Il fallimento del colonialismo

Critica sociale

Il fallimento del colonialismo

colonizzazione spagnola

 

Il tanto aborrito colonialismo ha avuto, a nostro avviso, il compito di mediare l’incontro dell’Occidente anglosassone e dell’Europa con quanto del mondo era ancora immerso nel sonno del passato. Gradualmente, dalla scoperta dell’America in poi, innumerevoli popoli sono venuti a contatto con la nascita potenziale dell’uomo libero, con il primo sviluppo del pensare autonomo, con il progresso scientifico e industriale, con l’enunciazione dei diritti dell’uomo.

 

Il maggior torto del colonialismo è stato quello di non promuovere un graduale sviluppo economico delle popolazioni sottoposte, pur attingendone alle risorse; di ricorrere inoltre alla forza di fronte alle prime aspirazioni di indipendenza, invece di ricercare giuste possibilità di convivenza e di collaborazione. In questa mancanza di apertura possiamo scorgere alcune fra le cause di decadenza degli imperi coloniali. Un esame spregiudicato – libero da luoghi comuni – non può che rilevare però la se pur provvisoria funzione di equilibrio svolta dalle colonie in un mondo in rapida crescita, favorendo 1’inserimento, certo ancora incompleto, di una miriade di economie chiuse nell’attuale tendenza a una dimensione che abbraccia tutta la Terra. Inoltre i colonizzatori hanno diffuso ciò che ha provocato la giusta fine del colonialismo: la coscienza dei diritti dell’uomo, il sentimento della indipendenza nazionale, strutture politiche e amministrative in grado, se non di risolvere tutti i problemi, per lo meno di stabilire un qualche rapporto con la realtà attuale.

 

Purtroppo il mondo sviluppato non ha potuto esportare ciò che esso stesso non possiede. Non ha potuto esportare vera civiltà e vera cultura quando ha aperto il varco, al suo interno, a tutte le inversioni e a tutte le degradazioni; non ha potuto indicare istituzioni valide, dal momento che le sue strutture vacillano; non ha potuto donare soluzioni economiche, mentre il suo benessere si sorregge, sempre piú precariamente, sulle superstiti forze che hanno prodotto la prima industrializzazione.

 

La scienza economica occidentale viene definita come “il Dio che ha fallito”. Lo sviluppo tecnologico progredito sino all’automazione, per la sua unilateralità, non può essere di giovamento ai Paesi poveri, che non possiedono il sostrato economico per recepirlo. Inoltre l’urto improvviso con il modo di vivere della civiltà industriale ha provocato, in quei gruppi etnici ancora immersi in una condizione antica, uno shock che è certamente una delle concause della loro spinta alla rivolta e all’odio.

 

Sovrappopolazione

 

Si tenta oggi di nascondere questo fallimento dietro il falso problema della sovrappopolazione nel mondo e in particolare nei Paesi sottosviluppati. Cer­tamente esistono grosse sacche di miseria aggravate da una serie continua di calamità naturali, le quali colpiscono quasi sempre i Paesi piú poveri. Ciò sta a indicare l’enorme carico esteriore e interiore che si sono assunti i popoli piú primitivi nel misterioso procedere dell’evoluzione dell’uomo. È piú che giusto pertanto che a loro giunga un aiuto immediato da parte delle nazioni piú progredite. Sarebbe anche opportuno però che le condizioni economiche dei Paesi sottosviluppati vengano considerate come un particolare stato patologico di quell’unico organismo che è ormai l’economia mondiale.

 

Aiuti alimentari al Terzo Mondo

Aiuti alimentari al Terzo Mondo

 

Se questi Paesi continueranno, in ossequio ai modelli di pianificazione oggi tanto di moda, a condurre una politica di intervento statale non coordinata con la loro area continentale e poi con il resto della Terra, nessun aiuto riuscirà a risolvere qualcosa in profondità, tanto piú se condizionato da interessi ege­monici o ideologici.

 

Come non rilevare che vastissime regioni, sia in Africa, sia in Sud America, sia in Australia (potenzialmente produttive) sono escluse da ogni sviluppo perché scarsamente popolate, mentre si registrano accentramenti eccessivi nelle aree urbane. È troppo semplicistico pertanto impedire all’uomo di esistere, di nascere. Se la popolazione della Terra è aumentata, soprattutto negli ultimi 70 anni, ciò è dovuto, a nostro avviso, alla particolare esperienza dell’autocoscienza, intesa come punto di partenza per la nascita dell’uomo futuro. Esperienza che di conseguenza chiede di essere vissuta da un grandissimo numero di anime. L’uomo non è un coniglio; egli ha valore come personalità non solo come specie. Viene sulla Terra, secondo la legge karmica, per assumere e per donare qualcosa in un determinato momento evolutivo. Fra i suoi compiti vi è anche quello di comprendere in quale direzione deve operare per reperire quanto necessita per i suoi bisogni e per quelli dei suoi simili, ponendosi nella condizione di attingere alle enormi ricchezze potenziali che il nostro pianeta ancora offre.

 

Il riuscito progetto antroposofico SEKEM, nel deserto egiziano, di Agricoltura biodina-mica e di rinnovamento economico e socioculturale

Il riuscito progetto antroposofico SEKEM, nel deserto egiziano, di Agricoltura biodina-mica e di rinnovamento economico e socioculturale

 

I Paesi poveri non hanno solo bisogno di aiuti materiali. Essi chiedono idee valide; essi aspirano a una rinascita spirituale che non mortifichi le loro tradizioni ma che li aiuti a evolversi verso la missione che attende l’uomo moderno. Non si può offrire loro, senza tradirli, un sistema ideologico astrattamente buono per tutte le situazioni. Dovrebbe essere indicata lo­ro una direzione che si concretizzi prima di tut­to in una libertà spirituale (non contaminata da influenze politiche e da ricatti economici) quale presupposto fondamentale affinché ogni persona possa cominciare a destare in se stessa il suo principio cosciente. 

 

Da questa atmosfera di autentica libertà può essere ridata vita agli ordinamenti statali e giuridici locali, in modo che essi realizzino quei contenuti di giustizia atti a regolare, in senso piú moderno, i complessi rapporti fra uomo e uomo richiesti dalle esigenze sociali attuali. Infine il mancato sviluppo può trovare forse una soluzione solo nella realizzazione di uno spazio economico autonomo, affrancato da ogni ingerenza statale, il quale si colloca cosí nella condizione ottimale per sfruttare le risorse esistenti e per recepire quanto di positivo può provenire da altre nazioni.

 

L’autonomia dei settori spirituali, giuridici ed economici previsti dalla Tripartizione del­l’organismo sociale può rappresentare, a nostro avviso, il fatto nuovo, per i Paesi del Terzo Mondo, in grado di inserirli nella corrente evolutiva attuale. Essa può offrire inoltre a ciascuno di loro il contributo di idee che li aiuti a tentare direttamente la soluzione dei loro complessi problemi, ponendoli contemporaneamente in rapporto con gli analoghi settori delle altre nazioni dai quali possano trarre un aiuto disinteressato, in quanto isolato dalle ambizioni egemoniche dello Stato unitario moderno.

 

Mahatma Gandhi

Mahatma Gandhi

 

In Asia il grande momento del Gandhismo, ispirato ai Veda, alle Upa­nishad, al Buddha, al Cristo, con la sua contrapposizione fra Himsa e Ahisma, la forza fisica (violenza) e la forza dell’anima (non violenza), con il suo invito alla restrizione dei bisogni materiali, con la sua definizione dello Stato moderno inteso come espressione della violenza concentrata e organizzata, ha rappresentato l’ultimo raggio di luce spirituale autentica in India. L’ambiente indiano piú elevato non è stato aiutato, dalla nostra cultura, a riconoscere che l’esperienza occidentale rappresenta una tappa necessaria nell’evoluzione dell’uomo onde pervenire coscientemente alla riscoperta del Divino. Di conseguenza la concezione di Gandhi, in linea con il compito grandioso di Aurobindo, di indirizzare il mondo della Tradizione verso l’esperienza del pensiero europeo, non ha avuto praticamente seguito. Al suo posto un’orgia di yoga, di occultismo induista, di tantrismo, di buddismo, di Zen piú o meno commercializzati hanno invaso l’Europa e l’America. Essi hanno offerto, alla nascente e ancor debole aspirazione allo Spirito dell’uomo occidentale, un facile ma assurdo ritorno al passato, il rivivere di una tradizione solo formale, i quali sono divenuti ben presto lo strumento piú diretto per ostacolare il manifestarsi della spiritualità dei nostri tempi.

 

Indubbiamente migliore la soluzione del Giappone. Esso ha conquistato un, se pur provvisorio, equilibrio fra una specie di neo-capitalismo e le ultime forze vive della Tradizione, riuscendo cosí a conciliare salari, consumi, accumulazione e partecipazione umana spontanea alla vicenda produttiva. Risultato di ciò il ripudio di ogni ingerenza dello Stato sulla economia, a favore di una coordinazione delle diverse decisioni manageriali, la quale è il frutto dell’intuizione della direzione in cui dovrebbero essere ricercate alcune soluzioni dei problemi attuali.

 

Il Giappone è in tal modo pervenuto a uno sviluppo economico stupefacente, il quale solo in una prima fase è stato facilitato dal basso costo della mano d’opera. È stato sostenuto anche dal potere di assimilazione di questo popolo che ha rapidamente recepito la tecnologia piú avanzata. Inoltre è stato aiutato da una base etnica, piú consistente di quella di altri popoli orientali, la quale ha consentito il formarsi di una struttura logica moderna, derivata dal migliore hegelismo operante nelle sue università già dal 1920. Proprio quello che è mancato alla Cina, posta invece alla mercé della razionalità astratta piú deleteria.

 

 

Argo Villella

 


 

Selezione da: A. Villella Una via sociale Società Editrice Il Falco, Milano 1978.