Mi è stato chiesto molte volte, e da piú persone, di mettere per iscritto un’esperienza fondamentale della mia vita. Non sono stata in grado di farlo finora, ma forse l’età avanzata mi permette oggi di vederla con il necessario distacco, e quindi di poterla in qualche modo, anche se con una certa difficoltà, descrivere.
Avevo già avuto due volte, durante una concentrazione profonda, la sicurezza dell’arrivo dell’Essere che dovevo incontrare. Ma entrambe le volte, pur essendo seduta, mi ero ritrovata in ginocchio sul pavimento, per l’impossibilità di sostenere l’emozione dell’Incontro.
Evidentemente la mia struttura psico-fisica era troppo debole, o troppo ansiosa, o troppo sensibile. Ma quando le cose devono accadere, il Mondo spirituale trova le sue strade.
Quella che ha trovato per me è stata piuttosto tragica, ma le ragioni dell’Alto sfuggono alle nostre terrene.
Durante un’operazione, di cui è inutile precisare la ragione e lo svolgimento – dato che era la possibilità che il Cielo aveva considerato giusta – per un errore compiuto dal chirurgo ho attraversato la porta della morte.
Posso ricordare con molta precisione il momento del distacco dal fisico, che è di una inimmaginabile e totale angoscia, ma della durata di appena un attimo, necessaria a permettere l’uscita dal corpo e il superamento della soglia.
Ne è seguito l’esatto contrario dell’angoscia: una lievità, una liberazione e una sicurezza di tornare “a casa” è stata la prima immagine. Mi trovavo nel tunnel che tante altre persone hanno nel tempo descritto, per aver attraversato la stessa esperienza.
L’impressione che ne avevo, mentre lo percorrevo a grande velocità, era di un “canale di parto”. Sentivo che stavo “partorendo me stessa”, e che a breve avrei sperimentato la nascita alla vera vita.
Mentre ero ancora nel tunnel, diretta verso la luce lontana che vedevo avvicinarsi sempre piú, provavo una libertà di pensiero che mi meravigliava e mi spingeva a conoscerne i limiti, se ve n’erano. Mi rivolgevo domande di ogni genere, riguardanti temi, soggetti e contenuti che non erano stati per me materia di studio né mai in seguito approfonditi, come complesse operazioni di matematica e di geometria, archeologia e varie altre discipline cosí come mi sorgevano con immediatezza alla mente.
Ad ogni domanda che mi ponevo, tanto per saggiare le mie possibilità di conoscenza, le riposte arrivavano in me con la forza della verità, che non ha bisogno di essere provata. Sapevo di essere collegata con un pensiero che tutto pervadeva, al quale potevo attingere per qualunque argomento.
Quello che piú mi appariva evidente, era la realtà di quanto stavo vivendo, una realtà assai diversa da ciò che avevo sperimentato fino a quel momento “da viva”. Sentivo in maniera inequivocabile che quella era la vera vita, mentre la vita fisica mi appariva una sorta di rappresentazione scenica, alla quale avevo partecipato recitando una parte, cercando di interpretarla al meglio, immedesimandomi nel personaggio, soffrendo e godendo in modo alquanto plausibile, ma ora che ero uscita di scena, ne vedevo l’illusorietà: tutto quello che avevo considerato importante, persino essenziale, non era che maya!
Arrivata al termine della lunga galleria, mi sono trovata in un luogo meraviglioso, luminosissimo, ma la cui luce non infastidiva la vista. Ovunque una natura dai colori “vivissimi”: aggettivo questo del tutto esatto, dato che ogni cosa appariva vivente. La luce e i colori non provenivano da una direzione unica, come accade sulla terra, dal sole o da una diversa fonte luminosa localizzabile, ma tutto pulsava di vita, di luce e di colori propri.
All’improvviso ho visto lontano una figura candida, piú luminosa di tutto quanto era intorno. Ho subito desiderato di andare verso quell’Essere raggiante, ma non sapevo se sarei riuscita a raggiungerlo. Una voce dentro di me, intanto, mi avvertiva, in tono ironico: «Ma come vuoi camminare se non hai le gambe!». In effetti, avevo solo una lunga tunica e nulla sotto. Però il desiderio di muovermi era grande, e cercando di spostarmi in avanti, verso quella figura, ho capito di poterlo fare liberamente, fluttuando senza toccare terra.
Mi sono mossa allora in quella direzione, questa volta lentamente, per darmi il tempo di rendermi conto di ciò che mi stava accadendo. Mentre mi avvicinavo, sentivo venirmi incontro una corrente d’Amore che mai avevo provato in modo tanto potente.
Una infinità di pensieri intanto si formavano dentro di me. Sapevo, ne ero sicura, che quello era l’amore che tutti noi cerchiamo sulla terra: lo cerchiamo dai genitori, dalla persona amata, dai figli, dagli amici. Ma l’amore umano è ben lontano da quell’Amore che, mentre mi avvicinavo, mi avvolgeva completamente, donandomi una gioia purissima e completa.
Quando sono arrivata presso l’Essere che mi attendeva, ho capito Chi fosse. L’emozione è stata talmente forte, che sono caduta in ginocchio. In me intanto c’era sempre quella vocina ironica che continuava a commentare ciò che sperimentavo. In quel caso si domandava come facessi a mettermi in ginocchio, dato che sotto la tunica le ginocchia non c’erano… Dopo aver tacitato quella voce impertinente, ho rivolto lo sguardo all’Essere divino. Aveva il braccio destro alzato e il sinistro lungo il fianco. Dopo aver ricambiato il mio sguardo, si è rivolto a me con grande dolcezza, dicendo: «Devi tornare, perché hai un compito».
Una disperazione mi ha colto in quel momento. Ero talmente felice di stare in quel luogo tanto meraviglioso, circondata da un’indescrivibile bellezza e da un tale infinito Amore, che mi angosciava l’idea di tornare e affrontare il rientro nel corpo fisico, del quale ero riuscita a liberarmi dopo un dolore tanto intollerabile da poter essere considerato, a ragione, “mortale”.
Allora ho cercato di muovere a pietà quell’Entità benigna e amorevole, tendendo le mie mani verso la Sua mano sinistra, che teneva abbassata lungo il fianco. Cercavo inutilmente di stringere quella mano, ma non toccavo nulla: le mie mani non avevano una consistenza fisica!
Ho sentito allora la Sua voce ripetere: «Devi tornare!» con un sorriso dolcissimo ma con un tono che avvertivo inesorabile. A quel punto sono stata afferrata da una corrente inversa, che mi trascinava all’indietro. Quando mi sono ritrovata nel tunnel, questa volta non indietreggiavo in orizzontale, ma mi sentivo cadere come in un profonda pozzo, in verticale.
Il rientro in quel corpo piagato, carico di tubi, bende e dolente in maniera insopportabile, fu assolutamente traumatico, Avrei voluto tornare dove ero stata, dove mi ero sentita “a casa”.
Ma il comandamento era stato preciso. Avevo un compito.
Sono passati tanti anni, e ho cercato in tutto questo tempo di comprendere quale fosse realmente quel compito. Non avendolo individuato, ho cercato di seguire l’unico Comandamento del Nuovo Testamento, quello che è dato a ognuno di noi: «Ama il prossimo tuo come te stesso».
Marina Sagramora