Il primo numero in linea de L’ARCHETIPO di novembre 1997 conteneva questi versi …
Il mantra reiterato di parole
che l’anima carpisce in echi e lampi
al fiume degli archetipi, e diffonde
permeandone il corpo fibra a fibra,
contiene forse il nome innominabile,
l’arcana risonanza. Un giorno forse,
dopo mille sagaci esperimenti,
decrittazioni audaci di quei suoni,
accostamenti, sintesi, metafore
che quei vaghi riflessi suggeriscono,
troveremo la formula, sapremo.
Ma profondo nel cuore, inconoscibile,
quel verbo già fiorisce, accende fiamme,
sillaba le infinite metamorfosi
dell’essenza immortale fatta carne.
Gli ubbidisce la mano se rivela
al mondo le assonanze trascendenti
ormai vive, fluenti senza tregua
nelle sottili geometrie di vene,
linfa di cui si nutre ogni respiro,
stelle fuse nel murmure del sangue.
Fulvio Di Lieto
Caro Fulvio,
sono sicura che hai infine “trovato la formula, e adesso sai” mentre la tua bell’Anima si alza serena e luminosa nella vastità del Mondo Spirituale dove l’accompagna l’Amore di tutti coloro che ti hanno amato.
Non ho avuto il piacere di conoscerti personalmente, ma i tuoi versi hanno sempre parlato al mio cuore.
Sappi che, anche se hai abbandonato la tua veste terrena, continuerai a vivere nel mio amorevole ricordo e nei tuoi splendidi scritti.
Con affetto da Angiola Lagarde
Fulvio mi risponde:
Canto degli indiani NAVAJO
Non piangere sulla mia tomba:
non sono qui.
Non sto dormendo.
Io sono mille venti
che soffiano.
Sono lo scintillío
del diamante sulla neve.
Sono il sole che brilla
sul grano maturo.
Sono la pioggia
lieve d’autunno.
Sono il rapido fruscìo degli uccelli
che volano in cerchio.
Sono la tenera stella
che brilla nella notte.
Non piangere sulla mia tomba:
io non sono lí.