Il Senso del Tatto

Pedagogia

Il Senso del Tatto

Premessa: Questo articolo avrà raggiunto il suo scopo se saprà portarvi alla frequentazione delle opere e degli autori da cui esso è ispirato. La Dottrina dei Sensi, ideata da Rudolf Steiner, è stata ampliata da pochi ricercatori seri. Tra le pubblicazioni italiane ricordiamo la pionieristica Iniziazione ai Sensi Sottili di Marcello Carosi (Edizioni Mediterranee) e la piú recente I Dodici Sensi di Albert Soesman (Edizioni Natura e Cultura).

In Italia sono inoltre disponibili alcuni preziosi volumi di Henning Köhler (tutti editi da Natura e Cultura), che espongono importanti e fondamentali pensieri sulla Dottrina dei Sensi.

Libri

La Dottrina dei Sensi di carattere antroposofico, distingue tre àmbiti di sensi: i sensi basali, i sensi mediani (detti anche sensi animici, estetici o comunicativi) e i sensi superiori o sociali.

 

Ogni gruppo comprende quattro campi percettivi (quattro sensi) per un totale di dodici sensi.

 

I quattro ambiti percettivi, che appartengono alla sfera dei sensi basali, sono: il senso del tatto, il senso vitale o senso della vita, il senso del movimento e il senso dell’equilibrio.

L’ambito sensoriale mediano comprende: il senso del gusto, il senso dell’olfatto, il senso della vista e il senso del calore.

 

L’ambito dei sensi superiori – meglio definiti come sensi sociali – comprende: il senso del­l’udito, il senso del linguaggio, il senso del pensiero e il senso dell’Io dell’altro: secondo Rudolf Steiner avremmo, infatti, la capacità percettiva dell’Io altrui, cioè del suo essere spirituale.

 

I sensi basali sono triarticolati in se stessi: hanno cioè un aspetto fisico, un aspetto animico e un aspetto spirituale. Potremmo immaginarli come una matrioska contenente, per ogni senso, queste tre suddivisioni.

 

Il senso del tatto si esprime e si rivela mediante la pelle ed è a fondamento di tutto l’orga­nismo sensorio.

 

La pelle avvolge l’intero corpo e, all’interno del corpo, avvolge i vari organi, le ossa e i muscoli.

 

Possiamo immaginare dunque, una pelle fisica, una pelle animica e una pelle spirituale.

Antropposofia, psicosofia, pneumatosofia

 

Secondo l’antropologia a indirizzo antroposofico il bambino acquisisce un po’ alla volta una coscienza della sua immagine corporea. La psicologia evolutiva, quando parla di immagine corporea, si riferisce proprio all’immagine interiore che il bambino ha del proprio corpo.

 

Il bambino guadagna progressivamente una geografia del proprio corpo. Quando vive degli stati di angoscia, la sua percezione del corpo ne risulta compromessa, confusa, labile; esattamente come accade agli adulti che vivono profonde crisi esistenziali. Quando l’immagine del corpo si fa labile anche nell’età adulta ci si sente indifesi.

 

Tutto il linguaggio corporeo del bambino, se noi lo comprendiamo in modo intuivo, ci parla del bisogno del bambino, di essere protetto ed avvolto da noi: la maturazione del senso del tatto avviene nel corso del tempo.

San Giuseppe

 

La nostra sicurezza esistenziale dipende in larga misura dal nostro sentirci protetti e avvolti dalla pelle.

 

Possiamo dunque chiederci cosa suscita in noi il fatto di essere “avvolti dalla pelle”. Che cosa guadagniamo, che debito abbiamo nei confronti della pelle che ci avvolge per quanto riguarda il nostro vissuto interiore, la nostra sicurezza esistenziale, il nostro sentimento di avere una forma e un involucro che ci protegge?

 

Il bambino è immerso in un’intima comunione con la natura, con l’essenza delle cose costituenti il mondo. Riconosce nel fuoco un severo fratello e in una goccia d’acqua la sua piccola amica. Se potessimo ascoltare il pensiero di un bambino potremmo ascoltare qualcosa del genere: «Sí, caro albero, io credo di conoscerti. Ma dove, io e te ci siamo, conosciuti? Dove ci siamo incontrati? Adesso ti tocco e tu sei là ed io qua. Se chiudo gli occhi però, io e te siamo la stessa cosa».

 

Qualcosa del genere accade anche agli adulti: tuttavia i momenti di tale lirica e intensa comunione sono assai rari.

 

Dentro di noi capita, di tanto in tanto, qualcosa che per i bambini piccoli rappresenta la quotidianità: quella persona è già in me eppure io e lei non ci conosciamo, non ci siamo mai visti. Non so nulla di lei eppure saprei parlarne per ore. La sua vista mi è nuova ma allo stesso tempo produce in me una grande nostalgia.

 

Sono momenti bellissimi e molto intensi. Se dovessimo sperimentare quotidianamente questa condizione, cadremmo in una disposizione patologica. Il bambino, invece, sperimenta questo stato costantemente: quando lava le mani e guarda l’acqua, quando tocca un mestolo di legno, quando gioca con un piccolo bruco. Dovremmo essere piú accorti, ad esempio, nel richiamare un bimbo che si attarda in bagno per giocare con l’acqua: in quei momenti egli giace in uno stato di contemplazione paragonabile, per intensità, a quello con cui noi adulti potremmo contemplare lo sguardo di una creatura amata. È soprattutto importante che si sappia che il bambino possiede una percezione tattile molto sensibile, e quando tocca, accarezza, afferra… riesce a cogliere elementi molto sottili della materia.

 

I napoletani possiedono ancora nel loro vocabolario un termine ancestrale: maníare.

 

Il maníare ha a che fare con il maneggiare, e dunque con le mani, con la manualità, ma anche con una qualità sottile legata alla cultura del daímon, alla manía, ad una pervasione che oggi non ci renderebbe liberi nei confronti di una percezione.

 

Attraverso il maníare è quasi l’oggetto della percezione a richiedere di essere interpellato; di passare a noi mediante la porta dei sensi, di estrarre il suo essenziale mediante una esperienza fisica, concreta.

 

Permettetemi un esempio. La mano che si posa su della neve ospita e rivela, attraverso il calco lasciato, un’assenza. La neve diventa specchio della mano che non c’è e che continua a rivelarsi attraverso la sua assenza. Se fosse presente, la mano non potrebbe rivelarsi. Assenza, piú acuta presenza.

 

Dare la mano

 

La neve diviene impronta e porterà con sé il mistero di quell’impressione. Osservando delle impronte, un cacciatore potrà capire molte cose dell’animale braccato.

 

Quando do la mano a qualcuno, la mia mano diventa un po’ la mano dell’altro e la sua diventa un po’ la mia. Divento la neve che ospita l’impronta e contemporaneamente la mano che si imprime sulla neve. E tra la neve che ospita e rivela e l’impronta che calca ed affonda, avrò pure contezza del significato dell’assenza che l’impronta nel suo essere contiene: giacché l’assenza non è per niente il vuoto.

 

È un discorso un po’ folle ma è proprio questa la manía. Chi è innamorato conosce molto bene questa situazione. Chi ha perduto una persona amata sa bene cosa vuol dire ospitare dentro di sé l’assenza, e quanto sia grande, rivelatrice e drammaticamente viva, la sua potenza.

 

Attraverso il toccare, il tastare, l’afferrare… il bambino piccolo inizia a compiere un processo di discriminazione: una lieve distanza inizia ad insinuarsi tra sé e il mondo.

 

Ci aiuta la poesia a comprendere questo passaggio:

 

 

Quando il bambino era bambino,

non sapeva di essere un bambino,

per lui tutto aveva un’anima

e tutte le anime erano un tutt’uno.

 

Quando il bambino era bambino,

era l’epoca di queste domande:

perché io sono io, e perché non sei tu?

perché sono qui, e perché non sono lí?

 

(Peter Handke, Elogio dell’Infanzia)

 

 

Ritornando alla maturazione del senso del tatto, possiamo dire che attraverso tale maturazione il bambino guadagna una sempre maggiore autonomia. Questa autonomia ha due aspetti, due versanti: autopercettivo e propriocettivo. Attraverso ciò il bambino percepisce se stesso e percepisce la propria differenza dal mondo che lo circonda; è paradossale, ma la maturazione dell’autonomia del bambino dipende strettamente dalle cure amorevoli da cui il bambino è stato avvolto. Proprio questo gesto d’amore porta alla maturazione dell’autonomia e sempre ad una piú acuta percezione e distanza dal mondo.

 

È l’amore da cui veniamo avvolti che porta all’autonomia: senza di esso il bambino avrà un po’ piú di fatica ad arrischiarsi nel mondo circostante. L’amore sperimentato sul proprio corpo, sulla propria pelle, l’amore con cui avvolgiamo la pelle, le amorevoli cure parentali, permettono al bambino di sviluppare una certa sicurezza che diventa condizione necessaria per il “gesto di distanziamento”.

 

Henning Köhler

Henning Köhler

 

Questo gesto di distanziamento dal mondo, con cui il bambino inizia a distanziarsi e a determinarsi, culmina nel processo di ostinazione.

 

Ho sentito Henning Köhler parlare spesso di due regole pedagogiche fondamentali. Della prima abbiamo già parlato. Essa dice: “Il bambino vuole sperimentare l’amore sulla sua pelle”.

 

La seconda regola pedagogica dice: “Consentite al bambino di prendere quella distanza di cui egli ha bisogno”.

 

Ricordiamolo: stiamo parlando di bambini piccoli.

 

Emmi Pikler

Emmi Pikler

 

La pediatra ungherese Emmi Pikler (1902-1982) è stata una grandissima pioniera riguardo alla ricerca sul tema del “distanziamento”. Ella diceva agli educatori: «Rispondete solo alle comunicazioni che il bambino vi rivolge attraverso il linguaggio del corpo, poiché lui vi saprà guidare”. Il bambino saprà dirvi di quale distanza o vicinanza ha bisogno. È necessario, sufficiente, prestare attenzione a ciò che un bambino (piccolo) esprime attraverso il linguaggio corporeo.

 

Il senso del tatto non è soltanto il senso mediante il quale si percepisce la separazione di sé dal mondo, ma è anche il senso mediante il quale ci si percepisce. È il senso mediante il quale il bambino impara a regolare sia distanza che vicinanza. E non dobbiamo pensare che il bambino abbia sempre bisogno della nostra vicinanza!

 

Mediante il senso del tatto noi sviluppiamo un senso dell’involucro e della forma, che viene irradiato dal corpo all’anima. Questo senso della forma e dell’involucro consente lo sviluppo dell’autonomia e della percezione del proprio essere separati dal mondo. Per dirla piú semplicemente, il bambino percepisce che con la sua pelle finisce il proprio corpo, e di là dalla pelle comincia il mondo. Tuttavia la questione non è cosí semplice, poiché fra me e il mondo esiste uno spazio intermedio, un ambito invisibile: questo spazio in realtà costituisce un corpo senziente che va al di là del mio corpo fisico. Noi non abbiamo solo un corpo fisico ma anche un corpo invisibile, e tale corpo invisibile è il corpo mediante il quale noi possiamo percepire. Questo corpo invisibile, giova ripeterlo, è esattamente quel corpo a cui la scienza si riferisce quando parla di schema corporeo.

 

Termino con una mia poesia. Anche qui c’è un distacco dal mondo, una presa di co­scienza, un entrare in un’altra forma. Il sacro diritto a non avere un nome è il diritto che ha chiunque non abbia detto ancora “Io” a se stesso. Eppure ogni tanto possiamo ritornare in quella terra – che poi è l’Eden.

 

I petali di un fiore, per un bambino piccolo, non sono poi cosí diversi dalle carezze della mamma.

 

 

COME ACCADONO LE COSE

 

Accadesti un giorno:

come accadono le cose

e dopo te

mi accadde il mondo.

Le parole

erano la tenerezza degli istanti

quel divenire in altra forma

di noi stessi.

Eri la pioggia

che lava da ogni battesimo

perché amando restituivi

nuove origini alla storia.

Restituendo ogni cosa

alla sua origine:

quel sacro diritto

a non avere un nome.

E prima che tutto

nuovamente si compia,

prima che Adamo

torni a dare un nome a tutto:

io ti confusi ancora

molte volte

alla fragranza del fiore

o al forte volo della libellula.

 

Nicola Gelo (1. continua)