Il Presepe vivente ha richiamato
gente dalla città, gente dai borghi.
Chi è venuto per fede, chi per sfizio,
chi per curiosità, chi per diporto.
Si sono messi tutti incolonnati
ad aspettare il turno con pazienza,
mentre comparse, divi e comprimari
vanno agghindati in vividi costumi
per animare la scenografia
intesa a rievocare tempo e luogo
di un evento che dura e che commuove
a dispetto degli anni e del cinismo.
Il regista ha disposto i personaggi
in un ambiente tra rurale e agreste,
che si conformi meglio con l’assetto
dei vicoli nel borgo medievale.
Stalle, mulini, torchi e spezierie
riportati ai fulgori del passato,
ed i mestieri riscoperti a nuovo
quali il pastore, il fabbro, l’arrotino,
il maniscalco, il falegname e un prete
col tricorno dismesso in liturgia
già prima che venisse dal Concilio
bandito come pezzo da parata.
Matrone, villanelle e forosette,
adornate di pizzi e di merletti,
incedono con cesti di primizie
ed anfore sui cèrcini di pezza,
celiando allegre presso l’osteria
dove fantesche con gli zinaloni
versano dagli orcioli vino fresco,
ed un norcino mostra una gran scelta
di salsicce, ventresche e soppressate,
intanto che un araldo grida al volgo
di non gettare l’immondizia in strada,
pena l’arresto e sei tratti di corda.
È un vivace bailamme che stordisce
e i recitanti scambiano frecciate,
mettendosi in berlina per copione.
Ma quando poi s’arriva alla capanna
posta nel mezzo d’una chiesa antica,
alquanto dirupata, senza altare,
si trasforma l’umore tutt’a un tratto.
San Giuseppe, compreso del suo ruolo,
austero s’erge al centro della sala,
e la Madonna, in estasi beata,
si stringe al petto un pupo in carne e ossa
che, nonostante il freddo, non si lagna,
facendosi ninnare buono buono.
Ma ecco che dal gruppo dei generici
la voce d’un brigante maremmano
apostrofa Giuseppe canzonandolo:
«Aggiustati la barba, ché ti casca!».
E il padre di Gesú, calmo e solenne,
alza il bordone che sorregge al fianco,
vibrandolo sul capo del marrano,
che prende il colpo senza replicare.
S’accendono i bengala tutt’intorno.
Nell’aria s’alza un coro celestiale.
Di colpo diventati gravi e seri
si mettono in ginocchio i figuranti
permeati da un senso di mistero:
in una messinscena da teatro
il Redentore nasce per davvero.
Fulvio Di Lieto