Lo scollegamento dal mondo delle idee – l’impossibilità di formare rappresentazioni corrette – è dato dal continuo inerire dei moti istintivi dell’anima entro regioni che a tali moti dovrebbero rimanere precluse. Tali moti avrebbero pieno diritto d’espressione entro i limiti della coscienza di sogno ed invece la loro presenza viene costantemente evocata, suggerita, legittimata, dalla militante etica del sentire che opera indisturbata a livello sociale. Già attorno alla metà del Settecento, il critico d’arte Jean du Bos scriveva: «Forse che si ragiona per sapere se il ragú è buono o cattivo? Si gusta e si capisce se è buono. Ebbene è lo stesso, in qualche modo, per i quadri: piacciono perché ci “toccano”».
Cosí, la coscienza di veglia assume sempre piú i contorni di uno stato di sogno, piú profondo e ottuso dello stesso, naturale, sognare. Si pensa e si giudica con il sentire, muovendo da una vita istintuale che nulla ha a che spartire con il pensiero: il sentire diviene lo strumento con cui si pensa e, se ciò è possibile, è perché l’individuo non accede alla rappresentazione. La rappresentazione – dice Steiner – “è un concetto individualizzato”: l’espressione del legame tra percezione e concetto. Giudichiamo e scegliamo, invece, “a naso”. Ecco quanto dice Steiner dice sulla questione e quanto aggiunge Judith von Halle in un suo preziosissimo libro edito in Italia da CambiaMenti: La demenza senile – punti di vista antroposofici:
«Rudolf Steiner ha dichiarato anche che il pensiero morto, oggi dominante nella cultura occidentale, corrisponde a un senso dell’odorato un po’ piú raffinato. In generale, l’uomo occidentale si rapporta al mondo in questo modo, e cioè vi si immerge attraverso i cosiddetti sensi inferiori, senza usare l’intelletto bensí il senso dell’odorato: un senso attuale dell’Anatomia esteriore e della Fisiologia …è che il nostro pensiero oggi è frutto di una metamorfosi del senso dell’odorato; in questo senso, il pensiero è legato al cervello e non ai sensi superiori, ed è una metamorfosi del senso dell’odorato. Il modo particolare con cui ci rapportiamo al mondo esterno, diversissimo dal modo con cui si rapportava ad esempio Platone, non è dovuto ai sensi superiori ma, per dirlo volgarmente, al senso dell’odorato. Voglio dire che, come uomini, non ci realizziamo per aver coltivato i nostri sensi superiori, ma perché siamo arrivati ad avere una sorta di naso da tartufi raffinato e perfezionato. La particolarità del modo con cui ci si rapporta al mondo è molto lontana da quella che dovrebbe esservi in un’epoca spirituale. …Si può dedurre che in una persona abituata a vivere e a percepire il mondo attraverso i sensi inferiori, la perdita del senso dell’odorato corrisponda alla perdita della capacità intellettiva. Non si tratta certo di una capacità intellettiva di alto livello quella esercitata da chi impiega i sensi inferiori, ma è tipica degli occidentali di oggi, e quando la perdono, la loro socialità viene meno. Recenti studi sull’Alzheimer hanno dimostrato che un primo sintomo del principio della malattia è la perdita dell’odorato. Questo conferma la tipicità della percezione sensoriale e, in ultima analisi, quella della capacità intellettiva, quantomeno indiretta, che domina la nostra cultura occidentale, proprio come l’aveva descritta Steiner oltre ottanta anni fa» (J. von Halle, La demenza senile – punti di vista antroposofici, Ed. CambiaMenti).
L’inadeguatezza di un siffatto status di coscienza – espandendosi via via ai livelli delle coscienze superiori (immaginativa, ispirativa, intuitiva), infirma il sano intelletto (la ordinaria coscienza rappresentativa).
Le psicosi hanno una base organica: le schizofrenie, una base nervosa; le schizotimie (ad esempio, il cosiddetto “bipolarismo”), una base renale. Le nevrosi originano invece dal corpo astrale: l’isteria, da inconsce, malintese o incomprese immaginazioni; le ossessioni da inconsce, malintese o incomprese ispirazioni.
Quando si giudica “per sentito dire”, quando al posto di un pensiero sostituiamo un sentimento di antipatia o simpatia, facciamo entrare in un modo non sano il sentire nel pensare.
Una persona che a seguito di un avvelenamento dovesse vedere il pavimento aprirsi e chiudersi sotto di sé, crederà con tutto se stesso a quella visione, poiché sarà stato abbandonato dalla coscienza rappresentativa. Tali immagini nasceranno, però, non da una visione reale, bensí da una coscienza d’organo esondante la coscienza di veglia: l’immagine, in questo caso, rappresenterebbe l’estroflessione di un processo interiore: un’immagine di sogno entro lo stato di veglia. Quando il pensiero viene detronizzato dal sentire, quando la percezione non viene mediata dal pensare, l’uomo non ha piú presa sul reale. E perché non ha presa sul reale? Perché non riesce a formare rappresentazioni: non riesce a legare le percezioni ai concetti, ove questi ultimi vengano costantemente spodestati da ascosi moti interiori. In definitiva, si legano alle percezioni non i concetti quanto delle sensazioni molto raffinate. Ne deriva che l’individuo che abbia abdicato al primato del pensare sul sentire, potrà vivere di sensazioni, impulsi e stimoli che assumeranno, senza esserlo, l’aspetto di rappresentazione. Questo stato – in cui siamo calati a livello sociale – non rappresenta una proiezione, bensí la realtà attuale. Per questo motivo Rudolf Steiner preconizzava in un immediato futuro “epidemie di malattie mentali”.
Cosa si può fare?
Il paradosso della libertà è decidere finanche di perderla, la libertà. L’umanità nell’uomo può essere smarrita e sarebbe un errore credere che i processi di disumanizzazione vengano “dal di fuori”: dal di fuori siamo raggiunti da quanto da noi è stato immesso nel mondo e risvegliato nel campo delle forze. È il nostro agíto a raggiungerci: che esso prenda il nome di transumanesimo, di distanziamento sociale, di ambiente sanificato, il nostro agíto (unito alla forza realmente evocata dal nostro agire) ci raggiunge divenendo ambiente, spazio sociale. Il pensiero, ove lo si voglia, può essere trattenuto, risvegliato e divenire vettore dello Spirito, attraverso la pratica dell’esercizio della concentrazione: iniziando da esso.
Le ultime opere di Scaligero, in particolare, si direbbero scritte per l’urgenza di risveglio che vorrebbe scuotere le nostre coscienze.
Pavel Florenskij scrisse: «Chi agisce con approssimazione si abitua a parlare anche con approssimazione, e il parlare grossolano, impreciso e sciatto coinvolge in questa indeterminatezza anche il pensiero. …Essere precisi e chiari nei propri pensieri è il pegno della libertà spirituale e della gioia del pensiero».
Cosa c’entra la scuola?
La scuola è la culla dell’umanità. Capire cosa accade in essa, vuol dire comprendere le future direzioni sociali e culturali già presenti ed operanti in un determinato spazio.
Scrive Henning Köhler ne Il miracolo di essere bambini: «I bambini percepiscono in modo molto diverso da noi adulti. Non dobbiamo mai dimenticarlo. Quel che pensiamo e come pensiamo, quel che sentiamo e come sentiamo è in realtà – e non soltanto la nostra realtà “interiore”. Esiste un livello nel quale il pensare assume un carattere di realtà, un concreto carattere comunicativo, operante. In quanto tale, non resta soltanto “nostro”. I bambini “sentono nell’aria” e respirano il modo di pensare e sentire delle persone che li circondano piú da vicino. Questo è un primo livello. Ma il bambino percepisce allo stesso modo e in un certo senso respira anche il carattere della cultura in cui cresce. E noi dobbiamo essere consapevoli che non solo l’“aria” fisica ma anche l’“aria” spirituale può essere avvelenata, e questo veleno è estremamente pericoloso e dannoso per l’anima infantile. Questo caso rappresenta la nostra situazione attuale. Come possiamo contrastarlo?»
Se il sentire ed il pensare vengono tragicamente confusi nel mondo degli adulti, consideriamo quanto accade a scuola, quando (ossia sempre) gli insegnanti confondono la volontà con il pensiero. Una delle classiche frasi che gli insegnanti ripetono come un mantra è: «Potrebbe fare molto di piú ma non ha volontà di impegnarsi». Il bambino dovrebbe quindi evocare la volontà, pensarla: pensare di volere.
Eppure non basta un pensiero volitivo affinché un paralitico si alzi. La volontà diviene una sorta di dogma pedagogico: per questo motivo la scuola inibisce il movimento. A ben osservare, la nostra sfera sociale crede, spesso confondendole, che esistano solo due facoltà animiche: il sentire e il pensare. La volontà, semplicemente, non esiste.
Uno dei grandi guasti che produce l’immobilità fisica durante la formazione scolastica è la immobilità conoscitiva durante la vita successiva. La mancanza di entusiasmo che pervade le membra nei primi settenni, diviene indifferenza conoscitiva nel successivo sviluppo dell’individuo.
Nel precedente articolo in quattro parti (Sui disturbi del comportamento degli educatori, in particolare nella terza parte: www.larchetipo.com/2019/09/pedagogia/sui-disturbi-del-comportamento-degli-educatori-3/) si è parlato del corpo imitativo del bambino e dei due templi, che potremmo anche chiamare “ambienti”. Tra questi due templi vi è una relazione strettissima: quanto accade nel primo ha subito manifestazioni nel secondo, e viceversa.
Facciamo un esempio. Gli adolescenti alternano – spesso in modo caotico – momenti in cui la loro cameretta è in un gran disordine ad altri in cui decidono di “rivoluzionare” e mettere ordine al proprio caos (esteriore). Tali movimenti sono proiezioni dell’ambiente interiore del giovane. Il suo Hierón, il suo spazio sacro, esteriorizza nell’ambiente circostante quei movimenti che il giovane sta compiendo nella sua “stanzetta” interiore, nella sua interiorità appena scoperta. Il riordino della propria stanzetta permette al ragazzo di riorganizzare anche il proprio spazio interiore.
Il primo ambiente che il bambino inabita è l’interiorità di chi gli è attorno. I cuori dei genitori, dei maestri, degli educatori sono per il bambino piccolo, il primo ambiente conosciuto. Prima di scendere completamente sulla Terra il bambino sosta ancora un po’ in quel grembo di luce e calore che dovrebbe essere il cuore umano. In quello spazio attinge a quelle forze di calore e fiducia che gli permetteranno di scendere sulla Terra, con rinnovato coraggio, in modo sempre più libero e partecipe.
È paradossale, ma un bambino non potrà mai sopravanzare se stesso se le condizioni ambientali in cui è immesso – pur offrendo ideale fiducia al suo potenziale – non ne garantissero al contempo reali possibilità di sviluppo. Questo è il paradigma. Genitori ed educatori sanno che il bambino necessita di calore e fiducia per crescere, eppure questa fiducia è solo la maschera di un’angoscia silenziosa. Per via di tale angoscia, gli ambienti che ospitano il bambino diventano sempre piú asettici e algidi, perché edulcorano il reale significato di diritto all’esperienza.
Si fa esperienza solamente di ciò che è possibile cogliere stando seduti, almeno per sette ore su otto: l’organismo sensorio del bambino giace ottuso sulla sedia. L’ambiente scolastico in cui è immesso gli offre una vastità di concetti e pochissime percezioni. In tal fatta l’essere infantile non può formare rappresentazioni: venendo ingozzato di soli concetti, il bambino viene intellettualizzato. All’uscita del percorso scolastico, di norma, ci si dimentica di tutto, perché i concetti morti, non legati a percetti, si volatilizzano.
Luce, calore e protezione sono presenti – nelle declinazioni della subnatura – anche negli allevamenti in batteria di bestiame e nelle serre.
Scriveva Giovanni Papini nel 1914: «Nelle scuole, invece, abbiamo la reclusione quotidiana in stanze polverose piene di fiati – l’immobilità fisica piú antinaturale – l’immobilità dello Spirito obbligato a ripetere invece che a cercare – lo sforzo disastroso per imparare con metodi imbecilli moltissime cose inutili – e l’annegamento sistematico di ogni personalità, originalità e iniziativa nel mar nero degli uniformi programmi».
Quali sono le cure che, anziché aiutare, ammalano e mutilano l’essere infantile? Quelle che vietano al bambino di avere esperienze. È proprio dell’esperienza che la nostra contemporaneità ha paura. Si teme che il bambino possa farsi male e far del male agli altri, possa soffocare, possa avere reazioni allergiche. Si temono le reazioni sproporzionate dei genitori qualora un bambino dovesse ritornare a casa con un ginocchio sbucciato. In nome di tutto questo le scuole diventano luoghi di spersonificazione e omologazione, malgrado riforme, progetti e innovazioni. La patologica disposizione all’iperprotezione diviene l’unica forma di cura nei confronti dei piccoli. Il bambino ha diritto a sbucciarsi le ginocchia, a cadere, ha diritto al pianto: soltanto nella conoscenza del suo dolore potrà sviluppare il sentimento della compassione, dell’essere “presso l’altro”. Precludendogli l’esperienza del dolore e della sofferenza il bambino non avrà mai la possibilità di esperire la fiducia originaria nel suo potenziale. Rendendo cieca la zona dell’errore e del dolore, togliamo al bambino la possibilità di sviluppare la compassione.
Con questo, ovviamente, non voglio dire che il bambino debba venir incoraggiato a farsi del male, ma ad avere una reale fiducia in se stesso. Questo vuol dire veder riconosciuto il diritto al cadere e rialzarsi, poiché la fiducia in se stessi è una forza di resurrezione, ossia del perisci e divieni di goethiana memoria. Neutralizzando la possibilità di “cadere” (questo è il tema dell’iperprotezione), si impedisce al bambino di apprendere l’arte del rialzarsi e, in definitiva, si impedisce allo stesso di porre le basi per inverare il sentimento della compassione: dell’essere presso l’altro.
Per questo motivo è importante non tanto creare “ambienti di apprendimento”, quanto rendere la propria interiorità adatta all’incontro con l’essere del bambino.
Distorsione del concetto di ambiente: gli ambienti di apprendimento, l’ambiente-maestro.
Tutto era molto pulito: sia i mobili sia i pavimenti luccicavano; ogni cosa brillava.
…In tutto l’appartamento non si sarebbe trovato un solo granello di polvere.
«È in casa delle vedove vecchie e cattive che c’è sempre tanta pulizia».
(Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Delitto e Castigo)
Sappiamo che l’ambiente in cui è immesso il bambino, agisce come impressione, ed è in grado di svolgere una profonda azione plasmatrice fin sulla sua fisicità.
L’ambiente in cui dovrebbe operare l’insegnante – e di cui in primis dovrebbe occuparsi – è l’ambiente del suo Spirito, lo spazio del suo pensiero: quando l’ambiente esteriore viene ricercato come un novello Graal, quando sugli ambienti di apprendimento si fanno corsi e conferenze, quando tali ambienti diventano “maestri”, vuol dire che qualcosa non sta funzionando.
Si crede quindi che l’ambiente sia maestro: questo è un dogma pedagogico mutuato da una lettura montessoriana non assimilata con le forze del cuore.
L’ambiente è la seconda veste del bambino: nessuno vorrebbe vedere dei piccoli indossare vestiti sporchi o lisi. Eppure i vestiti del bambino non sono “maestri”: essi lo avvolgono, lo fasciano durante la giornata, e se la mamma ha curato quell’abbigliamento con amore e devozione, allora esso assumerà anche una funzione protettrice. Il bambino sperimenterà il benessere sulla propria pelle: un po’ come se la sua mamma fosse con lui e, di tanto in tanto, lo accarezzasse.
L’“ambiente maestro” non esiste. L’ambiente-maestro, per essere tale, dovrebbe avere una coscienza, anzi, una sovracoscienza: una coscienza di sé e del suo essere maestro.
L’unico “ambiente maestro” in grado di avere coscienza di sé e del proprio ruolo è il “cuore” umano: l’unico in grado di preparare e conformare l’ambiente su una base ogni volta nuova, poiché ruotante attorno alle varie e irripetibili individualità dei bambini.
Rudolf Steiner, nelle sue conferenze dedicate alla pedagogia, alla didattica e alla pedagogia curativa, continua a ripetere di queste qualità interiori del maestro e degli adulti che vivono accanto ai bambini: la loro interiorità è per i bambini il principale ambiente. Si educa in base a quel che si è, e non sulla base di quanto fingiamo di essere. Il bambino abita in quello che siamo e non in quello che realizziamo come espediente didattico.
Il giovane che rimette a posto la sua stanzetta, esteriorizza il processo di scoperta della propria “stanzetta interiore”. L’educatore che affida allo spazio esterno il ruolo di “ambiente-maestro” evidenzierà in sé l’impossibilità di attingere a quelle forze di coscienza che nascono dalla relazione con il proprio tempio interiore, o cuore: l’unico ambiente in cui, nell’adulto, possono stabilizzarsi i processi di autoeducazione prima di essere irradiati in tutto l’essere.
Per questa ragione chi ha smarrito l’accesso alla coscienza dell’Io delega all’ambiente esteriore una centralità di cui solo l’educatore è responsabile e mediatore: affidando all’ambiente un ruolo che esso non può assolvere ma, al piú, contenere.
Per questo motivo si rendono necessarie formazione continua e aggiornamento professionale obbligatori: poiché, avendo smarrito la coscienza dell’Io, formazione e aggiornamento diventano sublimazioni, esteriorizzazioni grottesche di un processo di autoeducazione che non può inverarsi. Solamente l’autoeducazione porrebbe l’Io nella libera condizione di superare continuamente il proprio confine: di sopravanzare se stesso.
E la scuola Waldorf?
Senza autoeducazione, senza la pratica degli esercizi complementari, anche la scuola Waldorf diviene un algido mausoleo della lana cardata e delle canzoncine pentatoniche. Anche qui l’ambiente, investito da un’autorità rifiutata da maestri privi del necessario coraggio esoterico, diverrebbe “maestro”, contenitore di una pedagogia divenuta metodo.
L’obbligo alla sanificazione dell’ambiente porrebbe – forse almeno nelle scuole steineriane – ad interrogarsi sul quesito: «E ora come faremo senza il nostro ambiente cosí confortevole?».
Vi è un fuoco che riscalda ed uno che ustiona, un freddo che corrobora ed uno che brucia. Una pulizia che favorisce e incoraggia la vita ed una che la ostacola e la blocca.
Si potrebbe ritornare a considerare quella dell’insegnamento una missione sacrale, sacerdotale: un’arte (e non piú un novero di scienze) alla quale si arrivi tramite vocazione e si realizzi mediate praxis.
L’ambiente interiore del maestro aiuta oppure ostacola l’individualità del bambino, come da legge pedagogica.
«Su una qualsiasi parte costitutiva dell’essere umano, quale che sia la sua provenienza, agisce la parte immediatamente superiore, e solo cosí si arriva a uno sviluppo efficace. …Questo che cosa significa? Se ci accorgiamo che in un bambino il corpo eterico è debole, in un certo senso dovremo conformare il nostro corpo astrale in modo da svolgere un’azione correttiva su di esso. Possiamo dire senz’altro che uno schema educativo si può scrivere cosí:
Bambino | Educatore |
corpo fisico | corpo eterico |
corpo eterico | corpo astrale |
corpo astrale | Io |
Io | Sé spirituale |
Il corpo eterico dell’educatore, grazie alla sua formazione professionale, deve poter agire sul corpo fisico del bambino, il suo corpo astrale deve poter agire sul corpo eterico del bambino. L’Io dell’educatore deve poter agire sul corpo astrale del bambino. Ci si spaventerà addirittura, poiché ora c’è il Sé spirituale dell’educatore, del quale si pensa che non sia sviluppato. Esso deve agire sull’Io del bambino, la legge è cosí. Mostrerò come in effetti il Sé spirituale dell’educatore, di cui egli non è affatto cosciente, agisca sull’Io del bambino non solo nel caso di un educatore ideale, bensí spesso anche dell’educatore peggiore. L’essenza dell’educazione è in realtà avvolta in una serie di misteri» (Rudolf Steiner, Corso di pedagogia curativa, O.O. N° 317).
Abbiamo riportato queste parole di Steiner perché esse illuminano l’arte dell’educazione di una forza e di un dinamismo del tutto nuovi. La legge pedagogica è valida per ogni ambito interumano, per ogni relazione Io-Tu.
In questo senso arrivano le parole di Massimo Scaligero contenute in Iniziazione e Tradizione: «Chi conosce come realmente stiano le cose, sa che quei pochi che hanno una qualunque responsabilità interiore, non dovrebbero ormai perdere piú un minuto di tempo, non dovrebbero piú rimandare di un attimo la loro decisione per quei superamenti che in segreto essi veramente conoscono di quale natura debbano essere. …Si è alla vigilia di eventi che possono essere gravemente distruttivi per l’uomo o preludere a una rinascita nel segno dello Spirito».
Nicola Gelo (3. Fine)