Il senso dell'immortalità dell'anima umana

Antroposofia

Il senso dell'immortalità dell'anima umana

Anima umana

 

Proseguendo le riflessioni della lezione precedente, oggi vi parlerò del significato dell’immortalità dell’anima umana. Parlare di un argomento come il significato dell’immortalità umana con definizioni concettuali o argomentazioni teoriche non è nella natura della Scienza dello Spirito. In questa conferenza di oggi, si tratterà dunque piuttosto di dare alcuni spunti dal campo della ricerca scientifico-spirituale che possano far luce su quello che può essere definito il significato dell’immortalità umana.

 

Dalle osservazioni fatte qui giovedí scorso è emerso che, per la ricerca spirituale, si tratta essenzialmente di penetrare con precisione fino a quell’elemento della natura umana che nella vita dell’uomo può essere chiamato il nucleo immortale dell’essere. Per la scienza spirituale si tratta dunque per prima cosa di trovare questo nucleo immortale dell’essere. È stato detto che la regione della conoscenza umana, dove si trova questo nucleo immortale dell’essere umano, può essere penetrata da quella ricerca che risulta dallo sviluppo dell’anima umana stessa, quell’anima umana, quell’unico strumento attraverso il quale possiamo penetrare davvero nel mondo spirituale. È stato spesso indicato che nella ricerca spirituale tutto dipende dal fatto che le singole personalità umane – attraverso gli esercizi animici già accennati questo inverno – riescano a portare l’anima a tal punto da essere in grado di esercitare un’attività animico-spirituale veramente interiore, che viene praticata, per cosí dire, staccata dal corpo fisico, staccata dallo strumento attraverso il quale tutte le altre attività umane vengono esercitate nel corso della vita quotidiana. Soprattutto nell’ultima lezione ho cercato di sottolineare che questo distacco dell’anima umana dal corpo è possibile grazie a dei processi intimi di sviluppo dell’anima. E ho cercato di sottolineare ulteriormente che per il ricercatore spirituale, che ha imparato a collegare realmente un significato alle parole “sperimentare fuori dal corpo”, quest’anima umana appare anche con le sue qualità, con quelle qualità che dimostrano da sole come la vita di quest’anima vada oltre la nascita e la morte.

 

Gotthold Ephraim Lessing

Gotthold Ephraim Lessing

 

Ora, nel corso delle riflessioni giornaliere, vedremo come tale contemplazione dell’anima umana, da raggiungere attraverso l’Iniziazione, dà significato alla parola immortalità. Ma a titolo d’introdu­zione vorrei sottolineare che stiamo effettivamente vivendo in un’epoca in cui il pensiero umano piú profondo e la contemplazione piú seria della vita umana ci stanno, per cosí dire, conducendo gradualmente sulla strada che la scienza spirituale indica per il problema della vita immortale dell’anima umana. Si potrebbero fare molte osservazioni a questo proposito; una sola cosa va sottolineata da questo punto di vista: quella di dare un senso all’immortalità dell’anima. Mi riferisco allo spirito che è considerato una delle figure di spicco della moderna visione del mondo illuminista, a Lessing, che ha cercato di dare un senso all’idea di immortalità.

 

L'educazione del genere umano

 

In quello scritto in cui, in un certo qual modo, Lessing diede all’uma­nità il suo testamento spirituale, gli sembrò di giungere al rinnovamento dell’antica idea umana delle ripetute vite terrene; e vi giunse perché si trovò costretto a considerare l’intera vita storica sulla Terra, all’interno dello sviluppo umano, come un’educazione dell’umanità. Sarebbe facile liquidare questo testamento, che Lessing ha dato come conclusione ai suoi pensieri e alle sue aspirazioni, dicendo – come nel nostro tempo certamente molti vorrebbero fare – che anche i grandi spiriti invecchiano e si abbassano a ogni tipo di fantasia. Ma chi ha imparato a rispettare la vita e l’impegno intellettuale non sarà in grado di liquidare in questo modo L’educazione del genere umano di Lessing, la sua opera piú matura. Non posso qui entrare nei dettagli della sua opera; posso solo sottolineare come, per Lessing, la storia mostri che l’umanità si eleva da modi di vita e di visione piú primitivi a modi sempre piú elaborati ed evoluti e come egli consideri questo ulteriore sviluppo della razza umana come una misteriosa educazione che le viene concessa dal mondo spirituale.

 

Egli distingue le singole epoche del progresso umano e da queste considerazioni sorge per lui, che naturalmente non poteva ancora basarsi sul fondamento della nostra moderna scienza spirituale, la domanda: come si può collocare la vita animica individuale dell’uomo nell’insieme del suo sviluppo storico? E arriva a dire a se stesso: si può collocare l’anima individuale nel corso dello sviluppo storico, solo quando si pensa alle ripetute vite terrene dell’anima umana. Se si pensa che l’anima che vive oggi ha vissuto ripetutamente, se si immagina che abbia vissuto in epoche precedenti di sviluppo storico, in cui ha assorbito ciò che queste potevano riversare nelle anime, si immagina allora l’anima in modo tale che, dopo essere passata attraverso un’esistenza puramente spirituale tra la morte e la nascita successiva, porta con sé dalle epoche precedenti i frutti che poteva portare con sé da quelle epoche.

 

In questo modo, Lessing risolve in modo soddisfacente la domanda: che ne è delle anime che sono vissute in epoche passate e non hanno partecipato a quello che poteva essere offerto loro quale potere di sviluppo superiore nel progresso dell’umanità? La risposta di Lessing è che si tratta delle stesse anime che hanno vissuto in precedenza, che hanno portato i frutti delle epoche passate nella loro esistenza attuale, che ora aggiungono a ciò che hanno incorporato in quel momento ciò che il presente può dare.  E che ora, con ciò che traggono come frutto dalla loro esistenza attuale, attraverseranno una vita puramente spirituale dopo la morte e porteranno di nuovo questi frutti nelle future epoche dell’umanità per partecipare a ciò che il progresso dell’umanità potrà dare loro.

 

Cosí, per Lessing, con il significato dell’immortalità dell’anima umana si chiarisce contemporaneamente l’intero significato dello sviluppo storico terreno. Cosí nasce per lui questo significato e per lui nasce anche immediatamente la possibilità di pensare che la vita del singolo essere umano, in ciò che contiene interiormente, è piú grande e piú completa di quella che può essere espressa in una vita tra la nascita e la morte. E come la vita individuale è considerata in modo tale che una singola anima umana vive dalla nascita alla morte, integra e organizza ciò che questa vita può dare, poi passa attraverso la porta della morte, depone il corpo fisico, entra in un mondo spirituale per cercare il suo ulteriore sviluppo, cosí nel senso di Lessing può essere immaginato anche l’intero sviluppo storico dell’umanità. Sí, proprio l’intero sviluppo della Terra stessa, in quanto ciò che l’umanità vive sulla Terra è l’anima della Terra e tutto ciò che la geologia, la biologia e le altre scienze indagano è il “corpo fisico” della Terra, che un giorno, come si può dimostrare già oggi nel senso della fisica moderna, si staccherà dalla convergenza di tutte le anime umane nello stesso modo in cui, con la morte, il corpo umano individuale si stacca dall’anima umana individuale. Ma poi, dopo che il corpo si sarà staccato, la Terra progredirà verso una futura incarnazione nel cosmo, per ascendere a future altezze spirituali e materiali.

 

Si vede come da questo pensiero di Lessing emerga non solo il senso dell’intera esistenza umana, ma anche il senso dello sviluppo della Terra stessa. Lessing non si lascia distogliere da questi pensieri dal fatto che può essere fatta la seguente obiezione : questo è un pensiero che l’umanità aveva negli stati piú primitivi dello sviluppo dell’anima; ma poi è scomparso con lo sviluppo della cultura. Al contrario, alla fine del suo trattato sull’Educazione del genere umano, Lessing dice: quando questo pensiero ha brillato per la prima volta nell’anima valeva forse di meno di adesso che è stato paralizzato e indebolito dai sofismi della scuola? E Lessing non dubita che un futuro sviluppo spirituale umano riporterà alle anime ciò che nel frattempo è andato per loro perduto.

 

In questo modo si ottengono poteri reali, effettivi, che portano i risultati dei tempi antichi nel presente e nei nuovi tempi. Si supera in tal modo quell’impossibile punto di vista per cui, pur volendo essere apparentemente realisti, si parla di “idee” che devono agire nella storia dell’umanità, come se le “idee” potessero mai essere realtà! Ma le idee non possono essere efficaci nella storia, perché le semplici idee sono astrazioni, non sono nulla di reale. Lessing, tuttavia, ritiene che la vita reale del­l’umanità sulla Terra proceda in quanto sono le realtà delle anime umane a trasportare da un’epoca al­l’altra ciò che è stato in esse elaborato. Ci troviamo sul terreno delle realtà spirituali che accomunano le epoche storiche dell’umanità.

 

Ora si tratta di chiedersi: che cosa ha da dire la ricerca spirituale in senso stretto, come la si intende qui, su questa idea che Lessing si è fatta di certe necessità storiche?

 

Uscita dal corpo

 

La ricerca spirituale arriva a considerare, ad averlo davvero davanti all’occhio spirituale o agli altri organi spirituali di percezione, ciò che può essere inteso come trascendente: la nascita e la morte dell’essere umano. Per dimostrarlo, è necessario sottolineare ancora una volta in poche parole ciò che si presenta al ricercatore spirituale nella vera esperienza spirituale. Se lascia davvero che gli esercizi indicati nella lezione precedente abbiano un effetto sulla sua anima, dopo che essa si è staccata dal corpo fisico ed è pervenuta a un’esperienza nello spirituale, egli arriva cosí a sperimentare animicamente che quest’anima, che in quanto ricercatore spirituale ha reso indipendente dal corpo fisico, ha questo corpo fisico accanto o davanti a sé, sperimenta questa corporeità come qualcosa di esteriore e perciò soggetta alla morte; mentre la vita quotidiana scorre in modo tale che l’essere umano sviluppa una coscienza solo quando si trova, per cosí dire, all’interno della sua corporeità fisica e la usa come strumento per rendere oggetto della sua coscienza ciò che lo circonda, cioè il mondo fisico dei sensi.

 

Immaginiamo in modo vivente qual è la vera esperienza del ricercatore spirituale: egli si eleva ed esce dal corpo con ciò che l’anima è realmente, egli rende le forze interiori dell’anima cosí forti, cosí intense che, per percepirle non dipende solo dagli strumenti corporei, ma può dirigerle dentro di sé senza l’aiuto delle forze del corpo. Il ricercatore spirituale giunge quindi a una consapevolezza molto specifica di dove giunge effettivamente la coscienza nella vita quotidiana. Poi, quando il ricercatore spirituale ha davvero liberato la sua esperienza spirituale dal fisico e il suo corpo è accanto o di fronte a lui, allora impara a riconoscere come si svolge tutta la vita quotidiana dell’anima.

 

Vorrei usare un paragone per rendere chiara l’idea di come si svolge la vita quotidiana dell’anima. Il ricercatore spirituale non rende la vita dell’anima diversa da quella che è già. Ciò che ottiene è solo la possibilità di guardare spiritualmente, di vedere diversamente ciò che accade nella vita di tutti i giorni. Il ricercatore spirituale scopre che l’attività dell’anima – ora intesa in termini puramente animico-spirituali – lavora sul corpo in modo tale che prima di tutto, diciamo cosí, gli organi nervosi dell’essere umano vengono lavorati, vengono lavorati in modo tale che si può paragonare questo lavoro alla scrittura di lettere dell’alfabeto su un foglio di carta. Vi prego di notare che ciò che il ricercatore spirituale riconosce per la prima volta come attività animico-spirituale non è il pensare, non è il sentire, non è il volere, non è nemmeno ciò che si riconosce nella vita quotidiana come attività animica, ma è quello che agisce per primo nei suoi organi corporei e li lavora, direi, in modo cosí plastico da farli giungere per prima cosa a quei movimenti di cui parla tanto la concezione materialistica del mondo. Questi movimenti nel cervello, nel sistema nervoso ecc. sono realmente presenti, e in tal senso la concezione materialistica del mondo deve essere completamente giustificata. Questi movimenti, queste vibrazioni nel cervello sono presenti proprio come le lettere che traccio sulla carta quando scrivo. Tuttavia, cosí come la mia attività è quella della scrittura, cosí la prima attività che l’uomo sviluppa è quella di inscrivere nel suo sistema nervoso quelle che vengono definite “lettere”, cosa che poi nei suoi movimenti, nelle sue vibrazioni, in tutta l’attività che svolge, è di nuovo considerata dall’ani­ma in modo tale da essere paragonabile alla contemplazione delle mie stesse lettere che ho scritto. L’unica differenza è che quando scrivo, scrivo coscientemente le lettere sulla carta e posso anche rileggerle coscientemente; mentre quando sono in relazione con il mondo esterno, con l’anima spirituale, inscrivo inconsciamente le attività fisiche che devono essere esercitate nel sistema nervoso. Quando le ho scritte, esse scorrono e io le contemplo, e questa contemplazione è la vita cosciente dell’anima.

 

Cosí vediamo che ciò che deve essere chiamato animico-spirituale nel vero senso della parola sta dietro l’anima spirituale che si sviluppa nella vita quotidiana, e che l’intera esperienza corporea nella vita quotidiana dell’anima si trova tra il vero animico-spirituale – quello in cui vive il ricercatore spirituale quando ha imparato a sperimentare senza corpo – e l’anima spirituale. Il nostro corpo si trova tra il nostro vero essere spirituale, tra la nostra vera anima e la vita quotidiana della coscienza. Ma ciò che questo corpo vive, come si mette in una continua attività organica, in modo che la coscienza possa essere proiettata su di noi come uno specchio o come l’immagine di uno specchio, ciò che questo corpo realizza, è il risultato dell’anima spirituale. Con la nostra anima spirituale stiamo dietro al nostro corpo e in questa anima spirituale, che sta dietro al corpo, si trova il nucleo immortale dell’essere dell’uomo.

 

Se si fa questa distinzione, non si cercherà piú il significato dell’immortalità dell’anima umana in una sorta di continuità dei contenuti animici che si vivono tra la nascita e la morte, ma si dovrà cercare l’effettiva fonte fondamentale dell’immortalità in ciò che sta dietro alla vita quotidiana. Ora si tratta di farsi un’idea di cosa c’è dietro a questa vita quotidiana. Ma questo può essere fatto solo se ci si sofferma sulla vera essenza dell’esplorazione spirituale dell’anima.

 

riflesso allo specchio

 

Da quanto ho appena esposto, è chiaro che la coscienza quotidiana, quella che sviluppiamo nella vita ordinaria, dipende dall’essere riflessa fuori dal corpo, proprio come la nostra immagine è riflessa in modo analogo da uno specchio. Chi non cerca l’anima spirituale dietro l’immagine, ma crede che l’anima spirituale nasca dal corpo come funzione, come effetto del corpo e quindi, a questo proposito, pensa in modo materialistico, è come un uomo che, per esempio, dicesse a chi conosce le cose e le ha realmente indagate attraverso la ricerca spirituale: vedo uno specchio davanti a me; stranamente, a partire dalla sua sostanza, questo specchio fa apparire la mia immagine. Ma non la lascia affatto uscire dalla sua sostanza ed è semplicemente un nonsenso credere che lo specchio produca l’immagine; è piuttosto l’immagine che viene riflessa dallo specchio. In questo modo la nostra attività spirituale viene riflessa dal corpo. Il nostro corpo può essere giustamente paragonato a uno specchio che riflette la nostra attività animico-spirituale, solo con la differenza che noi stiamo del tutto passivamente di fronte allo specchio, ma di fronte al corpo, prima lo modifichiamo con l’attività animico-spirituale e vi inscriviamo questa attività che poi può emergere per la coscienza. Il paragone, il riflesso che vedo nello specchio, sarebbe dunque esatto solo se io svolgessi un’attività dal mio corpo che causasse un processo nel vetro, il quale poi producesse il riflesso. È come se dunque mi mettessi attivamente davanti allo specchio e lasciassi passare certe radiazioni e simili che darebbero luogo a incroci e altre cose, in modo da far emergere il contenuto della coscienza quotidiana e rendere cosí possibile all’essere umano di apparire di fronte a se stesso. Da questo, però, si evince che per la vita tra la nascita e la morte l’uomo ha bisogno di un supporto, qualcosa su cui possa riflettere la sua attività animico-spirituale. Nel momento in cui si dovesse sviluppare senza il corpo un contenuto di coscienza come quello che si ha nella vita quotidiana, non si sarebbe in grado di farlo finché si è tra la nascita e la morte. Se il corpo venisse meno al suo servizio in quanto strumento, non si avrebbe nessuna resistenza; non si avrebbe nulla da cui l’attività animico-spirituale possa essere respinta. Se il corpo venisse meno al suo servizio in quanto strumento, non si avrebbe piú alcun supporto; non si avrebbe nulla che potesse riflettere l’attività animico-spirituale.

 

paesaggio

 

Se il ricercatore spirituale, attraverso gli esercizi indicati, può estrarre la sua anima spirituale dal corpo fisico, è anche evidente che lo sguardo dell’anima spirituale non può essere diretto verso il mondo fisico esterno. Questo mondo fisico-sensibile esterno scompare dall’orizzonte della coscienza nello stesso momento in cui il ricercatore spirituale solleva realmente l’anima spirituale fuori dal fisico. Dico questo solo di sfuggita per coloro che credono che attraverso la ricerca spirituale ci si possa allontanare dalla visione gioiosa e piena di devozione del mondo fisico dei sensi, che è cosí abbondantemente presente nel mondo fisico che ci circonda. Oh no, non è affatto cosí. Chi è diventato un ricercatore spirituale scopre che nel momento in cui vive nella sua anima spirituale, la vista del fisico-sensibile scompare da lui; lo apprezza però ancora di piú nella sua bellezza, nel suo valore intrinseco. Torna ancora e ancora finché gli è concesso di tornare, rafforzato e rinvigorito dal suo soggiorno nel mondo spirituale. Sviluppa un interesse ancora maggiore per tutto ciò che di bello c’è nel mondo fisico, e inoltre acquisisce un supporto speciale per riconoscere le bellezze, le sfumature e la magnificenza del mondo fisico nei vari processi, che prima, senza l’addestramento derivante dalla ricerca spirituale, gli sfuggivano. Obiezioni come quella appena indicata vengono fatte solo da chi non si è ancora avvicinato alla ricerca spirituale.

 

Se è vero che il mondo fisico scompare quando non abbiamo il supporto del corpo per la percezione – e il ricercatore spirituale ha questo corpo accanto a sé, non lo utilizza come strumento – allora sorge la domanda: come si realizza l’effettiva coscienza spirituale? La coscienza spirituale non ha bisogno di un supporto? L’anima non ha forse bisogno di qualcosa su cui riflettersi se vuole entrare nella coscienza spirituale?

 

La ricerca iniziatica risponde a questa domanda in questo modo: nel momento in cui un essere umano esce dal corpo fisico con la sua anima spirituale e vive solo in quest’ultima, ha comunque bisogno di un supporto, di qualcosa che gli faccia da specchio. E adesso diventa per lui uno specchio qualcosa che, in un certo senso, può essere sopportato solo con dolore quando viene sperimentato nella ricerca spirituale nella vita prima della morte, in una certa relazione in quanto specchio.

 

Siamo di nuovo a uno dei punti in cui bisogna sottolineare che la ricerca spirituale non conduce solo alla beatitudine, ma anche a stati d’animo tragici, a ciò che, si può dire, può essere sopportato solo con un grande dolore interiore. Ma per il vero ricercatore la conoscenza superiore deve essere acquistata solo con questo dolore. Ciò che si offre come supporto è la nostra esperienza individuale, ciò che abbiamo vissuto a partire dall’infanzia, che possiamo ricordare, che abbiamo nella nostra memoria. Lo abbiamo nella vita di tutti i giorni nell’immagine della memoria, però in modo tale da essere, per cosí dire, dentro di essa, da essere uniti ad essa.

 

Sgusciare da una conchiglia

 

I nostri pensieri, le nostre esperienze, i nostri dolori, tutto ciò che ricordiamo sono essenzialmente noi stessi; siamo in loro, siamo un tutt’uno con loro. Sí, in fondo, noi siamo fondamentalmente i nostri pensieri, le nostre esperienze, i nostri dolori, tutto ciò che ricordiamo; siamo in loro, siamo un tutt’uno con loro. Ma nel caso del ricercatore spirituale, ciò che altrimenti si ha nella memoria gli scivola via, fuori di lui come da una conchiglia. Ciò con cui si è abitualmente uniti e di cui si dice a se stessi: l’hai sperimentato e ora ti senti unito nei tuoi pensieri, sensazioni e sentimenti con ciò che hai sperimentato, si prova ora come un’immagine di sogno esterna, come un miraggio posto davanti a se stessi. Si sente uscire da sé, come ingrandito, ciò che riflette l’anima spirituale. Allora si giunge alla conclusione che nell’espe­rienza animico-spirituale, nell’Iniziazione – non avendo attraversato la porta della morte – si deve sopportare di avere la propria vita come base materiale o come base sostanziale dell’esperienza al posto delle impressioni fisiche esterne, al posto di ciò che ci danno i sensi. Su di essa, come su una lastra di specchio, si staglia ciò che si può percepire spiritualmente.

 

Qui si impara a conoscere se stessi, fino a che punto si è diventati uno specchio buono o cattivo per il mondo spirituale. Qui si capisce soprattutto cosa significa avere veramente davanti a sé ciò che si è vissuto. Perché questa è ora la superficie che riflette e dalla quale si staglia tutto quello che si presenta nel mondo spirituale. Cosí, invece di avere il corpo come strumento per percepire, ora avete come strumento il vostro Io, la vostra memoria, le vostre esperienze. Le proprie esperienze devono fondersi, secondo la propria coscienza, con ciò che si sperimenta spiritualmente; devono rispecchiare ciò che si prova spiritualmente. E in questa ricerca ci si rende ora conto di come, nel momento in cui non si sperimenta piú il proprio essere interiore all’interno del proprio corpo, come nella vita quotidiana, ma lo si ha nel modo appena descritto davanti a sé, esternamente, come un miraggio, questo essere interiore si presenta come un’entità eterica che diventa sempre piú grande perché è in relazione intima con l’intero cosmo spirituale. Ci si sente come assorbiti dal cosmo spirituale. Quando si è passati attraverso le esperienze sopra menzionate, si ha la sensazione che tra la nascita e la morte qualcosa sia presente nella vita dell’essere umano, come se fosse raggomitolato nelle forze del corpo fisico. Nel momento in cui nell’Iniziazione si abbandona il corpo fisico, ciò che è come tenuto insieme dalle forze del corpo fisico diventa libero in quanto corpo eterico. Ma ciò che è diventato libero si sforza di diffondersi nel mondo spirituale, diventando cosí impercettibile, sempre piú impercettibile; quando si percepisce spiritualmente in questo modo, si corre sempre il pericolo che il proprio Io, l’Io-pensiero, si dissolva nel cosmo spirituale e che se ne perda cosí la vista, perché dopo la dissoluzione il riflesso non c’è piú.

 

Finché dura il fisico, il corpo fisico lo contrasta. Infatti, nel momento in cui si corre il pericolo di perdere l’eterico piú fine di un corpo in una certa misura piú spirituale, il corpo fisico afferma le sue maggiori forze e si deve tornare in lui. È come se, per effetto della forza del corpo fisico, si fosse costretti a tornare alla percezione quotidiana, allo sguardo ordinario e al genere fisico. Ma come si può vedere da questa descrizione, attraverso la ricerca spirituale si impara a riconoscere il momento che deve verificarsi nell’attimo in cui le forze fisiche e chimiche si impadroniscono del corpo fisico esteriore e lo portano via, quando avviene la morte. Si impara a riconoscere che la coscienza può continuare a vivere dopo la morte, ma può continuare a vivere perché il corpo fisico, che si sta avvicinando alla sua dissoluzione, non ricorda piú il corpo eterico piú fine appena descritto; può continuare a vivere solo inizialmente in questa forma, nella quale la nostra esperienza sta davanti a noi come un’immagine di ricordo, solo fino a quando le forze del cosmo spirituale non affermano il loro modo intrinseco di azione e quando ciò che esiste come corpo piú fine si dissolve nel cosmo.

 

La morte

 

Cosí vediamo come il ricercatore spirituale evochi attraverso le sue esperienze quello stato che deve verificarsi nell’uomo quando varca la porta della morte. Per prima cosa, sperimentando in modo elementare il processo della morte, si viene a conoscenza di ciò che avviene subito dopo la morte. Tuttavia con questo si impara anche a riconoscere che si sono colti solo i primissimi tempi dopo la morte. Nel mio libro La scienza occulta ho evidenziato quanto durino questi primi tempi dopo la morte. Durano in modo diverso, a seconda del carattere di una persona, ma solo per giorni. Il ricordo della vita passata sulla Terra, che si è attraversata tra la nascita e la morte, dura per giorni. Dura fino a quando possono durare i poteri del corpo sottile interiore, che portiamo dentro di noi e che è appena venuto alla luce grazie alla ricerca iniziatica.

 

Se si considerano le circostanze nel modo descritto, ci si chiede: che cos’è, allora, che determina la durata del periodo in cui questo ricordo può aver luogo? Se si confronta questo ricordo con la durata del tempo che questo o quell’essere umano può vivere nella vita ordinaria, durante il quale può mantenersi sveglio, in cui quindi non si addormenta, allora si ha approssimativamente il periodo di tempo, che dura solo alcuni giorni, in cui avviene questo ricordo della vita passata sulla Terra. Si può quindi dire: a seconda che l’uomo abbia la possibilità di far svolgere la vita nel suo corpo eterico senza dover fare appello alle forze del sonno, senza dover evocare il sonno come compensazione, dopo la morte, ci vuole quindi piú o meno tempo e la vita terrena passata dalla nascita alla morte si presenta come un quadro di ricordi, come un’apparizione vivente.

 

Nel campo della ricerca spirituale, si impara a parlare di questo periodo e anche dei successivi, di cui parlerò tra poco, attraverso la contemplazione interiore, non attraverso la valutazione esteriore. Ciò che con la retrospettiva si sperimenta nell’Iniziazione si presenta in modo tale che si sa che contiene le forze che l’essere umano deve avere per restare sveglio prima che il sonno lo colga. Ciò che si vive lí, quindi, si presenta in modo tale che si deve dire: si vive questa revisione della vita terrena passata per qualche giorno. Ma allo sguardo del ricercatore spirituale sorge anche ciò che viene dopo. Non è solo nei pensieri, per cosí dire indifferenti, che si rivela ciò che si è sperimentato nella propria vita tra la nascita e il momento presente; ma anche ciò che si è sperimentato moralmente o meno nel campo della propria efficienza, della propria idoneità alla vita. Ma questo si manifesta in modo molto particolare, e qui siamo di nuovo a un punto in cui si deve dire che a un ricercatore spirituale si presenta una vita che, secondo i desideri e le esperienze della vita quotidiana, non gli piace. Vi fornisco un esempio concreto di ciò che questo dimostra.

 

Se guardiamo indietro nella nostra vita, vediamo un momento in cui abbiamo fatto qualcosa d’ingiusto. E questa ingiustizia ci appare ora nel miraggio della passata vita terrena appena menzionata. Bisogna però dire che per la ricerca spirituale l’impressione è tale che all’inizio questa vita sulla Terra appare come in una immagine effimera, per intenderci, come in un quadro mentale e da cui a poco a poco ci si distacca; ma con questo lo sguardo del ricercatore spirituale viene avvolto da conflitti sempre piú tragici e drammatici, qualcosa di cui si potrebbe dire: l’intero valore personale nasce per ognuno da ciò che ha fatto e sperimentato. Se si è commesso un torto, questo torto emerge dal quadro della vita passata sulla Terra, ma all’inizio solo in modo che l’immagine ti perseguita mostrandoti quello che hai fatto. Quest’immagine è permeata poi da un elemento di sentimento che sorge dall’anima spirituale stessa, da poteri di sentimento, e non si può fare a meno di dire: non puoi essere l’uomo che dovresti essere se devi sempre guardare a ciò che hai fatto; potrai essere ciò che dovresti essere solo quando, dalla percezione del destino interiore, del karma, avrai cancellato questo torto. Quanto piú a lungo si riesce a soffermarsi su ciò che si presenta come uno specchio spirituale e quanto piú a lungo ci si guarda dentro, tanto piú intensamente si verificano esperienze puramente psicologiche che dicono: devi guardare ciò che hai fatto d’ingiusto finché non l’hai cancellato!

 

È proprio questo che deve affrontare il ricercatore spirituale. Dopo aver visto spalancarsi davanti al suo sguardo il miraggio della vita passata, che può lasciarlo indifferente, deve poi vedere quello che si erge da esso e che diventa una somma di innumerevoli rimorsi nei confronti di se stesso, che gli mostra in modo vivido il suo valore, quanta strada ha fatto e cosa deve fare dopo quello che ha fatto per diventare un vero uomo. La cosa particolare è che la conoscenza di sé diventa sempre piú difficile, sempre piú tragica, quanto piú si progredisce in essa perché si ha davanti a sé in particolare tutto ciò che non si sarebbe dovuto fare come auto-rimprovero, in modo che si è come incantati, cosí che non si può distogliere lo sguardo spirituale fino a quando non si spegne.

 

Brentano

 

Già l’antico filosofo greco Aristotele aveva capito che la vita spirituale dell’uomo è vista dallo sguardo spirituale, e aveva anche riconosciuto ciò che deve seguire questo miraggio. Aristotele sapeva già, nell’antica Grecia, che l’uomo, quando ha varcato la porta della morte, vive realmente nella sua propria identità, nel suo essere se stesso, e in modo tale che, guardando indietro, ha allora l’esperienza delle proprie azioni e dei propri misfatti su cui lo sguardo è concentrato; solo che Aristotele non era ancora uno scienziato spirituale a tal punto da andare nella sua concezione oltre questa retrospettiva. Secondo lui, questa retrospettiva si protrae per un’eternità. Aristotele non vede la possibilità che l’uomo ne possa mai uscire; cosí che quando l’uomo ha avuto la breve retrospettiva, che si conta solo a giorni, avrebbe poi l’altra, che si presenterebbe pittoricamente a lui per tutta l’eternità. Questa è una desolante caratteristica della filosofia di Aristotele, se la si comprende veramente. Aristotele ritiene che la breve vita terrena serva a preparare un’esperienza spirituale in cui l’uomo, guardando indietro, è stregato dalla vista dell’esistenza imperfetta tra la nascita e la morte: la sua vita dopo la morte consisterebbe nell’essere ammaliato da questa vista. Il suo mondo sarebbe quello di contemplarsi come era nella vita tra la nascita e la morte; e come noi guardiamo qui un mondo di animali, piante, pietre, montagne, mari e cosí via, cosí nel tempo dopo la morte saremmo come imprigionati dalla visione delle nostre stesse azioni. Questo è stato chiaramente evidenziato dall’eccellente studioso di Aristotele, Franz Brentano, nel suo bel libro Aristotele e la sua visione del mondo. Anche se le parole di Aristotele sono talvolta tali da far discutere su ciò che intendeva dire, quello che ho appena menzionato è assolutamente chiaro in Aristotele. Non sapeva dunque ancora che ciò che la ricerca spirituale di oggi può mostrarci è solo un passaggio che si presenta all’essere umano, quando ha varcato la porta della morte, come una retrospettiva, permeata da esperienze intime della psiche.

 

 

Rudolf Steiner (1a parte – continua)

 


 

Conferenza tenuta a Berlino il 4 dicembre 1913.O.O. N° 63  –  Traduzione di Angiola Lagarde.

Da uno stenoscritto non rivisto dall’Autore.