Nella sua “Napoli milionaria”, ormai piú che un archetipo delle tragicommedie umane, calando il sipario Eduardo pronuncia la frase, assurta nell’uso comune a vaticinio: «Ha da passà ‘a nuttata!», e nello stesso tempo formulando, in sottinteso, l’accorato auspicio che non dovessero piú riprodursi le cause che avevano incattivito fino alla disumanità Napoli, vivo palcoscenico del mondo. La guerra, uno tsunami incontenibile e spietato, aveva travolto la filosofia e piú ancora la poesia che nei sentimenti e nel porgere di un popolo, passato al vaglio di secoli e di una storia, si erano radicate.
Ma quello della “nuttata” che mette alle corde una entità umana, sia essa famiglia, città, regione o continente, è un corso e ricorso vichiano troppo spesso presente nei casi della progenie umana. A partire dalla mela di Eva e dalla clava di Caino, furto e omicidio, per intenderci, una scia di lacrime e sangue traccia la presenza dell’uomo sulla Terra, un repertorio di gesti efferati e distruttivi.
Discepolo di Rudolf Steiner per un periodo della sua vita, Édouard Schuré trae dal Maestro materia per il suo libro Evoluzione divina, in cui tratteggia periodi primordiali della vita sulla Terra, che in epoche diverse, e con diverse declinazioni, tornano a farsi presenti: «La Terra è un essere vivente: la sua crosta solida e minerale non è che una piccola scorza rispetto all’interno del pianeta, composto di strati di materia sottile, che sono gli organi sensitivi e generatori del pianeta: ricettacoli di forze primordiali, queste viscere vibranti del globo rispondono magneticamente ai moti che agitano l’umanità: tesaurizzano in un certo senso l’elettricità delle passioni umane, per rinviarla poi periodicamente alla superficie in enormi masse. Ai tempi della Lemuria lo scatenamento dell’animalità brutale aveva fatto zampillare direttamente il fuoco terrestre alla superficie del pianeta, e il continente lemurico si era trasformato in una specie di solfatara bollente, in cui migliaia di vulcani agivano per sterminare con il fuoco quel mondo brulicante di mostri deformi. Ai tempi dell’Atlantide l’effetto delle passioni umane sull’anima ignea della Terra fu piú complesso e non meno spaventoso. La magia nera agiva direttamente in tutta la sua potenza sul centro della Terra, da cui traeva la sua forza. …Cambiarono il culto. …Furono istituiti sacrifici cruenti. Invece della pura bevanda dell’ispirazione divina si bevve il sangue nero dei tori, evocatore di influenze demoniache. Rottura con la gerarchia dell’alto, patto concluso con le forze del basso: fu la prima organizzazione del male, che ha solo generato anarchia e distruzione, poiché è l’alleanza con una sfera il cui stesso principio è la distruzione e l’anarchia. Là ognuno vuole piegare l’altro. È la guerra dell’uno contro tutti, il dominio dell’avidità, della violenza e del terrore. Il mago nero non si pone solo in rapporto con le forze dannose che sono i detriti del Cosmo, ma ne crea di nuove, con le forme pensiero (egregore) di cui si circonda, forme astrali, incoscienti, che divengono la sua ossessione e i suoi tiranni crudeli. Egli paga il piacere criminale di opprimere e di sfruttare i suoi simili, divenendo il cieco schiavo di carnefici piú implacabili di lui, fantasmi orribili, demoni allucinanti, falsi dèi che egli ha creato. …Si videro culti mostruosi, templi consacrati a serpenti giganteschi, a pterodattili viventi, divoratori di vittime umane. L’uomo potente si fece adorare da greggi di schiavi e di donne. Da quando con la corruzione atlantidea la donna divenne uno strumento di piacere, la frenesia sessuale si sviluppò con una forza crescente. La poligamia pullulava e ne derivò la degenerazione del tipo umano presso le razze inferiori e presso una parte dei popoli di Atlantide. Il culto insensato dell’Io vi rivestiva però ancora una forma ingenua e bizzarra. I ricchi presero l’abitudine di far porre le loro statue in oricalco, in oro e in basalto nei templi. Da particolari sacerdoti veniva anche reso un culto a questi ridicoli idoli della persona umana».
Il male si accumulò. Infine il disordine toccò gli elementi e tutta la natura e la nemesi ineluttabile portò alla catastrofe.
Geologi e paleontologi hanno attribuito la rovina di Atlantide ai rivolgimenti geologici avvenuti in varie epoche, ma è la scienza che non può vedere oltre il fenomeno fisico. La filosofia, l’idealismo panteistico e lo spiritualismo leggono invece gli eventi della Terra notandovi i coinvolgimenti animici dei suoi abitanti.
Tale concetto viene espresso da Platone nel suo Crizia o dell’Atlantide, scritto nel 360 a.C.: «Ma quando la natura divina, mescolatasi spesso con la mortale, in essi fu estinta, e la natura mortale prevalse, allora, non potendo sopportare la prosperità presente, degenerarono, e a quelli che avevano occhi per vedere apparvero turpi per aver perduto le cose piú belle e piú preziose, ma quelli che non sapevano vedere la vera vita rispetto alla felicità, allora specialmente li giudicarono bellissimi e beati, mentre erano pieni d’ingiusta albagia e di prepotenza. Ma Giove, avendo compreso la degenerazione di una stirpe già buona, pensò di punirli, affinché, castigati, divenissero migliori». Il castigo, in forma di sommovimenti sismici e tsunami, affondò Atlantide 9.584 anni prima di Cristo.
Immaginiamo un atlantideo, timorato degli dèi, virtuoso, consapevole della deriva di perversione cui erano arrivati gli abitanti della favolosa, citando Platone del Crizia:«città dalle porte d’oro, circondata da canali a ripiani, i suoi templi, la sua federazione di re-sacerdoti, sovrani ereditari legati fra loro da una costituzione, opera di un fondatore divino, Nettuno, che le dà il nome: Poseidone». Egli si chiede, vedendo la sua isola investita da ondate gigantesche, scossa da tremori che fanno oscillare paurosamente le sue torri e i palazzi dipinti, rivestiti del prezioso oricalco, quanto resisterà prima di sparire tra i flutti del grande oceano. La domanda avrà angosciato notte e giorno quel pio abitante di Atlantide, modello di virtú in un contesto sociale affetto dal morbo della dissoluzione morale. Ebbene, immaginiamo quell’uomo, padre di famiglia, dopo l’ennesima scossa tellurica, cui era seguito il rigurgito marino che aveva allagato le belle e larghe strade di Poseidone, affacciarsi all’altana ornata di statue e vasi con fiori esotici, rientrare in casa e rincuorare la famiglia con un esorcismo: «Ha da passà l’ondata!» o l’equivalente nella lingua di Atlantide, che non conosciamo, ma possiamo immaginarne l’impatto emotivo, che intuiamo essere, dopo dodici millenni, rimasto immutato. Ricorso storico di un dramma.
L’uomo cambia poco nel tempo e torna a ripetere gli antichi errori. Per l’atlantideo il problema era il mare che, amico da sempre, improvvisamente variava in avversario spietato, liquidatore di una fastosa, arrogante civiltà. La “nuttata” che doveva passare, per il protagonista di Napoli milionaria, era la guerra con quello che essa aveva provocato: la morte di chi l’aveva combattuta sul campo, i guasti morali delle persone di una città altrimenti umana. I veri danni, gli irreparabili, i piú amari da dimenticare e smaltire sono quelli che gli eventi, siano essi la contesa bellica o l’accidente climatico, procurano alla sfera animica dell’uomo. Sotto la sferza degli eventi dannosi, negli individui si produce un’alterazione delle linfe piú segrete, il cui grado di lesione dipende dalla forza di chi subisce e dalla potenza dell’entità agente.
L’organismo umano, sotto l’effetto dei colpi invasivi del male, spirito e materia coinvolti, sviluppa un furore reattivo, che si traduce in fuoco del sangue, in febbre organica, generando corpi alieni che agiscono da guastatori degli apparati cromosomici e cellulari. Il presidio linfatico viene conquistato. Ed ecco la nemesi, che al tempo di Atlantide si manifestò con gli sconvolgimenti geologici che ne causarono il graduale inabissamento, a Sodoma e Gomorra con il fuoco gassoso, a Pompei la cenere vcnefica. Per l’umanità globalizzata, solidale nella negazione del Divino, oggi il coronavirus, subdolo, meno spettacolare, ma con lo stesso effetto asfissiante sull’uomo delle catastrofi sopraindicate.
Il sensismo materialista diffuso dal Secolo dei Lumi, causò nell’Ottocento la tisi polmonare, che la letteratura (Madame Bovary) e il melodramma (“La Traviata”, “La Bohème”) hanno immortalato. La crisi fu causata dal predominio assoluto della Ragione sul Sentimento, dell’umanità caduta nelle panie dell’evoluzionismo e del positivismo. La tisi denunciava il tentativo disperato del cuore di sottrarsi all’arbitrio del cervello che imponeva di negare ogni abbandono alla sublimazione e alla devozione. «Dio è morto» annunciarono a un certo punto i filosofi e gli educatori del pensiero unico di allora.
La rinuncia al contatto con il divino e con il trascendente isolarono l’uomo sulla banchisa polare dell’ateismo pensato e praticato. E l’orso divoratore arrivò puntuale: la Prima Guerra Mondiale affondò gli artigli del predatore di vite nel corpo della società umana ormai preda del cupio dissolvi. Saturazione storica, intellettuale, filosofica, una rinuncia a essere e creare che portò alle Demoiselles d’Avignon di Picasso e all’esistenzialismo ateo di Sartre e Camus. Quando i bambini costruiscono il castello di sabbia sulla spiaggia, ci saltano sopra e lo distruggono, poiché si rendono conto, terminata l’opera, che non sono riusciti a esprimere il fiabesco che il genio creativo, posseduto in forma sorgiva, avrebbe voluto. Questo della rinuncia distruttiva per propria inadeguatezza operativa è il maggior pericolo, la piú forte tentazione che l’umanità possa affrontare.
Il castello di sabbia costruito nel tempo dalla cosiddetta civiltà umana non ci soddisfa appieno, anzi a conti fatti neanche un po’. Una maldestra colonizzazione da parte delle nazioni occidentali, specie europee, dal ‘500 in poi, ci sta regalando un’ondata di barconi dall’Africa. Li tolleriamo all’apparenza per una pulsione umanitaria, in realtà per un’oggettiva impossibilità territoriale a bloccarla o per lo meno a gestirla in modo costruttivo, sia per i migranti sia per chi li accoglie, spesso ob torto collo, e comunque con scarsi o nulli vantaggi per entrambe le parti se non una maggiore diffidenza e intolleranza.
Poi arrivò la Seconda Guerra Mondiale, che mise in gioco persino l’arma finale, da Armageddon, la fissione atomica, che incenerí due città giapponesi e scatenò da allora il terrore nucleare, ridotto negli anni non per saggezza della rinuncia a un simile demonico strumento di distruzione della vita, quanto piuttosto dal fatto che, per studio e ricerca, o per spionaggio, molti Paesi riuscirono a dotarsi dell’ordigno nucleare, e magari piú di uno, il che ha salvato finora l’umanità dall’obliterazione totale, non per desiderio di pace ma per la consapevolezza che un conflitto atomico non avrebbe designato un finale vincitore tra due parti nemiche ma consumato l’intera umanità in un olocausto totale.
E poi, dulcis in fundo, la Borsa, la speculazione sul denaro e sulle utilities, le risorse naturali: petrolio, minerali, terre rare. Giochi talmente aleatori e complessi che sfuggono di mano agli stessi operatori che li gestiscono e creano quelle bolle speculative che nel 1929 e nel 2007 hanno rischiato di sovvertire l’ordine mondiale nella sfera delle attività commerciali e bancarie. Si sospetta che sia stato il timore dell’imminente verificarsi di una di queste bolle a far utilizzare lo scoppio di una pandemia forte in grado di stornare l’interesse del pubblico dal temuto collasso del sistema finanziario globale. Una fake news complottista? Forse, ma di fatto l’epidemia è scoppiata e ci si è dovuti impegnare allo stremo per osservare alla lettera e con spirito da zeloti le prescrizioni dei vari decreti emessi per fermare il morbo. È stato eseguito, al costo però della clausura domestica imposta ai cittadini, alle austerità da cenobiti.
È dubbio se tutto ciò guarirà l’uomo malato degli eccessi che, come già accadde in Atlantide, il troppo benessere dell’attuale mondo capitalistico e il materialismo arrogante che ne deriva, possono allignare nell’ego individuale e virare in patogeni. Della conseguente pandemia, difficilmente si colgono le cause morali, ma si limita il giudizio alle semplici evidenze fisiche. Nel caso del coronavirus, si è attribuito all’uso cinese della macellazione in diretta davanti al cliente. A Wuhan, iniziale focolaio della pandemia, secondo gli esperti si sarebbe verificato lo spill over: una goccia di sangue da un animale infetto macellato al momento è saltata sull’ignaro acquirente, innescando l’infezione virale. Una delle tante ipotesi. Ma sembra che i cinesi non abbiano cambiato le loro abitudini, riaprendo i mercati in cui si vendono a scopo alimentare cani, gatti, topi, serpenti, scorpioni e tutta una fauna selvatica macellata sul posto.
Altra ipotesi, che però non è stata presa in considerazione, è l’evidenza stratosferica, già dalle immagini del repertorio mediatico, della città di Wuhan come una delle piú inquinate del mondo per il traffico automobilistico. I carburanti truccati di oggi ben altre sostanze virali diffondono nell’aria non ventilata delle strade asfittiche delle città, specie di quelle commercialmente avanzate. I veleni degli ottani possono anch’essi avere parte di responsabilità nei danni polmonari, come quelli causati dal Covid-19.
Si sta freneticamente studiando la messa a punto di un antidoto, forse un vaccino, per debellare una volta per tutte il coronavirus. Accanto alla presunta possibile vittoria della scienza medica, occorre mettere a punto una profilassi spirituale, essendo in gioco entità pandemiche di piú insidiosa natura.
Scaligero ci rivela nel suo Guarire con il pensiero quali siano tali entità avverse e come vincerle: «Lo sperimentatore può vedere in ogni dramma del male umano qualcosa che egli dal profondo ha voluto, per ritrovare la corrente della volontà a cui l’umano si è estraniato, o è stato estraniato. In tali condizioni, il sentire in lui può risorgere e divenire la forza feconda dell’opera. La guarigione comincia da questo atto di volontà cognitiva, che non scarica la responsabilità su alcuno, anzi la assume tutta su di sé, noeticamente prima che sentimentalmente, in quanto giunge a riconoscersi come corrente centrale del volere del mondo, là dove cessa di subire il servaggio della natura, l’inganno luciferico-ahrimanico: può a questo punto portare la corrente luciferico-ahrimanica a servire l’impulso dello Spirito».
Che finalmente scoppi la pandemia dell’amore, nel segno dell’Io cosciente.
Gennaro Iovine, il protagonista di “Napoli milionaria” è passato attraverso gli orrori della guerra. Uno in particolare lo ha ferito, piú delle altre crudeltà degli uomini in preda al furore e alla paura: la perdita dell’umanità, di quella scintilla interiore che distingue la creatura umana dalle altre specie e che attraverso il pensiero porta la luce dell’Io, pegno di divinità da acquisire, nelle vicende del quotidiano, della vita fatta di lotta ma soprattutto della mutazione della propria egoità animale in amore fraterno, la virtú degli Angeli. Non per alte, incredibili imprese. ma solo per favorire la vita, la propria, quella altrui, anche quando l’altro si fa egoista e nemico. La sapienza del cuore è la ricetta, l’antidoto per il Covid-19 e per altri insidiosi virus dell’ego. Basterà contagiarsi d’amore e vivere.
Solo cosí la “nuttata” della civiltà umana, iniziata ai primordi del mondo, cederà alla luce del mattino.
Leonida I. Elliot