Siamo soliti ricordare, con dovizia di particolari, il periodo della vita in cui potemmo fare conoscenza di un nuovo amico, di una nuova amica o di nuovi conoscenti. Ciò non è possibile con il nostro caro Fulvio.
Potrebbe essere stato un lontano giorno, primaverile, di una mostra di quadri della sua amatissima moglie Marina, alla fine degli anni ’80, o nei primissimi anni ’90, nella zona del Babuino: ma la memoria non obbedisce a questo richiamo, non vuole fare ordine nei ricordi delle rappresentazioni mnemoniche: rimane perciò l’immagine del nostro caro amico, rimane il calore – profondamente italiano – della sua calda voce, melodiosa e poetante.
Meridionale nel suo spirito originario, pronto a ogni nuova prova della vita, spregiudicato e armonioso nella sopportazione del dolore, Fulvio fu Romano, e dunque italiano, nell’asse di luce invisibile che egli sempre, da poeta impulsato di spirito cristiano, sapeva ricondurre al suono occulto del cuore. «Aprite il vostro cuore alla sua luce»: cosí conclude il poeta la sua evocazione all’Arcangelo della volontà solare: Michele. Solo l’Arcangelo del Pensare, secondo la visione di Fulvio, può oggi, nell’apogeo del materialismo tecnologico e nichilistico, rigenerare la materia “con nuove fioriture”, fronde inedite, radici avide di sole che nutriranno d’oro i frutti che verranno.
È tempo che discenda, che possente
distenda le sue ali e dal suo trono
volteggiando leggero in larghi palpiti
circonfuso di iridi cangianti
venga a salvare il mondo, nembo vivido
in cui si cela il Verbo, fuoco e tuono,
e musica arpeggiante del Mistero
che purifica il seme del vivente.
Il suo poetare, la ricerca intensa di tutta una vita, fondata sul culto silenzioso e misterico del Non Detto, dell’Ignoto, integrata con l’armonia cruciale dei Sei esercizi donati all’umanità da Rudolf Steiner e con lo studio attento e disciplinato dei testi logico-matematici di Massimo Scaligero, si poteva cosí fare giorno dopo giorno realtà, pragmatismo: realismo poetico e culturale tipico della tradizione speculativa e letteraria italiana, cosí differente, almeno in questa dimensione, dal poetare dell’area germanica in cui il percorso di individualità eccezionali quali Holderlin, o Stefan George, resta paradigmatico e per taluni versi anche esemplare.
Dichtung, in Fulvio, non volle perciò dire “estasi mistica”, fuga dalla realtà, vacuo esoterismo magistico, sperimentalismo occultistico a buon mercato, ma umile e silenziosa azione dell’Io nella bellezza e nelle continue prove, spesso tragiche, della realtà quotidiana. Lo ricordiamo sempre assolutamente impegnato, giorno dopo giorno, nella ricerca di questioni economiche, sociali, culturali che travagliavano e travagliano l’umanità di questa epoca di civiltà.
Un giorno, ci stava generosamente accompagnando a un appuntamento a Villa Pamphili; mentre ci parlava con la sua solita delicatezza e devozione dei luoghi sacri meridionali, di San Pio da Pietrelcina e della tradizione dei santi crocifissi del nostro Meridione, santi crocifissi a Fulvio cosí cari, gli chiedemmo quale fosse allora lo scopo principale che perseguiva in quel momento della sua esistenza. Con la cristiana umiltà con cui lo ricordiamo, rispose seccamente che allora il suo principale pensiero era rivolto alla possibilità di poter continuare a lavorare alla reception di un Hotel di lusso che si trovava nei pressi di Via Condotti. Il piú grande fine spirituale e esistenziale del poeta era allora quello: non essere licenziato dalla direzione dell’Hotel.
Rimanemmo stupiti, silenziosi. Solo anni e anni dopo avremmo compreso la profonda saggezza racchiusa in quella secca risposta. Il poetare si integrava di nuovo, in una dimensione spirituale, forse possibile solamente nel suolo consacrato all’Arcangelo del popolo italiano, con l’umanesimo realistico, con l’umanesimo dei nuovi tempi.
«Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Giovanni, 12, 24-26).
Un Amico