …“Dirai agli Israeliti: ‘Io-Sono mi ha mandato a voi’ … questo è il mio nome per sempre”». «’Ehyeh ašer ’ehyeh: io sono colui che sono», disse Dio a Mosè; questa voce verbale ’ehyeh, «io sono», trasformata in terza persona diventa «egli è». Ora la parola yahweh, secondo alcuni, è proprio una forma arcaica per dire «egli è» in ebraico (oggi si dice: yihyeh). Questa è una delle interpretazioni tradizionali usate per spiegare il nome di Dio, l’impronunciabile tetragramma YHWH.
Il Sinai è il luogo in cui per la prima volta viene rivelato, viene annunciato all’uomo il principio dell’«Io sono». Tuttavia l’antico israelita non percepiva l’«Io sono» come principio individuale, come forza gravitazionale dell’umano, ma l’avvertiva come forza etnica, spirito di popolo, obbedienza a un codice morale che creava una coscienza unitaria di popolo: ciò che l’antico ebreo avvertiva come identità o continuità etnica – espressa per esempio dalle parole bibliche «il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe» – verrà invece donato dal Cristo a ogni uomo. Queste riflessioni non ci vengono soltanto da Rudolf Steiner, ma anche da Vladimir Solov’ëv («Lezione sesta» delle Lezioni sulla Divino-umanità).
Possiamo illustrare questo principio dell’«Io sono» anche attraverso un altro concetto: il Cristo – com’egli dice – non è venuto «ad abolire la Legge e i Profeti… ma a dare a essi compimento» (Mt 5, 17), è venuto a portare dentro l’uomo, a interiorizzare il contenuto stesso della Rivelazione del Sinai, a trasformare la Legge esteriore in impulso interiore (R. Steiner, L’impulso-Cristo e la coscienza dell’Io – O.O. N° 116). Perciò agli occhi del Cristo non è soltanto importante compiere la buona azione conforme ai doveri religiosi, ma è soprattutto importante l’intenzione, la kawwanah. Ciò appare evidente da tutto il Sermone della montagna, in cui il Cristo al dettato della Legge, della Toràh, aggiunge tutta quella serie di «ma io vi dico» che, al di là del rispetto delle norme esteriori, vuole insegnare all’uomo lo sviluppo di una nuova coscienza di sé, una rinnovata consapevolezza del pensare e del sentire, insomma della propria interiorità (Ben Chorin). Questo è il senso della risposta che il Cristo dà al fariseo Nicodemo, che viene a trovarlo di notte: c’è un nuovo elemento – dice il Cristo – che rigenera l’uomo «dall’alto» e discende in lui, è lo Spirito che rinnova l’interiorità umana, un nuovo elemento libero che «soffia dove vuole, ne senti la voce, ma non sai da dove viene e dove va» (Gv 3). Chi rinnega questo intimo principio spirituale dell’Io sono che attende l’uomo del presente e del futuro, si macchia di una colpa infinita, e ciò è alluso da Mc 3, 29 con il detto: «Chi bestemmia lo Spirito Santo è reo di colpa eterna».
Il battesimo nel Giordano è strettamente legato alla tentazione nel deserto (Matteo 4, 1-11; Luca 1, 1-13). Sono le tre prove dell’Io del Cristo. Marco (1, 12-13) sintetizza: «Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto e vi rimase quaranta giorni, tentato da Satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano». La ruach – lo Spirito della creazione, lo Spirito che animava i profeti – conduce il Cristo alla prima prova, ad affrontare gli Ostacolatori dell’uomo nel deserto di Giuda. Come, infatti, il Cristo si accinge a penetrare nella compagine astrale, eterica e fisica dell’umano, cosí viene a fronteggiare i nemici dell’evoluzione spirituale dell’uomo. Rudolf Steiner, oltre che nel commento al Vangelo di Matteo (p.152), rivela il valore esoterico della tentazione nel Quinto Vangelo (O.O. N° 148) e presenta l’ordine delle tentazioni cosí come si presentano all’indagine interiore.
Il primo incontro avviene con Lucifero: è il terzo di Mt (4, 8) e il secondo di Lc (4, 5). Il nemico che spinge l’uomo all’orgoglio e all’esaltazione condusse il Cristo «in alto» e lo invitò ad adorarlo. È la prova del pensare, della conoscenza.
Il secondo incontro (il secondo di Mt e il terzo di Lc) vede comparire Lucifero insieme con Ahrimane, colui che per lo piú i Vangeli chiamano Satana, il demone della menzogna e della materia, il demone del materialismo: Lucifero fece parlare la sua presunzione, Ahrimane tentò di indurirlo contro la paura. Ma i due Ostacolatori si bilanciarono e l’attacco fallí, dice Steiner. È la prova del sentire: «Non tenterai il Signore Dio tuo».
Infine compare Ahrimane da solo: è la prova piú difficile. Ahrimane sfida il Cristo a compiere ciò cui è costretto l’uomo sulla Terra: trasformare la materia in mezzo di sussistenza, trasformare la materia in denaro e quindi in pane. Il Cristo, com’è noto, contrappose ad Ahrimane che gli uomini non vivono solo di questo pane estratto dalla materia.
Vi è però da dire che il Cristo, nei successivi tre anni della sua azione terrena, continua a trovare nuove risposte al quesito di Ahrimane: per questo va tra i pubblicani e i peccatori, i piú sprofondati nella materia, per vincere la logica di Ahrimane. Si legge in Mc 2, 16: «Non sono venuto per chiamare i giusti ma i peccatori», gli esseri sprofondati nella materia, coloro che vivono al di fuori della Legge mosaica. Al pane, di nuovo, si richiamerà il Cristo quando insegnerà ai discepoli a chiedere a Dio il pane quotidiano e non al proprio destino di esseri umani. Come dire: «Sarà il mondo spirituale a darvi il pane, perché il mondo spirituale è un padre che provvede a voi». Al pane si richiamerà il Cristo durante l’Ultima Cena.
La moltiplicazione dei pani. Gesú cammina sulle acque (Matteo, 14, 13-33; Giovanni 6, 1-21). Gesú compie un segno, dà un segno della sua missione. Una moltitudine di malati lo segue, circa cinquemila persone. Non c’è cibo, ma a loro Gesú distribuisce una quantità di pane e di pesci. Poi fa raccogliere i resti «perché nulla vada perduto». È Gesú stesso a spiegare il significato di questo segno nella sinagoga di Cafàrnao, in cui dice: «L’Io sono è il pane della vita». Nella vicenda biblica – dice Gesú – il Padre, attraverso l’operato di Mosè, ha dato il pane, sotto forma di manna; ora ha dato direttamente l’Io sono per saziare e dissetare le anime umane. Il Cristo fronteggia Ahrimane e dice: questo sia il vostro pane, la vostra prima necessità connessa alla sfera del volere, il cibo che non deperisce: il bisogno dell’Io. Il Cristo crea per cosí dire nel corpo astrale dell’uomo il bisogno dell’Io, l’aspirazione per l’Io, come c’è il bisogno di mangiare, di bere, di dormire. Grazie alla moltiplicazione dei pani e dei pesci comincia a vivere nell’anima dei discepoli ciò che vive nell’anima del Cristo. Con questo primo segno il Cristo conferma che non di solo pane fisico vive l’uomo, ma anche di un pane spirituale, che non si acquista trasformando la materia in denaro, quindi attraverso il criterio dell’utilità o del vantaggio personale.
A completare questo segno, Gesú compare di notte sulla superficie del lago di Genesaret, agitato da un forte vento. È un momento particolare per il Cristo: Gesú cammina sul lago di notte, mentre il suo corpo fisico si trova sul monte. Ormai il suo Io ha irradiato il corpo astrale, i corpi astrali degli uomini, cosí che la parte che in lui abbandona di notte il corpo eterico-fisico è l’Io piú l’astrale “cristificato”. Quando l’uomo dorme, insegna infatti la Scienza dello Spirito, il corpo fisico ed eterico restano nel letto mentre il corpo astrale e l’Io migrano verso i mondi spirituali, nei quali proprio il corpo astrale viene compenetrato dallo Spirito. L’astrale è insomma libero dalla forma fisica solo quando l’essere dorme. L’esperienza che viene narrata nei Vangeli si svolge di notte, durante il sonno dei discepoli, sostiene Steiner: mentre il loro Io-astrale si dirige verso i mondi spirituali, il Cristo, anzi l’unità Io-astrale del Cristo, va loro incontro e apre il loro corpo astrale a ricevere la luce cristica: «Sono io», dice, anzi dice: «Coraggio, Io sono, non abbiate paura».
La paura infatti è un moto naturale dell’astrale, un tipico moto dell’astrale abbandonato a se stesso, senza il calore dell’Io, senza il calore radiante del sangue pervaso dall’Io: la paura è pura attività nervosa animale, fredda espressione del sistema percettivo che accoglie senza dare. È l’Io che dà, che dona. Cosí facendo l’Io del Cristo si imprime sul corpo astrale degli uomini: perciò conduce Pietro sulla superficie delle acque. Pietro cammina, ma poi dimentica il potere radiante dell’Io, che gli ha detto «Coraggio, Io sono», Pietro allora si auto-osserva, si auto-percepisce con le forze astrali del sistema nervoso e rischia di sprofondare. Non essendo ancora pronti a ricevere l’Io del Cristo – come avverrà con l’evento della Pentecoste – i discepoli ricevono nel sonno la visione attiva e obiettiva del potere solare dell’Io del Cristo: il loro corpo astrale viene folgorato da questa visione (Vangelo di Matteo).
Questi due episodi evangelici – “La moltiplicazione dei pani” e “Gesú cammina sulle acque” – descrivono la discesa del Cristo nell’ambito del corpo astrale: il Cristo qui si presenta da un punto di vista esoterico come il nuovo Mosè. Infatti, come grazie alla mediazione di Mosè il Mondo spirituale manda la manna agli Ebrei, cosí il Cristo moltiplica i pani. Abbiamo visto che proprio il Cristo, nel discorso alla sinagoga di Cafarnao, fa riferimento a questo episodio della manna accaduto nel deserto. E non è escluso che anche il fatto che Gesú cammini sulle acque venisse visto come l’azione di un nuovo Mosè che attraversa le acque del Mar Rosso. L’atto di camminare sulle acque è la dimostrazione, la prova dell’azione compiuta secondo il Sé spirituale.
La Trasfigurazione. La Trasfigurazione (in greco, metamorphôsis) rappresenta il momento in cui la forza solare del principio-Cristo, del Logos, permea il corpo eterico del Gesú di Nazaret: essa è il preannuncio della futura Resurrezione, nel senso che grazie alle forze eteriche trasfigurate il Cristo potrà apparire ai discepoli nel periodo di tempo compreso tra la Pasqua e l’Ascensione (E. Bock, I tre anni, Oriago di Mira 1993).
«Il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce» (Matteo 17, 2): da queste parole ha preso spunto il cristianesimo orientale, che ha sempre celebrato nell’iconografia l’esperienza della luce taborica (P.N. Evdokimov, Teologia della bellezza. L’arte dell’icona, Roma 1984). L’icona della Trasfigurazione, in cui il Cristo appare affiancato da Mosè e da Elia, ovvero dalle figure che emblematicamente rappresentano la Legge (Torah) e i Profeti (Nabi’im), è tutta dominata dal tema della luce: le vesti del Cristo glorioso sono di un bianco immacolato ed emanano raggi di luce sfolgorante che trasfigurano la coscienza stessa dei tre discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, che assistono al fenomeno (C. De Lotto, Arte, leggende, miracoli. Leggere l’icona, Padova 1992).
Oltre all’analogia tra la profezia di Asita e quella di Simeone, già ricordata, Steiner segnala un’altra concordanza fra la vita del Buddha e quella del Cristo: il Nirvana supremo e la Trasfigurazione. Cerchiamo di comprendere in che senso Rudolf Steiner mette a confronto la Trasfigurazione del Cristo con il Parinirvana, il momento della suprema Illuminazione in cui il Buddha abbandona il nostro mondo.
«La fine del Buddha fu sublime. Egli si sentí ammalare durante un viaggio; giunse al fiume Hiranya, nelle vicinanze di Kušinagara. Si pose a giacere sopra un tappeto, disteso per lui da Ananda, il discepolo prediletto. Il suo corpo cominciò a risplendere dall’interno. Morí trasfigurato, come un corpo di luce, dicendo: “Nulla è durevole”. Questa morte del Buddha corrisponde alla Trasfigurazione di Gesú. …A questo punto finisce la vita di Buddha, comincia invece la parte piú importante della vita di Gesú: passione, morte e resurrezione. …La vita di Gesú ha …un contenuto maggiore di quella del Buddha. Il Buddha finisce con la Trasfigurazione: nella vita di Gesú i fatti piú importanti vengono dopo la Trasfigurazione. Nel linguaggio degli Iniziati si direbbe: il Buddha è giunto fino al punto in cui la luce divina comincia a risplendere entro l’uomo. Quando si trova dinanzi alla morte del terrestre, egli diviene la luce del mondo. Gesú va oltre: egli non muore fisicamente nel momento in cui la luce del mondo lo trasfigura. In quel momento egli è un Buddha; …Nell’attimo della sua trasfigurazione il Buddha si effonde nella vita beata dello Spirito universale. …Con la sua vita il Buddha ha dimostrato che l’uomo è il Logos e che ritorna in questo Logos, nella luce, quando muore la sua parte terrena. In Gesú il Logos stesso ha assunto realtà personale; in lui la Parola è divenuta carne» (Il cristianesimo come fatto mistico e i Misteri antichi, O.O. N° 8).
Il Parinirvana si manifesta dunque come trasfigurazione del corpo terreno del Buddha in un corpo di luce. E come, nel caso del Cristo, la Trasfigurazione corrisponde alla discesa del Logos nell’ambito eterico, cosí, nel caso del Buddha, il Nirvana supremo è l’identificazione totale del Buddha Šâkyamuni con il dharmakâya, con il Corpo della Legge. Da ciò si comprende come lo scopo della disciplina buddhista sia la percezione del pensiero come Luce; si comprende che l’acme della vita buddhica sia l’accensione della Luce spirituale nel corpo eterico. Solo dopo l’evento del Golgotha, quando l’eco del Logos è risuonata in Oriente, il buddhismo si è animato del calore della compassione salvifica, del sacrificio, e allora ha esaltato anche la via dell’amore come via di liberazione, attraverso l’ideale di santità del bodhisattva. Non sarà un caso che il Buddha è cosí chiamato perché ha acquisito la Buddhi, lo Spirito Vitale.
L’ingresso a Gerusalemme. Il Cristo ricapitola l’evoluzione cosmica, ma non nel senso umano: la vita umana ricapitola in senso lineare l’evoluzione: corpo fisico (1-7) = Saturno; corpo eterico (7-14) = Sole; corpo astrale (14-21) = Luna; Io (21 e post) = Terra. Il Cristo non ha bisogno di questo “ripasso”; egli va oltre, perché il suo compito è elaborare per l’uomo i corpi superiori: il Manas sul piano astrale, la Buddhi sul piano eterico, l’Atman sul piano fisico. Perciò il battesimo nel Giordano è il momento in cui il Logos discende nella compagine umana di Gesú e si sostituisce all’Io di Zarathušthra: è l’unico atto “umano” del Cristo. L’attraversamento delle acque (conseguente alla prima moltiplicazione dei pani) rappresenta il segno dell’avvenuta compenetrazione del corpo astrale di Gesú ad opera del principio-Cristo: quindi è il dono del Sé spirituale all’umanità. La Trasfigurazione è il momento in cui il Logos solare rifulge nel corpo eterico di Gesú: è il dono dello Spirito Vitale. Con la Trasfigurazione il Cristo si rivela come sintesi delle due colonne dell’ebraismo, dunque come nuovo profeta e nuovo legislatore.
Infine il trionfo della domenica delle Palme è la completa discesa del principio-Cristo nella sfera fisica, a tutti visibile: è il dono dell’Uomo Spirito. A questo punto inizia la vera missione del Cristo: la Passione e la Resurrezione. Con l’ingresso a Gerusalemme, il Cristo discende sul piano fisico e viene riconosciuto come Messia dal popolo di Gerusalemme. Si compiono sul piano fisico le profezie relative al Messia: il Cristo viene accolto a Gerusalemme come Re e come Sacerdote, ma, come sappiamo, questo riconoscimento non è duraturo. Perfino i discepoli rimarranno sgomenti di fronte al seguito degli eventi e non li comprenderanno: avevano compreso l’evoluzione interiore del Cristo fino alla Trasfigurazione, quando lo avevano visto come degno erede di Mosè e di Elia, ma poi, dopo l’ingresso a Gerusalemme, dopo la cena del giovedí, non comprendono perché un essere cosí grande vada incontro alla morte.
I sette grandi miracoli del Cristo secondo Giovanni. Questi miracoli sono il segno della forza del Cristo che gradualmente accresce il suo potere di azione sugli uomini, la sua profondità di trasfigurazione dell’umano. La forza del Cristo si espande quasi attraverso una serie di cerchi concentrici.
- Nozze di Cana in Galilea (Gv 2): la Galilea è per eccellenza la regione dell’ ’am ha-aretz, della gente del popolo che pratica matrimoni misti e che non è legata ai doveri strettamente religiosi, che non è legata da rapporti di consanguineità, che non studia e non osserva la Torah. Nel miracolo di Cana si cela il significato spirituale della vite e dell’Io umano. Noè (Gn 9, 21), capostipite dell’umanità postatlantidea, successiva al diluvio, fu il primo a bere il vino e a conoscere gli effetti dell’alcol. L’alcol ha avuto il compito di slegare la coscienza umana dalla stretta connessione con il Mondo spirituale, di attrarre l’uomo verso la materia, di scioglierlo dall’anima di gruppo, dal clan. Oggi – dice Rudolf Steiner – la missione segreta dell’alcol è finita: serviva solo per creare una nuova intesa tra uomo e uomo, non piú fondata sulla consanguineità, sul clan. «Che cosa ho a che fare io con te?», chiede Gesú alla madre. «La mia ora non è ancora giunta». Gesú s’interroga sul tipo di legame spirituale che lo unisce alla madre: è un rapporto di sangue o è un rapporto spirituale? La madre intercede, insiste e allora Gesú dà il primo segno della sua missione, che dunque passa attraverso la madre.
Il vino è terminato | La missione dell’alcol è finita |
Prendete l’acqua | Il simbolo del battesimo nell’acqua di Giovanni, del “ricordo” dei mondi spirituali: è la purificazione del corpo astrale (vedi buddhisti, elkhasaiti, hassidim) |
Metamorfosi in vino | Il battesimo di fuoco della ruach è profetico e va verso l’avvenire. È la via cardiaca dell’Io |
A coloro che sono sprofondati nella materialità il Cristo dice: passerete dall’acqua al vino (è ciò che il Cristo dice anche a Nicodemo: si viene ricreati dall’acqua e dallo Spirito). Oltre a tutto ciò, Rudolf Steiner dà una propria interpretazione del “terzo giorno” (Il Vangelo di Giovanni O.O. N° 103). Oggi alcuni studiosi ebrei come Ben Chorin ritengono che il terzo giorno sia il martedí, giorno di nozze in Galilea, ma Steiner sostiene l’interpretazione escatologica:
primo giorno = passaggio dalla 3ª alla 4ª epoca
secondo giorno = passaggio dalla 4ª alla 5ª epoca
terzo giorno = passaggio dalla 5ª alla 6ª epoca.
Segno che l’impulso del Cristo agirà completamente soltanto in futuro, fra 1500 anni.
- Guarigione del figlio del dignitario regale (Gv 4): in questo caso l’azione guaritrice passa attraverso la fede del padre. Il miracolo si compie proprio quando il padre crede alle parole del Cristo. «Le due forze [del padre e del Cristo] agiscono insieme… Se il dignitario non avesse creduto, il figlio non sarebbe guarito» (Il Vangelo di Giovanni, op.cit.): ciò insegna anche come agiscono le forze di guarigione all’interno del karma.
- Guarigione dell’infermo di sabato alla piscina di Betzaetà (Gv 5): a quest’uomo che è paralizzato da 38 anni il Cristo chiede: «Vuoi guarire?». E questi risponde che non ha nessuno che lo accompagni alla piscina: attende un miracolo, una grazia dall’esterno (dall’angelo) e attende ogni volta. Ma Gesú interviene direttamente sul suo karma. Quella sua malattia era infatti derivata dai suoi peccati della vita presente.
- Moltiplicazione dei pani (Gv 6): la forza del Cristo si trasmette a molti discepoli presenti.
- Cristo cammina sulle acque (Gv 6): la forza del Cristo agisce anche su persone lontane, grazie all’incarnazione del Cristo nel corpo astrale di Gesú.
- Guarigione del cieco nato (Gv 9): qui il Cristo affronta il karma che deriva da una vita precedente, rimuove gli effetti che risalgono alla vita passata. «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è cosí perché si manifestassero in lui le opere di Dio»: queste ultime sono appunto le opere karmiche che intessono l’Io di vita in vita. Il Cristo guarisce il cieco nato perché egli stesso è luce del mondo (Gv 8, 12) che si è rivelata attraverso la Trasfigurazione del corpo eterico di Gesú.
- Resurrezione di Lazzaro (Gv 11): grazie a questo episodio, che divide in due il Vangelo di Giovanni, peraltro il solo che ne parli, la forza del Cristo appare farsi ancora piú vasta, tanto da far risorgere a nuova vita un uomo già morto da tre giorni («è di quattro giorni», dice Marta), dopo che questo essere aveva deposto sia il corpo fisico sia il corpo eterico.
Riassumiamo:
- In principio era il Logos = Saturno, corpo fisico = mondo intuitivo
- il Logos era la Vita = Sole, corpo eterico, Višvakarman = mondo ispirativo
- la Vita era la Luce degli uomini = Luna, corpo astrale, Ahura Mazda= mondo immaginativo
- la Luce splende nelle tenebre… la luce vera = Io-Cristo
- venne fra i suoi… diventare figli di Dio = il dono di Manas e Buddhi
- il Logos si è fatto carne = Terra, discesa nell’uomo dell’Io-Fuoco = Atman.
Meditazione
«La Luce vince le Tenebre grazie alla Volontà illuminata dal pensiero celeste. Chi medita deve immaginare questa nuova Volontà come una corrente di Luce che fluisce negli arti, indipendentemente dalla vita del tronco» (M. Scaligero, Tecniche della concentrazione interiore, meditazione XVII).
Gabriele Burrini (7. continua)