La tradizione primitiva legata al Nome divino
Nelle antiche e primitive tradizioni iniziatiche, nominare una cosa o una persona equivaleva a donarle l’esistenza. Emettere il suono del nome, la sua vocalizzazione, influiva su ciò che era nominato. Per gli ebrei il nome di Dio, rappresentato dalle quattro lettere del sacro tetragramma יהךה (YHWH) (Iod He Vav He pronuncia Jahvè), era considerato Santo. Una volta l’anno, il giorno del Kippur, il sommo sacerdote lo vocalizzava nel Sancta Sanctorum del Tempio dopo il suono del corno d’ariete chiamato shōfār. I rabbini nel rispetto della legge mosaica tendevano a leggere Adonay tutte le volte che trovavano יהךה (YHWH Yod He Vav He) oppure in alternativa sillabavano il Nome a quattro lettere. Come dicevamo, solo il sommo sacerdote, nel Tempio di Gerusalemme, poteva pronunciare o meglio vocalizzare il Nome nelle benedizioni solenni (Numeri 6,24-27; Siracide 50, 20) e nel giorno dello Yom Kippur o dell’espiazione (Levitico 16), quando effettuava la triplice confessione dei peccati per sé, per i sacerdoti e per la comunità. A questo riguardo il Talmud dice: «Quando i sacerdoti e il popolo che stavano nell’atrio udivano il nome glorioso e venerato pronunciato liberamente dalla bocca del Sommo Sacerdote in santità e purezza, piegavano le ginocchia, si prostravano, cadevano sulla loro faccia ed esclamavano: “Benedetto il suo nome glorioso e sovrano per sempre in eterno”».
La venuta del Cristo
Nel periodo pre-natale del Cristo l’angelo messaggero di Dio rivela il vero nome di Gesú (JOSHUAE יהשךה Iod He Shin Vav He) a Giuseppe (Mt 1,21) e a Maria (Lc 1,31). Tale nome pentagrammatico ha la proprietà di essere composto dal Nome a quattro lettere di Dio con l’aggiunta al centro della lettera Shin. Numerosi passi del Nuovo Testamento mostrano la venerazione della quale è fatto oggetto il nome di Gesú. «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvo» (At 2,21). Nella Lettera ai Romani (10, 9-13) San Paolo fa uso della stessa formula, dopo aver precisato che il Signore è generoso verso tutti coloro che lo invocano. Del nome divino egli dice ancora: «Dio ha esaltato ed insignito quel Nome che è superiore ad ogni altro nome affinché nel nome di Gesú (Joshuae), si pieghi ogni ginocchio degli esseri celesti, dei terrestri e dei sotterranei, e ogni lingua proclami che Gesú Cristo è Signore, a gloria di Dio Padre» (Fil 2,9-11). L’autore della Lettera agli Ebrei (Eb 1,4) afferma che il Figlio di Dio è «tanto superiore agli angeli, quanto piú eccellente del loro è il nome che ha ricevuto in eredità». Nel vangelo di Giovanni Gesú stesso insegna ai suoi discepoli l’efficacia dell’invocazione del suo proprio nome: «Qualunque cosa chiederete nel mio nome lo farò affinché il Padre (Iod He Vav He) sia glorificato nel figlio (Iod He Shin Vav He). Se chiederete qualche cosa nel mio nome, io lo farò» (Gv,13-14). E ancora: «In verità, in verità vi dico: cosa chiediate al Padre nel nome mio, nel mio nome ve la darà. …Chiedete e riceverete, in modo che la vostra gioia sia completa» (Gv,16,23-24).
Dunque nei Vangeli, negli Atti e nelle Lettere possiamo osservare che gli apostoli compivano nel Nome di JOSHUAE i segni piú straordinari. Certamente non troveremo nessun esempio operativo che ci dica in che modo essi pronunciassero o invocassero tecnicamente tale Nome, ma le sole proprietà ontologiche del Nome di Gesú (Iod He Shin Vav He) composto a partire dalla Tetractis divina (Iod He Vav He) ed in grado oltremodo di superare la legge mosaica (primo comandamento) senza violarla, ci fanno capire che il nome JOSHUAE poteva essere opportunamente vocalizzato con precisa tecniche mantriche, che coinvolgevano l’apparato pneumo-cardiaco nonché la giusta intenzione spirituale (Kavvanah) volta al bene dell’umanità e/o per bloccare l’azione ostacolativa dei demoni secondo insegnamenti cabalistici recuperabili nel testo ebraico Sefer Yetzirah.
I monasteri d’Oriente e il Nome salvifico
Dopo che il cristianesimo si diffuse, il tema della ripetizione del Nome venne trasmesso dai primi apostoli di Gesú alle comunità dei santi eremiti del deserto e successivamente la conoscenza dell’esatta vocalizzazione passò ai monaci esicasti dell’ordine dei basiliani (ad esempio i monaci del Monte Athos), dediti incessantemente alla Preghiera di Gesú altrimenti detta Preghiera del Cuore. Gli esicasti collegando esplicitamente il nome JOSHUAE con il centro superfisico del Cuore si inseriscono nella tradizione cardiaca cristiana secondo la quale ripetere il nome di Gesú significa essere alla sua Presenza: il fine della preghiera del Cuore è lo stato di preghiera continua, che corrisponde all’unione con Dio per tramite dell’Arcangelo Mikael colui che è come Dio. Troveremo aspetti simili nell’Islam sufico, la cosiddetta levigazione del cuore che ritengo fu la vera motivazione che spinse il Guénon ad abbracciare l’Islam.
Ciò che si conosceva ufficialmente in ambito monastico sino al medioevo circa la Preghiera del Cuore è stato analizzato attraverso i miei studi crittografici sulla pregevole immagine del mosaico di Otranto datata 1166 d.C. ad opera dei monaci italo-greci del monastero otrantino di San Nicola di Casole, situato nel punto piú orientale d’Italia. Monaci che per l’occasione utilizzarono una precisa immagine indú del Chakra del Cuore: un’antilope con la stella a sei punte sopra al dorso dell’antilope con lettera sanscrita Yam, identica a quella descritta dal testo tantrico Sat Chakra Nirupana, testo del V secolo a.C. che parla esplicitamente delle tecniche di attivazione della Shakti divina nel corpo umano (anche nota come energia Kundalini) con l’aggiunta della vocalizzazione del nome di Cristo scritto come GRIS vicino alla bocca dell’antilope: richiamo esplicito sia al nome tetragrammatico a quattro lettere di Dio (IHVH) sia a quello pentagrammatico (IHSVH) del Cristo con riferimento alla lingua ebraica (e non greca o latina), essendo la terza lettera C del latino o del volgare sostituita nell’immagine con la terza ebraica o aramaica ovvero una Ghimel. C’è da aggiungere che la corretta vocalizzazione del nome JOSHUAE si attua a fronte di precise tecniche di respirazione che ai nostri giorni non sono piú applicabili nei termini descritti dal mosaico medievale di Otranto o dai testi tantrici ma con tecniche attuali deducibili dalla Scienza dello Spirito di Steiner e Scaligero.
Quanto detto sino ad ora, a partire dal 1166 avrà una linea trasmissiva diretta che operò canonicamente e segretamente attraverso i secoli con pratiche addestrative ben inserite nei monasteri ortodossi d’Oriente e nei loro presidi occidentali specialmente in Puglia e Calabria. In particolare l’Ordine dei Basiliani ispirato dai cosiddetti Tipikà (codici o regole) del Monte Athos giocò un ruolo fondamentale nel medioevo per immettere questa cultura di tipo sapienziale con risvolti gnostico-ermetici e cabalistici di enorme portata per il successivo Umanesimo e poi per il Rinascimento italiano ed europeo. Dante Alighieri attinse moltissimo a questi aspetti dello gnosticismo tant’è che non escludo la sua permanenza ad Otranto durante il suo periodo di esilio. Un lignaggio questo che tuttavia andò ad esaurirsi e disperdersi sul finire del 1500 quando molti monasteri ortodossi del mediterraneo furono depredati ed abbandonati per via dei numerosi assedi saraceni ed ottomani di quelli anni sino alla fatidica battaglia di Lepanto del 1571.
Il Nome Pentagrammatico secondo Jacob Böhme
Il mistico Jacob Böhme, nel 1620, strinse amicizia con il Dr. Balthazar che gli impartí per mesi insegnamenti segreti. Questo sapiente maestro, che morí piú tardi a Parigi, aveva viaggiato per anni in Arabia, in Siria ed in Egitto, dove era stato iniziato alla Scienza dei Magi e fece conoscere a Böhme le opere di Retchlin, di Riccius e Pico della Mirandola; discussero insieme temi cabalistici estratti dallo Zohar e dopo circa tre mesi si lasciarono con reciproca stima. Dopo questo periodo trascorso con l’amico maestro, Jacob iniziò una ricca produzione di opere mistico-filosofiche successive al primo suo lavoro titolato l’Aurora Nascente. In particolare nell’opera poco nota Il “Cammino per andare a Cristo”, che venne poi pubblicata in lingua francese nel 1711, Jacob riprende con forza e vigore i temi legati al nome di Dio JHVH e al nome di Cristo e all’IMMANUEL come da successiva immagine del Cuore Rovesciato.
Nell’immagine del Cuore Rovesciato Jacob Böhme chiarisce, in sintesi simbolica, il vero significato delle sue componenti che intuitivamente possiamo anche associare al Roveto Ardente. Come risulta dall’iconogafia böhmiana, non esiste solo un irraggiamento solare centrale ma anche un irraggiamento inferiore nel centro della lettera Shin inserita nel nome ebraico di Gesú IOSHUAE.
Struttura del cuore rovesciato di Böhme
Tale riferimento può essere messo in relazione con il loto Anandakanda cosí come descritto nel testo indiano Sat Chakra Nirûpana posto subito sotto il centro del cuore Anâhata Chakra. In questo loto vi è il celestiale “Albero dei desideri” o Albero del Cielo di Indra, il Kalpataru.
La lettera ebraica Shin è la lettera della simmetria e del cambiamento, le tre punte della lettera possono intendersi come tre Tau che individuano i tre fuochi del corpo umano posti nella testa, nel cuore e nel ventre , i tre Tan Tien piú volte citati da Massimo Scaligero.
Sono anche i tre pilastri dell’albero della Qabbalah ma vi è in essa una rivelazione messianica data come consapevolezza ghematrica nel valore di potenza della shin=300 che, come ci suggerisce il Guénon, archeometricamente ha il significato di nuova era messianica e che corrisponde al valore di potenza attribuito a Ruach Elohim (Spirito di Dio).
La continuità iniziatica di Louis Claude de Saint Martin
I richiami con il successivo Martinismo, in particolare con le posteriori opere L’Uomo di Desiderio e I Numeri di Louis Claude de Saint Martin sono immediati. Come ben documentano nel testo di Franz von Baader Gli insegnamenti segreti di Martines de Pasqually edito da Atanor, nel 1778 Saint Martin si recò a Strasburgo, ove conobbe la contessa Charlotte de Boecklin che gli fece conoscere le opere del mistico tedesco. Lo studio attento delle opere di Böhme avrà per Saint Martin un’importanza basilare per creare una sintesi tra gli insegnamenti di Martines de Pasqually, suo primo Maestro, basati sull’operatività teurgica, a quelli di questo grande mistico teutonico, basati sulla via cardiaca e sulla vocalizzazione del nome salvifico del Cristo (JOSHUAE יהשךה Iod He Shin Vav He) chiamato da Saint Martin “Il Riparatore”. Per approfondimenti consultare l’opera di Francesco Corona, Sentieri di Iniziazione – I percorsi del cuore. Edizioni Atanor.
Kether