La posta dei lettori

Redazione

La posta dei lettori

bustina     Vorrei sapere perché a volte mi capita di provare, magari in maniera quasi inconfessata, il sentimento dell’invidia, e come posso superarlo.

Daniela M.

 

L’invidia è un atteggiamento dell’anima. Si tratta di una forza negativa dell’Io cosí intensa che può provocare degli oscuramenti nell’interiorità. Dato che ci si vergogna di essere invidiosi, ognuno crede di non esserlo. Si tratta però di un sentimento molto comune, che si riscontra anche nei bambini. Possiamo considerarlo ripugnante, ma non dobbiamo reagire scacciandolo, bensí cercando di riconoscerlo in noi. E quando lo troviamo, dobbiamo capire verso chi è indirizzato e perché. Se lo percepiamo alla luce del pensiero, c’è una grande possibilità di affrontarlo e risolverlo. L’unica via per superare questo sentimento è la conoscenza. La conoscenza è una forza divoratrice. La conoscenza del principio del karma, vissuto come pensiero-forza, ci fa capire che ognuno ha la vittoria che deve avere. Non c’è da invidiare il successo di altri: se è meritato dobbiamo gioire, perché il bene si spande sempre su tutta la collettività; se invece è immeritato, porta con sé il germe di una sconfitta, di una catastrofe che si prepara. E dunque non c’è da invidiare la persona ma da commiserarla. Se sviluppiamo un profondo pensiero riguardo al perfetto equilibrio del karma, conquistiamo la forza dell’Io che supera ogni sentimento di invidia, riportando l’ordine cristico nella coscienza.


   bustinaAnche se ho coltivato per anni uno stretto rapporto con il mio Io, mi è accaduto che durante una crisi personale quel contatto è stato interrotto. Vorrei sapere se è possibile ritrovarlo, e in quale maniera.

Alessandra P.

 

Il contatto con l’Io c’è sempre, in situazioni normali non può mai cessare. Ci può essere una rottura solo in casi estremi, di incidenti, di coma o di malattie neurodegenerative. In ogni caso, una interruzione è sempre causata da un trauma, di cui va analizzato il senso: se è karmico o se c’è una volontà. A volte il trauma è necessario per stabilire un contatto piú profondo con l’Io. Le forze della conoscenza sono illuminatrici della situazione che si è creata, secondo la linea di destino che noi stessi abbiamo tracciato. Tutto quanto accade all’esterno, nel quotidiano, in realtà avviene dentro di noi, e se afferriamo il senso dell’azione dell’Io, coltivando seriamente la disciplina spirituale, portiamo a coscienza le vere cause di questa sospensione di contatto con la parte centrale di noi stessi. Se vediamo positivamente la situazione difficile vissuta, questa può diventare un’occasione di contatto di profondità con l’Io. Se invece la vediamo negativamente, significa che siamo inattivi rispetto all’esperienza avuta. Si tratta di capire che la centralità dell’Io non viene mai meno, anche quando passa attraverso l’oscurità e l’errore. Non dobbiamo confondere quello che ci accade dal punto di vista personale, che è transitorio, con quanto riguarda il karma collettivo, di cui facciamo parte come membri di una famiglia o come cittadini di una nazione. L’occasione traumatica può divenire per noi il mezzo per una indagine piú alta, sia introspettiva sia di tutto ciò che accade all’esterno. Possiamo essere osservatori obiettivi, ponendoci al di fuori degli eventi che ci coinvolgono, come se si trattasse di qualcosa che non riguarda noi. È una disciplina dell’anima che ci fa comprendere come la vera esperienza dell’Io sia del tutto nuova sulla terra. In ogni caso, dobbiamo essere sicuri del fatto che il collegamento non è mai interrotto. Ma perché questo possa essere percepito, occorre trovare la quiete dell’anima, attraverso la conquista di un corretto pensare, di un corretto sentire e di un corretto volere.


 

bustina    È possibile spiegare perché molte volte nella vita ho provato un senso di solitudine e di vuoto, e qualche tempo dopo ho avuto la notizia che era morto un mio parente stretto? C’è una relazione?…

Clara Lojodice

 

Può accadere di trovarci in un particolare stato di silenzio e di quiete, ed avere un contatto con l’essere spirituale di una persona cara, che potrebbe mostrarsi a noi in una forma molto bella, portando con sé una sensazione di gioia. Se abbiamo la calma necessaria in noi per accogliere l’aspetto spirituale della persona, l’essere caro ci appare sorridente e ci mostra il suo affetto. Solo dopo veniamo a sapere che la persona è morta. Può accadere invece di avere uno stato di coscienza inquieto, ed essendo presi da problemi quotidiani, proviamo una sensazione quasi di depressione. Questo avviene perché un contatto spirituale non riesce ad effettuarsi. Sentiamo allora proprio quel senso di solitudine e di vuoto descritto nella domanda. Per avere il giusto contatto con i defunti, dobbiamo preparare la nostra coscienza per mezzo della disciplina interiore. Riusciremo allora a stabilire con essi persino un colloquio: questo può rappresentare per noi una crescita spirituale, e per loro un aiuto nell’esperienza che devono affrontare dopo l’uscita dal corpo e per il cammino da intraprendere nella nuova dimensione.


bustina      Ho letto, e mi hanno confermato, che Massimo Scaligero per la salute dell’anima non consigliava lo Yoga. Vorrei che mi spiegaste perché, dato che lo pratico e ne traggo un grande beneficio fisico e mentale.

Alfredo Mugnano

 

Lo Yoga è una Via antica, nobilissima, ma quel metodo si rivolgeva a un tipo umano, fisiologico e animico, assai diverso da quello attuale. Massimo Scaligero ce lo spiega in molti suoi libri e ne parlava spesso durante le riunioni che regolarmente teneva. Spiegava che l’antico uomo orientale aveva elaborato quella disciplina perché sentiva che si stava allontanando sempre piú dalla possibilità di vivere appieno il suo rapporto con il Mondo spirituale. Gli esercizi psicofisici messi a punto per ritardare quel distacco, quella crescente difficoltà a stabilire il rapporto diretto con la dimensione sovrasensibile, erano tesi a tornare indietro al periodo precedente, quello in cui tale possibilità era piú facile da ottenere. Elaborando una peculiare duttilità del corpo e della mente attraverso specifiche posture (asana), tecniche respiratorie (pranayama) e la ripetizione di espressioni sacre (mantra), egli riusciva a tornare a quel contatto con il Divino che sentiva di perdere nel discendere sempre piú nella materialità. L’uomo odierno ha invece oltrepassato il percorso del suo completo inserimento nella materia dal punto di vista fisico, e nel materialismo dal punto di vista mentale, ed è già iniziato il tempo della sua risalita. Gli esercizi che tendono a riportarlo indietro non possono quindi piú giovargli, ma vanno anzi in senso contrario al suo sviluppo interiore. Anche se lo Yoga che si pratica nelle palestre addomesticate dei nostri giorni sembra offrire un risultato energizzante, con il tempo possono insorgere problemi di tipo psichico che spesso non vengono ricollegati alle tecniche utilizzate, soprattutto a quelle nefaste e controproducenti legate alla respirazione: esercizi che non fanno avanzare con la giusta disposizione animica verso l’epoca futura. Noi dobbiamo rafforzare la coscienza dell’Io, e questo possiamo ottenerlo solo con il giusto sviluppo della nostra interiorità secondo il metodo adatto a quest’epoca e all’attuale nostra conformazione fisica, animica, mentale e spirituale. Nell’opera di Rudolf Steiner si trovano i cinque esercizi che, secondo quanto affermato da Massimo Scaligero, sono una via “oltre le filosofie occidentali, oltre lo Yoga, oltre lo Zen”.