Nata nel 1867 a Wlotzlawek da una nobile famiglia di origine danese, nella Polonia dominata dallo zar Alessandro II, Marie visse l’infanzia e la giovinezza come ogni ragazza di buona famiglia. L’educazione impartita dal padre, che era un generale, e dalla madre tedesca era tuttavia alquanto rigida, al punto che Marie, indipendente e volitiva, spesso si ribellava.
Della costa del Baltico, su cui trascorse da bambina un’estate, conservava un lontanissimo ricordo: ritmiche onde si infrangevano su una vasta e serena distesa di sabbia, e piú oltre il mare, immenso e azzurro… In questi ritmi la piccola Marie colse per la prima volta quell’armonia che avrebbe cercato per tutta la vita nei ritmi della parola e del suono.
Aveva otto anni quando la famiglia si trasferí a San Pietroburgo, la “Venezia del Nord” bagnata dalla Neva, la città dalle “notti bianche”. Il clima triste e nebbioso dei lunghi e freddi inverni nordici trasmetteva a Marie un senso di solitudine, fugato solo dall’approssimarsi dell’estate, quando ci si recava nelle proprietà di campagna e si tornava alla natura e al fascino delle tradizioni popolari. In questo ambiente geografico, per metà finnico e per metà russo, Marie sperimentò la natura come una forza dello Spirito: una forza che fece sua e trasmutò nella costanza di perseguire il proprio ideale, superando i limiti convenzionali che l’educazione e la società volevano imporle.
Come molte signorine della buona società, studiò alla scuola tedesca di San Pietroburgo, in cui venivano insegnate la letteratura, le lingue e la storia. Avrebbe voluto imparare anche il greco ma le fu impedito, perché la conoscenza di questa lingua era considerata inutile per una ragazza. Marie soffrí molto questo rifiuto, perché nel mondo greco vedeva realizzato il piú alto ideale di bellezza, e cercò di consolarsi recitando ad alta voce le poesie che amava, nei cui ritmi ritrovava l’armonia dell’anima.
A diciassette anni, finita la scuola, viaggiò per l’Europa con la madre e la sorella. Fu per lei un’esperienza di libertà conclusa dal ritorno a San Pietroburgo, nella rigida e conformista atmosfera familiare.
Si avvicinava intanto la fine del secolo, carica per la Russia di molti fermenti ideali e politici. La gioventú aspirava a una maggiore giustizia sociale, le donne chiedevano il diritto a un’istruzione pari a quello dei maschi e organizzarono persino corsi d’istruzione nelle case private; molti giovani, affascinati dal mito di “andare verso il popolo”, si dedicavano all’istruzione degli analfabeti e dei poveri. Anche uno dei fratelli di Marie si convertí a questo ideale, decidendo, insieme con un amico, di trasferirsi nel distretto di Novgorod, dove la famiglia von Sivers aveva una proprietà. Portò con sé anche Marie, allora ventunenne, per sottrarla all’atmosfera familiare resa pesante dai continui dissidi con la madre.
Nella nuova situazione Marie poté mettere a frutto le proprie energie, dedicandosi all’istruzione dei contadini e al miglioramento delle loro condizioni di vita. Come il fratello e molti altri giovani russi, era mossa dall’ideale cristiano di “servire i piccoli”, un ideale che veniva però frainteso e confuso con gli ideali rivoluzionari che si prefiggevano di abbattere le istituzioni. Per sette anni Marie von Sivers si dedicò alla sua “missione”, finché la morte del fratello e la partenza dell’amico non la costrinsero a far ritorno a San Pietroburgo, convalescente per una brutta caduta che aveva contribuito a spingerla ad abbandonare la proprietà. Questo incidente, che la lasciò claudicante, le ottenne il permesso di partire per l’estero e di visitare la Spagna, l’Inghilterra e la Francia. Si fermò infine a Parigi, per prendere lezioni di recitazione dalla grande attrice della Comédie française, Madame Favert.
Era un periodo di grande trasformazione per la Comédie e per il teatro francese che, abbandonata la tragedia classica, si erano aperti ai nuovi drammi in prosa che lasciavano ampio spazio a una interpretazione soggettiva ed emotiva. Non era piú il tempo di Madame Favert e di una recitazione basata sulla solennità del gesto e della parola; era il momento di Sarah Bernhardt e di Eleonora Duse, che recitavano con forte partecipazione emotiva, secondo il gusto decadente di fine secolo. Il decadentismo permeava, infatti, tutta la vita intellettuale e spirituale parigina e favoriva il diffondersi dello spiritismo nei salotti della buona società. Quest’atmosfera risultava soffocante a Marie, che cercava di difendersene frequentando le lezioni della Sorbona e studiando la storia dei popoli e delle religioni. Fra gli scrittori del tempo che piú la attrassero fu Edouard Schuré, autore de I Grandi Iniziati e del “Teatro dell’Anima” e futuro amico di Rudolf Steiner.
Dopo questo periodo di grande libertà dovette tornare a San Pietroburgo, dove, in quanto allieva di Madame Favert, fu scelta come protagonista della Maria Stuarda. Riscosse un grande successo, tanto che la famiglia non poté piú opporsi alle sue aspirazioni artistiche. Le impose, però, due condizioni: avrebbe dovuto recitare all’estero e sotto falso nome. Marie aveva ottenuto ciò che voleva, ma ora doveva adattarsi all’esilio; cosí, con alcune lettere di presentazione fornitele da Maria Strauch-Spettini, prima interprete presso il Teatro imperiale tedesco di San Pietroburgo, partí per la Germania.
Entrò nella compagnia berlinese del teatro Schiller, ma presto si accorse che la rigida atmosfera della Germania imperiale non le si adattava; non riusciva a condividere il tipo di recitazione aggressivo e intellettualmente astratto che invaleva a quell’epoca nei teatri tedeschi. Fu cosí che, poco disposta com’era ai compromessi, rinunciò alla parte di protagonista nella Giovanna d’Arco. La scelta, difficile quanto sofferta, la costrinse a rimettersi in cammino per cercare una nuova via verso il proprio destino.
Venne allora in Italia dove, presso l’università di Bologna, frequentò come uditrice le lezioni di Giosuè Carducci, del quale amava la poesia solenne ed eroica. Ebbe anche occasione di conoscere il Pascoli. Nella sua anima covava già il desiderio di stabilirsi in Italia, dove respirava la bellezza della lingua e la dolcezza del vivere, quando nel corso di un viaggio a Berlino incontrò Rudolf Steiner, che era stato invitato a tenere una conferenza nel salotto dei conti Brockdorff.
Ciò che Rudolf Steiner presentava come frutto della propria indagine spirituale rispondeva a quanto Marie aveva sempre cercato per nutrire la sua sete di spiritualità, a lungo insoddisfatta. Cominciò cosí a frequentare regolarmente il salotto dei Brockdorff e le conferenze di Steiner.
Come raccontò anni dopo ad alcuni amici, incontrando Steiner, Marie aveva avuto l’impressione che lui avrebbe salvato la nostra epoca dalla distruzione verso cui correva.
Quando tornò in Italia, cominciò a organizzare, su richiesta dei conti Brockdorff, la fondazione di nuovi gruppi teosofici a Bologna, Genova e Torino. Sembrava a questo punto che l’Italia sarebbe divenuta la sua seconda patria e Firenze la sua città d’elezione. Ma il destino la richiamò in Germania: il conte Brockdorff era malato e non poteva piú svolgere i suoi compiti di dirigente del gruppo teosofico, perciò chiese a Marie di prendere il suo posto. Da ciò nacque la profonda intesa con Rudolf Steiner, sotto la cui guida Marie riprese l’attività di recitazione, da cui sarebbe piú tardi sorta l’arte della parola, la Sprachgestaltung: la sofferenza che aveva vissuto all’epoca della rinuncia al teatro Schiller trovava ora piena ricompensa. Capiva che era valsa la pena di non scendere a compromessi, perché proprio quel rifiuto le aveva aperto la strada alla giusta soluzione.
L’arte, secondo R. Steiner e Marie von Sivers, è il sovrasensibile che si fa sensibile, l’idea che s’incarna nell’umano, come portatrice di valori spirituali; perciò l’artista deve farsi strumento di essa, per farla vivere nella sua oggettività, escludendo i moti soggettivi ed emozionali della psiche che falserebbero ciò che dai mondi spirituali vuole donarsi alla Terra.
In questo accordo profondo delle loro personalità, Marie von Sivers e Rudolf Steiner guidarono anche la Sezione tedesca della Società teosofica e, nel corso degli anni, diedero vita alla rappresentazione di diversi drammi misterici: il “Dramma sacro di Eleusi” e “I figli di Lucifero” di Édouard Schuré e quindi, fra il 1910 e il 1913, i quattro “Drammi mistero” scritti da Rudolf Steiner.
Questo nuovo teatro esoterico non raccolse consensi presso i membri ortodossi della Società teosofica, i quali vedevano in essa un’inutile distrazione dalle attività “occulte” strettamente pertinenti alla Società. I seguaci di Steiner, al contrario, guardavano con interesse ed entusiasmo ai suoi esperimenti artistici.
Nel 1908, a Berlino, Marie fondava la “Casa editrice filosofica antroposofíca” per dare a Rudolf Steiner la possibilità di tenere le sue conferenze per l’Europa e di scrivere i suoi libri senza dover sottostare alle pressanti richieste degli editori.
Nel 1912 nacque la nuova arte del movimento, che fu detta “euritmia”, e si pose il problema di creare un luogo idoneo alle rappresentazioni artistiche, un luogo che fosse l’espressione della nuova concezione spirituale della parola. Si pensò dapprima di costruirlo un po’ fuori Monaco di Baviera, con il nome di Johannesbau, poi, a causa del parere negativo della commissione edilizia, si decise di costruirlo a Dornach, vicino a Basilea.
L’esplosione del primo conflitto mondiale relegò, come abbiamo visto, i fondatori dell’antroposofia nella neutrale Svizzera, ma tale costrizione si rivelò positiva, perché ebbero l’opportunità di dedicarsi allo sviluppo di quegli impulsi che, dopo la guerra, si sarebbero diffusi in tanti paesi.
Il 24 dicembre 1914 Marie e Rudolf Steiner si unirono in matrimonio. Si sposarono affinché Marie potesse prendere il passaporto austriaco e accompagnare cosí Steiner nei suoi viaggi in Germania, dove i membri della Società sentivano il bisogno delle parole d’incoraggiamento dell’uno e delle doti organizzative e artistiche dell’altra; in realtà quel matrimonio non fu che il naturale epilogo della complementarità armoniosa e del profondo accordo delle loro personalità. La loro operosa collaborazione continuò all’unisono, senza cedimenti di fronte alle crescenti difficoltà e ai dissidi che, nel dopoguerra, cominciarono a dividere i membri della Società.
Instancabilmente e con assoluta dedizione Marie proseguiva il suo lavoro di artista, rappresentando drammi, dando spettacoli di euritmia e insegnando per molte ore al giorno, pur continuando ad amministrare le proprie non grandi sostanze, al fine di finanziare le attività del movimento antroposofico e aiutare quei giovani che, privi di risorse economiche, volevano dedicarsi alle nuove arti.
Insieme a Steiner visse il dramma dell’incendio del primo Goetheanum e insieme a lui ricominciò a lavorare per il nuovo Goetheanum. A Natale del 1923 Marie organizzò l’Assemblea, nel corso della quale Rudolf Steiner assunse la presidenza della Società, e quando egli non fu piú in grado di viaggiare a causa della malattia che lo portò alla morte, Marie continuò i suoi viaggi artistici e organizzativi nei vari paesi d’Europa. Fu nel corso di uno di questi suoi viaggi che Rudolf Steiner morí, lasciandola erede universale. Steiner stesso aveva specificato che, dopo la sua morte, tutto ciò che Marie avrebbe detto si sarebbe dovuto considerare come detto da lui.
Ventitré anni era durata la loro collaborazione e di altri ventitré anni Marie gli sopravvisse: un lungo periodo durante il quale non si lasciò prendere dalla tristezza della solitudine, consapevole che ora spettava a lei proseguire l’opera alla quale entrambi avevano dedicato la vita. Proseguí nel suo lavoro d’artista, vide nel 1928 l’inaugurazione del secondo Goetheanum e organizzò l’archivio delle opere di Rudolf Steiner, nel quale si raccolsero stenogrammi e conferenze destinati alla pubblicazione.
Nel 1942 fondò l’Associazione per il Lascito di Rudolf Steiner. Nel 1948, due giorni dopo Natale, all’età di ottantun anni, morí nel piccolo paese di Beatenberg, sulle Alpi svizzere, dove si era ritirata da alcuni anni. Molto tempo era passato da quando la giovane Marie aveva sperimentato il freddo e l’angoscia della solitudine nelle stanze della grande casa di San Pietroburgo. In mezzo c’era una vita che aveva conosciuto lotte, dissidi e sofferenze, soprattutto quella conseguente alla morte del suo insostituibile compagno di vita e di cammino spirituale. Ma questa vita aveva conosciuto la gioia della dedizione all’ideale.
Alda Gallerano
Tratto dal libro: L’Antroposofia, il messaggio di Steiner – Editrice Xenia, Milano 1996.