«Mio padre non voleva
essere eroe…».
Cosí inizia una delle poesie di Fulvio Di Lieto, che perse il padre durante la Seconda Guerra, l’orribile conflitto che mieté tante vittime innocenti, distrusse tante famiglie, sconvolse tante vite.
Ed in quest’epoca di sconvolgimento di altro genere, certo meno cruento ma non meno doloroso per chi ne soffra le conseguenze (dirette o indirette), io mi trovo qui, seduto alla scrivania di mio padre (pochi dei suoi oggetti terreni raccolti intorno al computer su cui lavorava: i suoi occhiali, l’orologio da polso, la foto incorniciata dei genitori appena sposati), a cercare le giuste parole per rendere onore ad un uomo che, come mio nonno, non voleva forse essere eroe, ma lo fu comunque. Diversi i campi di battaglia, diverso il nemico, ma identico il coraggio: quello di sacrificare tutto, di donare se stesso.
Mio padre non impugnò mai armi, ma fu un autentico combattente: il “Cavaliere della Parola”.
Chi lo incontrava, apprezzava immediatamente il suo calore umano, la sua cortesia, il suo intelletto; ma solo chi lo conosceva a fondo poteva intuire (se non sempre comprendere) quant’altro si muovesse nel suo animo, e a quali profondità.
Papà percepiva (non per scelta, o tramite esercizi, ma per sua propria natura, ed in maniera assolutamente inevitabile) l’intima essenza di tutto ciò che lo circondava:
«Tanto dolore,
esser cosa…»
In ogni luogo, in ogni oggetto, per quanto insignificante, leggeva con chiarezza i segni del passato, le impronte lasciate dalle tante vite che ne erano venute a contatto:
«Se data, nel tempo,
ogni traccia umana
rimane
orme,
odori,
il suono delle parole
che, pronunciate,
non si perdono,
ma vivono
chiuse nel flusso mutevole
delle maree».
Sentiva nella sua stessa fisicità il cambio delle stagioni, il dolore della terra, il crescere delle piante:
«Cosí,
anche la rosa
si protende in fuga
da viluppi di rovi,
e il suo patire
odora.
Cosí,
duole il cuore
che rinchiuso in noi
sente primavera
e vorrebbe andare
come seme nel vento,
per fiorire altrove,
e non potendo volare
canta e si consuma
corda dopo corda».
Non gli occorreva immaginarsi uccello per provare l’ebbrezza del volo: gli bastava osservare una rondine, per trasmutare la sua anima in essa e librarsi.
Di ogni persona coglieva le qualità piú nascoste e ne condivideva spesso, suo malgrado, le sofferenze piú recondite.
Tutto ciò, ed altro, mio padre assorbiva. Un peso che avrebbe squassato qualunque essere privo di sufficiente forza interiore.
Ma lui, sin dalla sua giovane età, trovò nella poesia, nell’uso sapiente, musicale, veramente creativo della parola, il meccanismo per sopravvivere alle tante, troppe sensazioni ed intuizioni che quotidianamente lo assalivano.
Scriveva di continuo, nella mente, trasferendo poi il prima possibile su carta. Ovunque andasse, portava con sé un quadernetto, e ne trovavamo dappertutto, persino in bagno.
Si dice che anche Mozart componesse in continuazione, non per scelta, ma perché l’ispirazione gli veniva data costantemente, senza tregua. L’impulso creativo giungeva a lui dappertutto ed in ogni momento. Cosí per tutti i grandi geni del passato: Michelangelo, Leonardo, Beethoven, Van Gogh, Leopardi… Quella di creare arte non fu per questi esseri straordinari una decisione intellettuale, ma una necessità animica. E dal loro tormento nacquero le piú grandi opere mai realizzate.
Mio padre sarebbe stato troppo umile per paragonarsi a tali personalità: permettete dunque che lo faccia io.
Quanto coraggio deve occorrere per portare a termine quotidianamente quest’opera alchemica di sublimazione: assorbire in se stessi la massa confusa ed informe di tante sensazioni, di tanti brandelli d’ispirazione, e nel crogiolo del proprio spirito forgiare un’opera compiuta, perfetta nella forma al punto da trascendere l’umano!
Vincendo il dolore della materia e l’agonia della vita fisica, lui seppe elevare la parola a purezza cristallina, e trarre dalla sofferenza umana messaggi di speranza, come quello contenuto nella poesia Soltanto il cuore, che ritengo uno dei piú grandi capolavori della letteratura:
SOLTANTO IL CUORE
Soltanto il cuore
ci potrà salvare
costruendo per noi
arche leggere
per navigare
i mari dell’inverno.
O costruirà per noi
ali di piuma
per farci trasmigrare
da stagioni di brume
verso pascoli verdi.
Sarà brace ardente
dentro di noi
se fuori è gelo,
acqua pura di fonte
nel deserto riarso,
ci darà occhi nel buio,
parole nel silenzio.
Soltanto il cuore
ci terrà legati
quando turbine e vento
squasseranno il mondo
cancellando la vita;
soltanto lui potrà farla tornare,
seme dentro di noi.
Sulle aride bocche
degli uomini superbi
soltanto il cuore
potrà far sbocciare
l’umiltà di un sorriso.
Ecco perché considero mio padre il piú grande tra gli eroi che abbia mai incontrato, ed il privilegio di essere suo figlio è un dono che non potrò mai ripagare al Mondo Spirituale.
Cosa mi rimane di lui? Tutto. Tutto il meglio che ho in me mi deriva dal suo esempio: integrità, bontà d’animo, gentilezza, coraggio, saggezza, umiltà. Soprattutto, amore. Il suo amore per mia madre, per me, per mia sorella e per i nipoti fu totale, e ci avvolge ancora nel suo caldo manto. Lo indosseremo sempre.
Per questo voglio chiudere questo mio breve, inadeguato tributo a mio padre con una poesia che scrisse quando ero piccolo, e che esprime, meglio di ogni parola che io possa trovare, il senso di ciò che lui rappresenta per me, e ciò che aspiro a rappresentare per i miei figli.
Ci tengo però prima a cogliere quest’occasione per ringraziare i tanti cari amici che, in queste ultime difficili settimane, si sono incessantemente prodigati per offrire un supporto materiale e morale alla nostra famiglia. Se a mio padre si può attribuire una pecca, si tratta forse dell’orgoglio, che gli derivava però anche da un bagaglio culturale tipico della sua generazione, nonché dalla sua terra d’origine. Era per lui estremamente duro accettare aiuto, e ancor piú difficile chiederlo.
Imparare a ricevere il sostegno a lui dato da familiari ed amici in extremis fu per lui un ultimo atto di umiltà, che sono certo gli renderà ancora piú leggero il cammino verso il Devachan.
Ciao papà, a presto.
Glauco Di Lieto
LA CASA DEL PADRE
La casa del padre non ha porte:
puoi entrare quando vuoi.
Troverai sempre acqua nella giara,
fuoco nel camino,
il pane fresco e il sale,
un angolo quieto dove riposare,
dimenticare l’inverno
che ti ha fustigato
con grandine e pioggia.
La casa del padre ha molte stanze
e una è per te, sempre pronta,
sempre pulita.
Potrai venire nell’ora piú buia,
nella stagione piú avversa
allegro o triste, vestito o nudo.
Potrai dire chi sei o tacere,
avere senza pregare,
andare senza pagare.
Potrai non chiedere di lui,
e partire senza salutare.
Il padre starà lí a spiare
il cuore nella mano;
ti darà anche quello se lo chiedi.
Perché tutto quello che ha
è tuo.