Fantasmi, Spettri e altri e(o)rrori

Considerazioni

Fantasmi, Spettri e altri e(o)rrori

Fantasmi e spettri

 

Chi vuol sapere la differenza che passa tra un fantasma e uno spettro trova una vasta letteratura a disposizione. Il che non è sempre un bene: avere poche informazioni su un argomento è una condizione restrittiva frustrante, averne molte è un arricchimento nel quale piace immergersi con il rischio di smarrircisi dentro. Ma quando le fonti sono troppe, quando s’ingrovigliano di teoremi, riferimenti, citazioni e – non rara­mente – si contraddicono sostenendo e demolendo in contemporanea le varie tesi messe a conflitto, allora è meglio tirare i remi in barca e vedere se c’è un metodo diverso per chiarirsi le lacune in materia. Magari senza andare troppo lontano e lavorandoci su con quel che c’è in casa.

 

I metodi, si sa, sono fondamentalmente soggettivi, ognuno ama quelli personali e fintanto che non ci sbatte la testa, tende a conservarseli gelo­samente. Ad esempio, quando cerco il significato di una parola, e le strade dell’etimologia, della fonetica, della criptologia e della ripartizione lessi­cale vengono ad esaurirsi senza darmi il minimo costrutto, io passo alla modalità poetico-fantasiosa; non saprei definirla in altro modo, ma è meglio cosí, perché so per certo che quella non gradisce l’identificazione; preferisce aleggiare in po’ da per tutto senza posarsi mai, se non per quel tanto che basta a svelare alcune piccole cose nascoste.

 

Nulla di scientifico, ovviamente, ma in mancanza della pedanteria minuziosa e saccente, che contrad­distingue il ricercatore modello dal modellatore ricercato (della quale, il primo, tra l’altro, portò pure alla scoperta delle sorgenti del Nilo) deve considerarsi un buon surrogato: mi permette di andare avanti là dove il restante di me si sarebbe già arenato.

 

Entro in maggiori dettagli perché il generico mal si combina con la chiarezza. Prima di farlo, tuttavia, mi prende lo scrupolo di avvertire che l’esempio esplicativo riportato è da una parte semplice (rasenta quasi l’infantile), e dall’altra richiede invece una certa attitudine a passare dall’immaginazione alla fantasia, dal simbolismo alla praticità concreta, e talvolta anche dall’assurdità dell’irrazionale alla sensibilità artistica. A dirla con il volgo, trattasi di saltare “di palo in frasca”. Non c’è troppo da stupire, a Tarzan riusciva piut­tosto bene.

Lavorazione argilla

 

Riassumo: se raccontassi il fatto che vado ad esporre al mio nipotino Riccardo, di anni sei, lui non ci troverebbe niente da ridire, anzi ci penserebbe su, magari per pochi secondi, con una certa serietà. Se invece lo svelassi, per mia disgrazia, a qualche conoscente mio coetaneo, dotto, raffinato e provvisto pure di ampia competenza in campo esoterico, probabilmente non mi rivolgerebbe piú la parola.

 

Ritengo però un simile pericolo cosa trascurabile, quindi descriverò l’arcano. Tutti conoscono l’arte di costruire oggetti con la terracotta, con l’argilla e con la ceramica: bisogna avere il giusto impasto di terra, sabbia, umidità e poi una fonte di calore per cuocere il modello.

 

Ora, attenzione: il terriccio, negli antichi idiomi del bacino del Medi­terraneo, veniva chiamato “kemís” (da cui chimica, al-chimia ecc.); RA era invece il nome (anzi, uno dei nomi) ben noto del dio Sole presso gli antichi Egizi; se dunque prendiamo la parola kemis, la spacchiamo in due, ke da una parte e mis dall’altra, e introduciamo il nome RA nell’ interspazio formatosi tra le due sillabe, avremo come risultato keRA-mis.

 

Questo cosa vorrebbe dire? Tutto e nulla. Da un punto di vista strettamente culturale e logico è un giochino da bambini senza alcuna possibilità di arrivare a un punto consistente, ma se si considera che per secoli l’ uomo ha consolidato un processo di costruzione artigiana legando la sostanza della terra alla fonte di calore piú potente che la natura gli aveva messo a disposizione, allora il valore del significato arriva, giunge inalterato fin qui nel Terzo Millennio; ed è incontrovertibile. La forza del Sole (o del fuoco) entro (o a contatto con) la Terra produce un cambiamento, e questo, entro certi limiti, può essere governato e diretto secondo esperienza umana. Al punto di diventare un’arte manifatturiera.

Fantasma

 

Una spiegazione di questo tipo può anche non convincere, infatti non è mia intenzione proporla in tal senso. Mi limito a riferirla, a metterla in opportuna evidenza, per avvertire che in questo scritto la ricerca sul valore della parola “fantasma” e su quella della parola “spettro”, avverrà secondo una metodologia di questo genere, sia nel riferimento, sia, se occorrerà, per sostegno.

 

Quando mastico (mi si conceda il termine che non vuole essere assolu­tamente spregiativo, ma indica il lavorío necessario al compito) la parola “fantasma”, quel che mi si presenta da subito sono le risonanze di altre due parole: “fantasia” e “asma”; che in un primo momento sembrano del tutto impertinenti e fuori luogo.

spettro

 

Con la parola “spettro” in­vece, le reminiscenze liceali mi portano l’eco di speculum e di atrum.

Abbiamo quindi nel primo caso un composto fonetico nel quale l’immaginazione viene a cadere in un qualche cosa di negativo, avente in sé un senso di asfittico, di soffocante; una patologia psichica della quale, nei casi meno gravi, si può soffrire senza nemmeno accorgersene, ma con conseguenze limitative di alcune funzionalità.

 

Nella versione dello speculum (che significa non solo spec­chio ma pure riflesso) accompagnata dall’aggettivo ater, atra, atrum (valente per nero, buio, oscuro, difficile, pauroso) si presenta nella sua caratterialità essenziale quel che di norma si dà alla parola “spettro”.

 

Mentre ritengo quindi l’eventuale rapporto col fantasma un disturbo interiore, sono propenso a consi­derare lo spettro come un turbamento esteriore. L’aggravarsi del primo conduce alla destabilizzazione del proprio sé, l’intensificarsi del secondo produce forme di terrorismo fobico collettivo.

 

Personalmente sono convinto che poco si sappia circa i fantasmi e gli spettri, ma di una cosa dobbiamo essere certi: i due vocaboli li abbiamo coniati noi, e se lo abbiamo fatto qualche motivo c’è di sicuro. I prodotti della fantasticheria non reggono nel tempo, ma quelli dell’immaginazione, ancorché spigliata, sono duraturi, anche quando le facoltà interiori da cui sono sorti si sono affievolite, o addirittura spente, per dar posto a nuove varianti. Infatti, ci fu un tempo nella vita degli uomini, in cui le percezioni erano alquanto diverse da quelle che si possono avere al giorno d’oggi, Il divino e il malefico erano vissuti dalle anime degli antichi progenitori, come componenti essenziali della capacità di porsi in rapporto con la realtà in cui erano immersi, e tale rapporto determinava tout court in ogni circostanza il valore da attribuire a quanto veniva cosí esperito dell’esistere fisico.

 

Ma ovviamente non tutto è sempre trasformabile in una forma di cultura, o di arte o di disciplina; alcune cose possono maturare velocemente, altre invece richiedono tempi lunghissimi, e perciò, negli indugi, alcune varianti restano, per cosí dire, in sospeso senza che da esse consegua un vero e proprio ammaestra­mento da codificare in un dato sapere.

 

Nell’epoca moderna, l’interiorità umana ha subíto notevoli modificazioni, deviando la propria facoltà di percezione in modo da renderla sempre piú soggettiva (questo ai fini di far sorgere in ciascuno quella individualità che sta alla base di un possibile cammino verso l’Io, che dapprima si focalizza però come ego), ma nel contempo, riducendo, se non annientando, la naturale predisposizione a cogliere l’elemento spirituale attraverso i sensi ordinari.

 

Il che non significa che nel contatto con la vita sulla terra e nell’universo l’uomo abbia perduto com­pletamente la facoltà di concepire il metafisico, ma se e quando lo fa, esso si arresta in una dimensione in cui non può piú vivere la sua specifica vita come concetto o idea; l’ostruzione è la dimensione del pensiero astratto, ignaro dei limiti cui la sua stessa astrazione lo costringe, ma tuttavia convinto, per una particolare presunzione solipsistica, di essere sufficientemente idoneo ad affrontare quel futuro sviluppo che – astrattamente – immagina gli si aprirà davanti senza sforzo e a costo zero.

Gaston Leroux - Il fantasma dell'Opera

 

La figura del Fantasma è stata adoperata da molti autori e mossa se­condo le trame nelle quali tale figura veniva di volta in volta implicata; da Shakespeare a Henrik Ibsen, da Dickens a Gaston Leroux, dal teatro di Eduardo de Filippo al cinema di Antonio Pietrangeli, ogni racconto pre­senta un nuovo tipo di fantasma, ma sostanzialmente (perfino Dickens non si sottrae alla regola) esso si manifesta esprimendo una disperazione meri­tevole di compatimento. Qualcosa di incompiuto, qualcosa che provoca un rimorso insopprimibile, costringe il fantasma a un’esistenza crepuscolare, a vagare senza fine lungo una landa desolata non piú fisica ma nemmeno ultraterrena.

 

Alcuni esperti suggeriscono il tema affascinante di un’anima che non riesce a compiere in modo completo il trapasso perché qualche cosa di irrisolto la trattiene prepotentemente nell’esistenza ordinaria, impedendone il processo di sublimazione. Ne consegue un’implicazione alquanto mora­listica: finché non verrà portato un soccorso (normalmente uno slancio d’amore generoso e disinteressato da parte di qualcuno che sia stato toccato dalla vicenda e l’abbia compresa nel suo giusto valore), tale strazio dovrà perpetuarsi alimentando leggende – come quella dell’Olandese volante – e gravando di mestizie i cuori dubbiosi, se non increduli, di quanti, privi di chiave interpretativa, sentono e subiscono i richiami di questa incorporea, misteriosa sofferenza.

 

Lo Spettro invece non si pone alcun compito a sfondo etico: vuole far paura e basta. Il suo raggio d’azione è pertanto molto piú esteso di quello dei fantasmi, che sono quasi sempre ancorati ad un soggetto, ad un luogo, ad una vicenda del tutto umana e umanamente patita.

 

Fin qui abbiamo soltanto espresso alcune riflessioni senza pretesa, appena abbozzate, che lasciano il tempo che trovano; ma come succede con tutte le cose riconducibili alle nostre esperienze di vita, ciò che veramente importa non è tanto la cosa in sé (mi scusi, dr. Kant!), ma quel che le nostre anime provano quando vivono queste cose e devono pertanto gestirne il rapporto.

 

Perché se da una parte è molto semplice, spesso anche piacevole, intrattenerci con quanto amiamo di piú e che tuttavia si presenti a noi come appartenente in tutto e per tutto a questo mondo, dall’altra è enorme­mente difficile, se non sconvolgente, coltivare un rapporto con qualcosa che non sia fatto di materia organica simile alla nostra.

 

Certamente esistono gli influssi psichici, le affinità, le inclinazioni e anche la curiosità, a volte morbosa, di vedere ciò che di norma non è dato a vedere, ma sono tutte forme dilettantesche che non possono portare a niente di buono. Parallelamente alla facoltà immaginativa deve formarsi e affinarsi una corrispondente tecnica, che sappia tradurre in concreto quel che altrimenti è destinato a rimanere a livello embrionale.

 

Tornando all’esempio di prima, se l’antico egizio si fosse limitato ad osservare come la forza di RA agisse nella fanghiglia del Nilo, facendo sorgere da questa la pianticella di papiro, e si fosse arrestato a tale ammirata contemplazione, senza ricavarne ulteriori impulsi intuitivi, nessuno dopo di lui avrebbe mai infornato vasi di terracotta, né prodotto suppellettili di ceramica.

 

La domanda ora può essere impostata nel seguente modo: cosa vogliono da me i Fantasmi e gli Spettri? In pratica, in modo improprio e forse anche un pochino spregiudicato, mi chiedo le ragioni del fenomeno, dal momento che esso si è verificato all’interno del mio orizzonte sensibile (la scienza ufficiale parla di “orizzonte degli eventi”, ma per lei gli eventi sono solo i fenomeni esteriori!).

 

Dopo il liceo, ho frequentato l’università per alcuni anni, dapprima iscritto alla facoltà di Economia e Commercio, passando poi a quella di Giurisprudenza. Ma non compii gli studi (il che sarebbe stata una grande gioia per mia madre, alla quale, a quel tempo già ammalata, tale titolo avrebbe coronato il piú ambíto dei desideri). Ebbi l’occasione di trovare un lavoro dinamico e interessante a Milano, e pur riser­vando in un cantuccio la volontà di proseguire il corso di Legge, per mille ragioni, ma fondamentalmente per il mio difetto intrinseco di non portare mai a termine quel che intraprendevo, buttai come si suol dire i libri alle ortiche e mi specializzai invece nel lavoro delle vendite di rappresentanza e nelle varie distrazioni che la metropoli lombarda offriva allora ad un giovane provinciale del nordest.

 

I guadagni erano notevoli; mi consentivano non solo un tenore di vita cui non ero abituato, ma riuscivo anche ad aiutare economicamente la famiglia, anche se, oggi lo posso dire, non era quello il sostegno che mia madre attendeva da me. Facevano tuttavia comodo ad entrambi; a me per compensare un traguardo perduto, a lei per continuare a credere nell’assidua presenza di un figlio, in realtà, assente.

 

Tutto questo per tentare di dire che negli anni seguenti, scomparsa la mamma, ebbi a che fare col Fantasma della Laurea. Non so dire con esattezza quando, ma esso entrò di soppiatto in me, o forse ci stava già da tempo senza che me ne avvedessi; in tutti i casi mi dette parecchio filo da torcere.

Le veglie di Neri

 

Non lo definirei un dolore, e neppure un turbamento, anche se di questi tempi sarei maggiormente propenso ad ascriverlo a questa seconda categoria; ne vissi piuttosto il rap­porto con acredine, con un malumore prolungato fuor di misura, con quel tipo di rodimento interiore cosí magistralmente raccontato da Renato Fucini ne Le Veglie di Neri, e che gli uomini, quando non sono del tutto dormienti, registrano nel capitolo “Rimorsi & Co.”. Non mi abbandonò mai, se non quando capii – grazie alla Scienza dello Spirito rivolta alla situazione – che il Fantasma c’entrava poco con la Laurea, si era generato invece da una con­sapevolezza cosí ben occultata da rimanere per anni al riparo dell’ordinaria cocienza, pur provvista quest’ultima di buoni sensori e antenne.

 

Non mi interessa adesso proseguire nell’indagine biografica, credo di aver messo abbastanza in luce il senso del mio Fantasma; volevo rendere l’idea che i sommovimenti interiori sono sempre molto indicativi per chi desideri completare un onesto esame introspettivo. Altrimenti, neglette e miscono­sciute, queste esperienze devono venir sopportate come fantasmi persecutori, mentre il piú delle volte siamo proprio noi gli implacabili inquisitori, che, forzando limiti, lucchetti e serrature, cerchiamo di liberare gli scheletri imprigionati nei sotterranei delle anime.

 

Il discorso diventa molto diverso quando affrontiamo l’argomento spettri. C’è nel tema dello spettro un’immagine, che poi potremmo definire una contro-immagine, nella quale andiamo a concentrare tutta la forza di una tensione interiore della quale abbiamo prima voluto – molto furbescamente – scaricare la coscienza (parlo sempre d’una coscienza ordinaria, non certo di autocoscienza) per non assumere neppure una piccolissima parte di responsabilità.

 

Partiamo come sempre da un dato di fatto solido e preciso: se c’è al mondo una colpa, questa deve essere senz’ altro una colpa altrui; la nostra stessa cultura cui siamo stati allevati (cultura, è bene ricordarlo, in cui ogni forma di attività interiore non c’entra per nulla) afferma che pure chi venga beccato con tanto di smoking gun in mano e relativo cadavere steso a terra, possa sostenere la tesi «E’ vero, ho ucciso, ma sono stato provocato». Il che in nessun regime attuale farebbe scansare la pena prevista dal Codice Penale, ma sicuramente essa, con la compiacente assistenza di un valente principe del foro, verrebbe mitigata, tagliata e quindi ridotta.

 

Si comincia da bambini: una bella e vispa ragazzina di otto anni talvolta aiutava la mamma a rigovernare le stoviglie a fine pranzo; se le cadeva un piatto a terra e finiva in mille pezzi, lei si fermava costernata a fissare i cocci e ripeteva con stizza a voce alta: «Brutto! Cattivo! Cattivo! Cattivo!».

 

Una volta adulti le cose non cambiano poi di molto: «A me m’han rovinato la guerra e le donne…», afferma languidamente Gastone, studiandosi le unghie della mano. In effetti, sentir dire da qualcuno: «Mi dispiace. È solo colpa mia», per il mondo odierno è una confessione disgustosa quanto un frullato andato a male; non è cool, non è trendy; imbarazza perfino chi ascolta. Umiltà e modestia non aiutano a far carriera; non incutono rispetto che a pochi moralisti onirici.

 

Si vive in un’atmosfera intorbidita da tossine e polveri sottili; aggiungiamo il nostro contributo in fatto di noncuranza e di autoassolvimento, ricorrendo pure al vilismo della menzogna e all’inquinamento etico di verità lapalissiane; ne risulterà una veduta generale che probabilmente non piacerà, scontenterà tutti, nessuno vorrà riconoscerla per propria, ma che sostanzialmente non è diversa dalla panoramica sulla collettività umana di cui ogni giorno mass media ed emittenti cronachistiche narrano con molta enfasi anche se con manovrata perizia.

 

Quando permane un po’ della luce del giorno e il buio della notte deve ancora venire, è il momento del crepuscolo; in esso si generano preoccupanti figure. Nascono cosí gli spettri, mostri dell’inquietudine del consorzio umano che proteso a soddisfare una inestinguibile sete di molteplici vanità, ha perduto di vista il senso del proprio principio e quello della propria fine. A differenza dei fantasmi che danno tormento ma offrono contemporaneamente la possibilità individuale di risolverlo grazie ad un decisivo intervento di volontà cosciente, gli spettri agiscono sulla vastità impreparata ed imbelle della moltitudine, il cui livello medio sta al di sotto del limite di guardia, ai fini di una eventuale reazione karmica da parte di almeno un certo numero di volontari preparati e disposti a propugnarla.

 

La disperazione dei singoli è sempre feconda; quella collettiva è invece devastatrice, perché passato il segno, un eventuale recupero diventa terribilmente difficile. Si tratta grosso modo della medesima diffe­renza che intercorre tra una normale influenza autunnale e un’epidemia contagiosa micidiale. Nella prima sappiamo bene le circostanze e le predisposizioni personali, possiamo soltanto accusare noi stessi di esserci esposti incautamente alle sopraggiunte intemperie; la seconda invece ci travolge con la forza di uno tsunami, e mentre ci ingegniamo a ripararci con tutti i sistemi di autoprotezione intelligenti e non, ci rodiamo il fegato nel tentativo (mi spiace dirlo, completamente anticristico) di scovare il colpevole e punirlo secondo l’uso terrestre dell’odio e della vendetta.

 

Sia costui un perverso untore post litteram del Terzo Millennio, sia una équipe di scienziati impazziti per overdose di negromanticismo laboratoriale, sia una intera nazione, priva di scrupoli e crudelmente avviatasi alla conquista del mondo: dovranno pagare a caro prezzo i lutti e i conseguenti disastri fatti patire alla restante comunità.

 

Questo è il triste ragionamento che ne deriva e che si diffonde a macchia d’olio; in alcuni palesandosi con schiumante veemenza, in altri con una paralisi di pensare, sentire e volere che li svuota di ogni possi­bilità cognitiva, e che quindi, come succede sempre in questi casi, per la legge dei vasi comunicanti, viene a riempirsi del furore altrui.

Necessaria legittimazione?

Necessaria legittimazione?

 

M’intendo poco di geopolitica esoterica, ma – secondo me – questa è la strada migliore per aumentare a dismisura il numero degli spettri già operante nel mondo. In un passo dei Promessi Sposi leggiamo: «Ogni guerra ha le sue brave legit­timazioni; ciò è reso necessario dal fatto che, se cosí non fosse, si finirebbe per combattere delle guerre ingiuste»… È una del­le tante perle del Manzoni, su cui vale soffermarsi un momento e condividere l’amaro suo sorriso.

 

Eppure le pagine della storia, come già prima i notiziari di cronaca, si riempiono di simili brutture; non perché non ce ne siano altre piú belle o edificanti da raccontare, ma per il fatto che noi possiamo dire solo di quello che percepiamo, e se lo Spirito non è piú percepibile, se l’abbiamo posto al di fuori della nostra umana realtà, relegato nell’inconsistenza di un pensare astratto, o posto nel tabernacolo di un misticismo tanto sognatore quanto idolatrico, continueremo sempre a vedere e a parlare del bicchiere mezzo vuoto, ignorando del tutto l’alternativa complementare.

Il fantasma della libertà

 

L’operato degli Spettri e dei Fantasmi è messo in an­cora miglior evidenza se lo rivolgiamo, per quanto dialet­ticamente possibile, al grande tema della Libertà. Perché proprio la Libertà? Forse sarebbe meglio chiederlo a Luis Buñuel (“Il Fantasma della Libertà”) oppure agli estensori del Primo Manifesto Comunista, i quali hanno, per l’occa­sione, dimostrato (volontariamente o involontariamente?) di essere profeti in patria, anche se i confini di questa patria è una questione ancora tutta da definire.

 

Se lo si chiede al sottoscritto, non ho difficoltà a so­stenere che la Libertà è strettamente connessa con una possibile evoluzione umana nel mondo dello Spirito; in pratica il ricongiungimento «della forma creata col suo Principio» (Massimo Scaligero). La Libertà ne è la propul­sione iniziale nonché la modalità di progressione; ele­mento quindi inscindibile sia nella premessa sia nella fina­lità. Ma in questo, ognuno sappia trovare in sé la disponi­bilità e riconoscere la direzione.

 

Posso perciò capire chi dichiara tale vicenda non con­sona a lui; anche se mi ricorda da vicino un tale che, esa­sperato da una lentezza della burocrazia statale, andava in giro con un cartellone incollato alla sua vecchia Fiat 600, su cui aveva scritto a caratteri cubitali: «Signori del Governo: con me, avete chiuso!».

 

È possibile quindi credere di non aver nulla a che fare col tema della Libertà, cosí come è pure possibile pensare se stessi totalmente affrancati dalla condotta politica del paese in cui si vive; ma è un errore, e come tutti gli errori prima o dopo dovrà venir rettificato per “sponte” propria o per spinta di terzi.

 

Il Fantasma della Libertà, in quest’epoca, domina, grosso modo, uno dei due emisferi del pianeta; è sorto là dove, pur essendo disponibili in straordinaria abbondanza tutti i mezzi necessari come punto di partenza per costruire una società veramente civile, libera e democratica, gli stessi si sono negletti, snobbati, sciupati, praticamente buttati via, per la folle, insana presunzione d’essere giunti al compimento evolutivo, di non abbisognare di ulteriori progressi, e di non aver null’altro da fare se non insegnare, anche con metodi spicciativi e poco ortodossi, il bon ton della democrazia progressista ai popoli della terra che non ne avessero ancora sentito parlare, né goduto degli enormi benefici derivanti.

 

Come risultato, il Fantasma stende il suo raggio d’azione sui continenti, sulle anime, sulle coscienze, impedendo agli incauti e sprovveduti provocatori di vivere le loro esistenze secondo il miraggio della felicità e del benessere, dal quale avevano pur preso le mosse, fino al punto di codificarlo quale diritto umano e per giunta uno dei piú importanti.

 

Si suol dire: «Chi disprezza compra». Qui dovremmo rettificare la vox populi, aggiustandola in: «Chi disprezza distrugge il valore di quel che compra, e indirettamente ne alza i costi».

 

La minestra è insipida, l’ automobile è vecchia, la casa è piccola, il lavoro è uno stress continuo, la paga è poca, la famiglia è solo una fonte di preoccupazioni, e la vita fa schifo.

 

Ecco qua: il Fantasma della Libertà ha trasformato il sogno in un incubo. Un compito eseguito a puntino. Domandate ad un uomo che si trovi in una situazione esistenziale di questo tipo se il “problema della libertà” si esaurisca nel tema del libero arbitrio, o se ci sia qualcos’altro da integrare, e vedrete che sarà opportuno restargli fuori tiro per un po’ di tempo.

 

Per quanto invece riguarda lo Spettro della Libertà, che agisce prevalentemente dall’altro emisfero, la questione si pone in modo del tutto diverso. Qui la libertà è stata abolita, è stata tolta in modo drastico alla parte d’umanità vivente in quei territori. Fin dai tempi piú antichi, le anime avevano accettato il processo evolutivo in un modo che possiamo ancor oggi definire sano, corretto, eticamente giusto, anche se non di rado esso, all’osser­vatore moderno, appare miserando e frugale. Ma probabilmente, proprio per tale ragione, esse avevano maturato nello Spirito quella marcia in piú che veniva loro sottratta dall’onere del quotidiano, e che rendeva estremamente difficili le condizioni di vita se non addirittura quelle della semplice sopravvivenza.

 

Il faro… dell’Illuminismo

Il faro… dell’Illuminismo

Quando l’Avvento della Ragione, nonché quello dell’Illumi­nismo, splendettero come un faro sulle tenebre dell’ignoranza, e dall’Europa si espansero portando con sé nuove forze mallevatrici, foriere di cambiamenti radicali e di materialistici portenti, seguen­do quel naturale processo che oggi definiremmo “a valanga”, tali forze finirono per rischiarare anche là dove non c’era alcun bisogno di altro chiarore, in quanto si disponeva già, e da sempre, di uno autoctono, calibrato esattamente sul profilo psicosomatico del­l’uomo del luogo, del tempo, dell’epoca.

 

Le forze di una Logica convinta ormai di non aver piú necessità del Divino per spiegarsi l’inspiegabile, a contatto con un grado evolutivo non ancora pronto a riceverle, portò difilato all’errore-orrore (ecco lo Spettro) in base al quale parve essenziale ricominciare tutto da capo: che ogni istanza umana verso un presupposto immateriale fosse abolita anche con la forza; che il principio di riassestamento delle popolazioni in questione sullo scacchiere geografico dovesse richiamarsi esclusiva­mente al fatto che davanti alla nazione e all’autorità dei suoi “guardiani”, ogni individuo, deposta la propria individualità in favore della nuova, rinata collettività sociale, s’uniformasse al ruolo di membro di esso organismo, che nella visione ateo-materialistica del progetto avrebbe sostituito degnamente i regimi del passato e saputo conformare ad un unico criterio d’eguaglianza le ingiustizie classiste, culturali ed economiche trascorse.

 

Lo Spettro della Libertà s’era proposto un vasto ambizioso esperimento: abolito il sacro dalla luce e dal calore del Sole, tolta la purità dall’Aria respirabile, sostituita la vita dell’Acqua con composti chimici edulcorati e gassosi, e infine consolidata la superficie della Terra con lastroni di vetroresina e cemento-acciaio, vediamo ora – avrà detto, nei suoi spettrali ragionamenti – quale tipo di fauna organica siamo capaci di produrre.

 

Forse tutto questo potrà indignare, forse farà ridere o magari arrabbiare qualcuno; ma se si pensa fino in fondo, le cose stanno in questi termini, e – informazione non secondaria – la follia insita in un tale con­vincimento si diffonde con rapidità impressionante anche nelle zone da cui era nata e partita, secoli or sono, in veste di baldanzosa eroina, la corrente del pensiero illuministico.

 

Il che dimostra una volta ancora, ciò che in medicina si chiama “Effetto Blumberg”: risposta ritardata a una data stimolazione. Nella diagnostica il metodo è innocuo e utile, ma nella balistica diventerebbe un disastro; gli artiglieri infatti lo hanno ribattezzato “Effetto Boom-berg”. Ovvero se il lancio di un forza esplosiva viene eseguito mediante operatori e strumentazioni che non sono in grado di conoscere e quindi di contenere quella forza, allora essa necessariamente finirà per ricadere sugli stessi esecutori. Se poi, per farlo, ci impiegherà qualche secolo anziché pochi secondi, la cosa non è rilevante: si presterà a varie interpretazioni, interrogativi e accuse; ma in quanto fatto in sé, il suo potere causale è indiscutibile.

Cosí dunque, da una metà del pianeta, i Fantasmi hanno agito sovraccaricando di fattibili scelte la decisionalità consapevole dell’ uomo, al punto che, non sapendo piú cosa scegliere, egli ha preferito che altri scegliessero per lui, accontentandosi in seguito, se le situazioni andassero a male, di scioperare, minacciare vibranti proteste di piazza, e di proferire violenze verbali, purché anonime, sui canali social e sui muri delle città.

 

Nell’altra parte del mondo gli Spettri ne hanno combinate di peggio: hanno derubato l’uomo della facoltà di scegliere, non già inficiando quest’ ultima, ma sottraendogli proditoriamente tutte le occasioni per poter operare anche la piú piccola delle scelte.

 

Perché una cosa è venir messi in crisi dalla vastità delle offerte, un’altra è subire la drastica privazione di quelle.

 

Cosa possiamo fare noi contro questi Fantasmi e Spettri che scorrazzano indisturbati per l’intero pianeta devastando, distruggendo e, soprattutto, vanificando il senso della presenza e della destinazione dell’uomo?

 

Sono convinto che si debba anzitutto adoperare la politica dei piccoli passi. Il primo è certamente quello di accorgersi, vedere, osservare e capire ciò che sta succedendo. Il che non è facile come sembra, tant’è vero che se si chiede a bruciapelo al primo passante della via quali siano, secondo lui, i problemi maggiori che affliggono in questo momento l’umanità, la risposta (ponderale-media) è sconcertante: 1) basta con le mascherine e le restrizioni anti-virus; 2) ritorno immediato delle tifoserie negli stadi per le partite di calcio; 3) mettere in galera almeno una metà degli attuali esponenti politici, anche a sorteggio, senza indicazioni di scuderia partitica.

 

Segue una lunga scaletta di ulteriori utopie, tipo: aumento frontale di salari, stipendi e pensioni in misura non inferiore al 25%, e amenità di questo genere. Ciò fatto, sul problema dei migranti si può anche discutere.

 

Come si vede le posizioni sono difficilmente conciliabili: l’umano vuol avere a che fare solo con l’umano, escludendo a priori il superumano, e non si è ancora reso conto, pur avendo avuto a disposizione alcuni millenni per pensarci su con una certa serietà, che rendendosi omissivo sul punto, ha disceso i gradini evolutivi, fino ad uno stadio che ormai è da definirsi subumano. Dal quale ogni proposito di ripartenza e di risalita diviene puramente teorico se non improbabile.

 

Sicché in questo 2020, avvinti ai dettagli meno significativi della miseria esistenziale, esasperati in quanto costretti a scaricare le tensioni di cicli vitali incompiuti o sfioriti senza profitto, in un futuro a dir poco evanescente, mentre accusiamo i nostri governanti di condurci verso una “deriva liberticida” e ribadiamo la ferrea determinazione di non presentarci mai piú in quel di Bruxelles “col cappello in mano” a mendicare, per l’ennesima volta, sussistenza e risorse:  mentre dunque tutto ciò accade, le bande dei Fantasmi e degli Spettri, invisibili dominatori dell’epoca moderna, eseguono danze di vittoria sul deserto delle coscienze umane destabilizzate. Esse infatti hanno preferito cavalcare maggiormente la futile protesta, lo schiamazzo dialettico, il malcontento umorale, le meschinità delle riserve mentali, fino alla perdita del decoro individuale, piuttosto che raccogliersi silenziosamente per esercitare un po’ di misericordia interiore, per un briciolo d’amore, per un atto di carità, che sia rivolto ai veri responsabili di tutte le pandemie e di tutti i contagi possibili, compresi quelli non ancora immaginabili.

Il fantasma di Canterville

 

Rinunciando, in pratica, all’unico sistema per affrontare efficace­mente l’infestazione delle larve maligne, e trasformare cosí un orrore misconosciuto in un errore riconoscibile.

 

Non è un’idea molto difficile da concepire, bastava seguire le indicazioni date da Oscar Wilde per il Fantasma di Canterville.

 

Invece, quanti hanno potuto vedere e sentire non hanno capito, quanti avrebbero potuto capire non hanno raccolto in modo corretto i dati percepiti, pur segnalanti il guasto.

 

Tuttavia nutro buone speranze. Col prossimo autunno, forse, gli stadi di calcio verranno riaperti al pubblico e i tifosi potranno vedere gli amati pallonari esibirsi dal vivo. Anche questo rientra nella politica dei piccoli passi e delle caute aperture.

 

Fantasmi DASPO e Spettri COVID permettendo.

 

 

Angelo Lombroni