«Se la carne
è venuta nell’esistenza
per opera dello Spirito,
è un miracolo;
ma se lo Spirito
per opera della carne,
questo è un miracolo
di un miracolo.
E mi meraviglio di come
una cosí grande ricchezza
abbia preso dimora
in tale povertà».
(Vangelo di Tommaso, 34).
Vado a Roma per due incontri importanti: quello con Massimo Scaligero, mentre l’altro si svolgerà ai Musei Vaticani con La Scuola di Atene.
Per i grandi musei e le grandi esposizioni, cosí come con le Opere del Dottore, faccio cosí: scelgo un obiettivo e lascio a chi piace il vezzo di vedere troppe cose. Di solito esse ti lasciano stordito, spesso come svuotato. Le impressioni, fuggevoli poiché incessantemente spinte via da ciò che è successivo, ti fanno regredire nell’indistinto. Proprio l’opposto del processo conoscitivo sostenuto dal povero Ardigò che, andando oltre il sacerdozio, cercò empirica chiarezza nei dati di fatto.
Questo è un passo giusto, rispetto alla confusione perpetua, ma tra l’ignoto che in un secondo o terzo momento diverrà noto, ma mai adesso, e il rifiuto della realtà interiore (anche essendo assai positivi) si rimane schiacciati tra due limiti contro cui l’anima si infrange e muore nella disperazione.
Allora cammino lungo gli interminabili corridoi per giungere alla stanza con la parete affrescata da Raffaello quando, improvvisamente, mi trovo davanti a due grandi figure di pietra chiara. Possenti forme antropomorfe con teste leonine. Anch’io impietrisco. Che dire? Sono maestose e tremende da far paura.
Ed il pensiero sboccia come forza naturale: “Nel Sole, Lui era cosí prima di farsi uomo”.
C’è chi opina che, per meditare, occorrano grandi immagini o parole segrete. Credo invece che sia bastante un lampo di pensiero in cui si raccolgano tutte le potenze dell’anima. Cosí sorge potente in me l’essenza viva delle profuse comunicazioni di Steiner sul Cristo cosmico.
Il fatto che ci sia gran quantità di dotti approfondimenti su differenze o analogie tra il culto di Mitra e il cristianesimo, da quel che leggo, non porta a granché se non al teatrino culturale che, in verità, piace a molti. Insieme all’inevitabile scia polemica che, seguendo pregiudizi opposti giunge, viste le sospette somiglianze, a negare persino l’esistenza storica di Gesú. L’intellettualità astratta può cuocere qualunque cosa, ma il suo cibo non è nutriente e la sua deriva (inavvertita?) giunge all’innaturale velenoso.
Passano alcuni anni ed eccomi all’interno del Goetheanum, tra un mix materico disomogeneo di germanica, robusta piattezza e di geniali soluzioni certamente indicate da Rudolf Steiner.
Il manufatto non ancora collocato, e che perciò le fiamme non hanno potuto distruggere nel rogo del primo Goetheanum, è l’imponente gruppo ligneo del Rappresentante dell’Umanità. Trovo strana (indecorosa) la sua collocazione attuale: mi sembra calato in un buco. Lo hanno ridimensionato. A parziale ammenda c’è un soppalco e delle poltroncine per contemplare in santa pace la Scultura. La guida dei visitatori, a cui sono stato costretto ad accodarmi, prosegue il tour e mi lascia benevolmente solo.
Osservo in silenzio interiore. Mi accorgo che la composizione che sto guardando non è statica: scultura sí, ma in movimento. Nel sensibile, si configura in una sequenza di azioni sovrasensibili. Seguo queste con maggior mobilità interiore: mi muovo intorno a ciò che vedo senza fermarmi. Anche qui sboccia un pensiero privo di forma come fiore di luce: in esso avverto che il Sole è divenuto uomo. Come uomo è anche Fratello mio.
Ed ecco che una forza immensa mi trapassa, gentilmente: non brucia o dissolve nulla ma, per attimi, guarisce e trasporta anima e corpo ad un superiore livello di umanità. Qui non c’è antitesi tra umano e sovrumano. Essa è diversa dalle poche luci vissute con le discipline. Il cuore sente con cristallina chiarezza cosa sia l’entità umana quando viene compenetrata dal Logos: l’uomo quale dovrebbe essere.
La via iniziatica, l’Iniziazione stessa, è la strada dell’uomo-Spirito. Questa è semplicemente la redenzione donata dal Cristo. Senza estasi o enstasi. Altro non so, né saprei comunque dirlo.
Poi torno l’asino di sempre, con un atomo di certezza in piú.
E che Lui sia nato sulla terra il 25 dicembre o il 6 gennaio o ancora in altra data, scusatemi amici, per me non ha nessuna importanza.
…Trovarono Maria e Giuseppe e il Bambino giacente nella mangiatoia. Lo scrive Luca, che non aveva potuto vedere, come non lo vide il suo maestro, tal Paolo di Tarso: dieci parole che sono il nostro Natale… ed il medico di Antiochia non fu tentato di dire di piú. Per lui era sufficiente. Forse potrebbe esserlo anche per noi.
Franco Giovi