Corre da qualche tempo il pregiudizio
che gli italiani snobbino i lavori
degradanti, nocivi e faticosi,
e chiamino rimpiazzi ricattabili
da India, Filippine e Bangladesh,
da Bulgaria, Moldavia e Romania,
gente che pur soggetta a costrizione
sbarca il lunario e salva la famiglia,
espletando qualunque prestazione
che un italiano non farebbe, dicono,
pena la dignità e la salute.
Ma ora un episodio può smentire
il falso pregiudizio, e mostra come
da noi c’è chi, costretto dal bisogno,
assente la tutela dello Stato
e presente l’accidia e il disamore,
si fa schiavo di propria volontà,
non per ignavia, per necessità.
Segregato in riposti soffocanti
dietro porte blindate, senza bagno,
lavora in nero per le grandi marche
della moda, pagato una miseria.
È capitato a Napoli, ma può
succedere a Treviso o a Siracusa.
Sabotata da pil, spread e barconi,
l’Italia ha perso la sovranità,
e in piú subisce critiche e lezioni
da chi ha ridotto il mondo in povertà.
Il cronista