Onda d’amore
Tu non sai
del mio amore,
ma non può
non saperlo
la tua anima.
Anche se ignori
donde giunga,
l’onda t’investe.
Come grumo
di dolore
si ferma
al centro
del tuo cuore
e solo io
ne scioglierò
l’incanto.
Dal lieve fluire
d’amore
mi riconoscerai
e un antico sorriso
a lungo serrato
distenderà
il mio volto.
Alda Gallerano
Dopo gli anni passati
a sondare l’abisso
scoprire infine
che abisso non è
ma cielo
e quindi
che il volare
mi appartiene
ma non il cielo
e tornare a sera
a un’altra fonte
che neppure
mi appartiene
mentre io
che quella fonte
sono
guardo me
riflesso nei riflessi
e pensoso separo
le cristalline trasparenze
dell’acqua
scoprendola acqua
di uno smeraldino mare.
Stelvio
Buona sera, non parlare.
Tanto grato è questo
silenzio al mio spirito.
Fissami negli occhi
e guardando i tuoi
vedrò spazi infiniti
e inascoltate musiche
lontane mi sfioreranno.
Sorto d’incanto
al mio fianco, hai la lievità
della spuma del mare,
il mormorio sommesso
degli alberi alla sera
illuminati da aurei riflessi
crepuscolari. Facciamo
sosta in questo viale.
Non parlare, l’alba
e il tramonto sono
nelle tue pupille, e temo
di veder morire il sole
sotto le tue palpebre.
Dammi la tua mano,
e udrò un rincorrersi
di parole non dette
in quest’ora di fiaba,
in quest’attimo
d’interminabile speranza.
Buona sera, reclina il tuo capo
sulla mia spalla
sino a sfiorarmi il viso;
i tuoi capelli mi narreranno
storie meravigliose
e forse, chissà,
rivivranno anche gli eroi
della mia fanciullezza
alla magia del tuo respiro.
Ha un sapore nuovo
il tuo silenzio, questa sera,
non so se d’antiche leggende
o d’amore. Buona notte,
svanisci tra le nubi del sogno,
ed io, stanco il capo,
scivolo giú
in cerca di un sostegno,
ma fredda è la stanza
deserta di te.
Chi ha imbrattato di sangue
quei campi di grano?
Ahi, chi ho visto danzare
tra i papaveri mentre l’aurora
ondeggiava tra gli olivi?
Non esiste contraddizione
tra la tua paura e la sovrana
identità speculare di bene e male,
e la tua vita non ha piú peso
di questo piccolo insignificante
bocciolo chiuso di papavero.
Ahi, dunque sbuccia
la tua essenza e abbi il coraggio
di fissare il colore.
Bianco come la neve di marzo
sotto la quale dorme
l’acqua dei ghiacciai
o come l’anima delle cicogne
che migrano
sopra la foresta Nera.
Rossa come la fiamma
del focolare di chissà quale
casa di montagna, dove i tuoi avi
sbucciarono castagne
tra le nere ombre che i muri
di pietra riflessero.
Chi ha imbrattato, dunque,
quei campi di grano?
Il sangue certo delle rondini
ha potuto disegnare un cosí grande
catafalco vegetale
sibilante alle brezze.
E sotto il tuo sguardo ironico,
dietro alla tua andatura
da grigio e triste impiegato
non senti risuonare un rombo
lontano di tamburi? Non scorgi
all’orizzonte il galoppo
polveroso degli stalloni
tra le ginestre profumate,
gialle dell’oro sottile del meriggio?
Chi ha dunque sparso sangue
per quei campi di grano?
E chi è l’Artefice e l’Assassino
che ha permesso e voluto
questo trionfale scempio
della terra, questa infinita
bellezza che vive e muore?
Marco Rossi