Hegel si propone la ricerca di una sintesi ove morale e religione possono trovare una loro dimostrazione razionale, a condizione però di poter pervenire a una logica sintetica piú alta, in grado di trascendere la stessa logica analitica della scienza. In sostanza egli vuole indicare gli stadi necessari attraverso i quali la ragione umana si avvicina all’Assoluto e come l’Assoluto si trasfonda nel mondo delle idee e nelle istituzioni della società.
Lo strumento adottato da Hegel a questo fine è la dialettica. Ma l’uso di essa non può essere disgiunto dalla convinzione della realtà della idea. Gran parte della cultura filosofica post-hegeliana non ha compreso che l’idea, secondo Hegel, non è affatto il prodotto dell’organo cerebrale: essa è piuttosto la manifestazione diretta di un Assoluto che si serve, come mezzo espressivo, della dialettica. La dialettica, priva del contenuto essenziale che la giustifica, orbata del principio stesso della logica che è implicito all’esperienza dell’idea, si preclude la possibilità di pervenire a quella sintesi in grado di superare la mera analisi quantitativa. Ci sembra essere questa l’interpretazione piú aderente ai contenuti della Fenomenologia e della Scienza della logica.
Come risulta però evidente anche dalla sua concezione storica, Hegel ha dato un possente contributo alla comprensione della esperienza dell’idea, senza giungere a un chiarimento completo. In tale prospettiva tutto l’idealismo può essere considerato non una vetta definitivamente conquistata ma solo una tappa, anche se fondamentale, di un’ascesa faticosa alla quale ha dato un aiuto tutta la filosofia occidentale. Scrive uno dei piú acuti rilettori del grande filosofo tedesco: «Per il momento per me era importante aver scoperto che la filosofia di Hegel era il prodotto della sua personale facoltà di percezione eterica del mondo: facoltà di cui naturalmente non vi era alcuno dei discepoli che fosse dotato, onde ciascuno di essi in definitiva ereditò dal maestro il costrutto delle parole, ossia il sistema dialettico, il guscio vuoto in cui poteva immettere qualsiasi contenuto, anche l’opposto, come doveva fare Marx. Ciò spiega il formarsi della sinistra, della destra e di tutte le particolarizzazioni intermedie della corrente hegeliana» [Massimo Scaligero, Dallo Yoga alla Rosacroce, Perseo, Roma 1972].
Hegel dunque possedeva il significato della realtà del pensiero e della sua universalità archetipica come dono spontaneo, ma non ha indicato una metodologia interiore atta a condurre allo stesso livello. la sua dialettica infatti è un sistema scaturente da una potenza grandiosa di sintesi, ignota (tranne rare intuizione) a tutta la filosofia occidentale e che presuppone, per sua stessa ammissione, una visione iniziatica per essere interamente compreso. Hegel, a nostro avviso, ha mostrato la possibilità del superamento del razionalismo astratto mediante forze spirituali eterne, affinché coloro i quali vogliono pervenire alla conoscenza e alla consapevolezza della propria missione umana, realizzino coscientemente, attraverso una profonda trasformazione interiore, quanto in lui viveva ancora spontaneamente.
Crediamo che alla luce di tutto ciò possa avere un suo significato piú preciso il muovere di Hegel verso l’idea del progresso universale e il suo collocare a base del metodo storico una dialettica, contenente però valori di sintesi inerenti sia alla natura dello Spirito sia alla natura delle cose. Sono queste indubbiamente le concezioni che lo contrappongono agli studi storici del suo tempo prodotti dalla sola intelligenza analitica. Ragione astratta che frantumando la società in atomi umani, non ne percepisce piú la creatività e il perenne sviluppo celati dietro vicende delle singole individualità. La personalità dell’uomo, che non ha raggiunto ancora la sua piena realizzazione, evolve, secondo Hegel, attraverso il progresso del popolo al quale appartiene, ascendendo da un primo periodo di inconsapevole spontaneità felice (polis-tesi), passa poi per un periodo di delusione e di ricerca interiore nel quale lo Spirito si rivolge a se stesso e perde la sua spontaneità (Socrate e il primo Cristianesimo); perviene infine a un’epoca in cui lo Spirito ritorna a se stesso su un piano superiore, in una nuova èra che sa unire la libertà all’autorità e all’autodisciplina (sintesi).
Hegel considera lo spirito nazionale come una manifestazione dello spirito universale, come uno stadio particolare dello sviluppo storico, dal momento che Dio assegna a ogni popolo un suo compito ben definito. Il fine della società è dunque l’uomo, non la nazione, intesa solo come una tappa intermedia. Di conseguenza la concezione politica hegeliana non va considerata come una costruzione definitiva. Infatti essa risente dell’esigenza di adattare un fine elevatissimo alle necessità quotidiane.
Molti studiosi hanno messo in evidenza che in Hegel i rapporti fra nazione, Stato e individuo non sono sempre formulati con la stessa organicità del suo sistema filosofico e storico. Le sue convinzioni sulla libertà civile non sono certamente identiche a quelle individualiste inglesi, ma non coincidono nemmeno con le opinioni di coloro i quali sostengono l’importanza di uno Stato uniforme, come la repubblica francese dopo il 1789. Egli ha auspicato piuttosto la presenza di una associazione di uomini che si protegge collettivamente attraverso una base civile e militare sufficienti a questo scopo; una monarchia costituzionale o qualsiasi altra forma di governo che non implica necessariamente uniformità di leggi, unica cultura e identica religione.
Secondo Hegel l’infelicità dell’uomo origina dalla delusione conseguente al contrasto fra ciò che è e ciò che vorrebbe essere; tutto questo non va però inteso come accettazione passiva di una realtà immutabile, ma come un imperativo morale in grado di spingere a identificare i fini personali dell’uomo con il destino della civiltà. All’utilitarismo viene quindi contrapposta l’assunzione cosciente della missione dell’uomo nella società. Senza la conquista di questo livello, l’uomo rischierebbe di smarrirsi in un mondo arido e privo di scopi, tranne quelli che gli sono dettati dalle sue brame e dalle sue necessità esteriori.
La concezione politica hegeliana è influenzata anche dagli avvenimenti storici del suo tempo e dall’eco delle istituzioni tradizionali. Infatti Hegel, nell’affermare la superiorità morale dello Stato nella società civile, propone una soluzione che riecheggia gli ordinamenti del passato e l’esperienza giuridica romana, senza offrire nessuna chiara indicazione per il futuro. Indubbiamente i tempi non erano ancora maturi, perché doveva compiersi prima il distacco completo dall’antica soggezione metafisico-religiosa, affinché – mediata da una nuova esperienza del pensare – potesse poi essere identificata una soluzione sociale atta all’evoluzione dell’uomo moderno.
Sono queste le cause che, a nostro avviso, rendono meno valide le proposizioni politiche hegeliane ispirate, almeno in parte, al pensiero di Burke. Lo Stato come espressione dell’Assoluto, di contro all’eccessivo individualismo, dovrebbe assumersi il compito di equilibrare l’individuo alla società, e la libertà alla necessità altrui. Mediante la sua custodia tutti gli uomini sarebbero liberi, e nel servirlo realizzerebbero la forma piú elevata della propria personalità. È evidente però che si trasferisce cosí ogni contenuto morale del singolo allo Stato, considerato quest’ultimo come espressione del gradino etico piú elevato. Purtroppo Hegel non ha mai precisato quale configurazione pratica debba essere attribuita a un pubblico potere, visto come principio morale e con una colorazione mitologica che ha influenzato poi tutto il pensiero politico dell’Europa Centrale, marxismo compreso, solo nei suoi aspetti piú esteriori. Tantomeno ha definito, nella sua dottrina della libertà, le forme civili e politiche che questa deve assumere nel contesto sociale.
Siamo dunque di fronte a un principio superiore nella società che irraggia la sua influenza su tutta la vita pubblica e che affascina tutti coloro che sentono l’esigenza di assumere nobili doveri civili. Esso non interviene però direttamente nelle questioni pratiche. Infatti Hegel afferma che lo Stato rappresenta l’idea razionale in sviluppo e l’elemento spirituale della civiltà che usa la società civile per i propri fini elevati, mentre a quest’ultima devono essere attribuite tutte le funzioni legate ai pubblici servizi, alla polizia, all’amministrazione delle leggi, alla regolazione e sistemazione degli interessi economici. Uno Stato dunque che non giunge a prevaricare sulle istituzioni e sui diritti necessari allo svolgimento delle funzioni economiche, tanto piú che la proprietà è considerata condizione indispensabile alla esplicazione della personalità umana.
Ci sembra facile comprendere che siamo ben distanti da qualsiasi concezione statale unitaria e accentratrice e da qualsiasi proposta di struttura burocratica. Viene piuttosto adombrata, anche se non chiaramente e organicamente, la presenza attiva nella società di una vita spirituale, che si pone al di sopra di ogni manifestazione politica e di ogni necessità economica, per rappresentare invece il motivo ispirativo piú nobile di ogni azione e di ogni convivenza sociale. Affermando che lo Stato è espressione di un Assoluto spirituale, mediato da una categoria di funzionari governativi definiti la “classe universale”, in grado quindi di porsi al di sopra degli egoismi e di farsi interpreti della esigenza di libertà e della volontà di tutti. Hegel colloca al vertice della società una gerarchia spirituale e non politica. Una soluzione questa ispirata a tutta la Tradizione, ma che può assumere un nuovo significato alla luce della realizzazione dell’uomo autocosciente. È dall’uomo libero interiormente che può estrinsecarsi una scala di valori e quindi di funzioni (senza un ordinamento gerarchico non può esistere una società) non piú fondati su un esteriore autoritarismo o sul dominio economico, ma sullo spontaneo e reciproco riconoscimento dei compiti che spettano a ciascuno. Cosí come l’uomo che realizza il suo Io superiore, il Logos in sé, inteso come principio della sua libertà, può, mediante la conquista della comprensione piú elevata aiutare gli altri, analogamente ogni uomo eleva se stesso quando è capace di riconoscere chi gli porta incontro, nella vita sociale, un contenuto spirituale autentico. È questa la grande intuizione del principio dello Stato hegeliano. Concezione che crea le premesse perché alla funzione di uno Stato, inteso come valore etico, possa essere piú giustamente sostituita la forza della presenza vivente dell’Io Superiore.
Argo Villella
Selezione da: A. Villella Una via sociale Società Editrice Il Falco, Milano 1978.