I due pilastri fondamentali sui quali può essere costruito lo Stato concepito dalla Tripartizione, sono una classe dirigente dedita al culto della libertà e della giustizia, e una magistratura che sappia restituire dignità e autorità alla Legge.
La crisi che travaglia la magistratura è anch’essa espressione del dramma dell’uomo attuale, il quale vede dilagare il male dappertutto, se ne sente vittima, vede minacciata la sua sicurezza, ma non sa come combatterlo, perché non riesce a identificarne le cause. Comprendiamo come la sottile angoscia e la paura, l’insicurezza provocata dalle violenze subite, abbiano spinto molti magistrati a credere di aver trovato un se pur precario rifugio in una ideologia politica o in un eccesso di razionalizzazione culturale. Purtroppo lo scadimento della maestà imparziale della legge, a favore della soggettività di una opinione di parte, non è stata riscattata ancora da soluzioni giuridiche efficienti, ma si è precipitati sempre piú nella confusione, nel rancore classista, o in inadeguate interpretazioni psicologiche e psicanalitiche.
Il male, secondo le piú pure Tradizioni spirituali, è la conseguenza della necessaria caduta dell’uomo nella materialità, la quale si manifesta nel rovesciamento delle forze del volere che si scatenano come brama e istinto. Pertanto in ogni uomo, in quanto partecipe di questa esperienza evolutiva, è presente la possibilità potenziale dell’errore, del male, della degenerazione. Come abbiamo piú volte ripetuto, compito dell’uomo è quello di riconquistare coscientemente e liberamente la sua origine spirituale, restituendo alle sue forze interiori la loro vera dimensione. Nella misura in cui non realizza questo suo compito, ogni uomo diviene un catalizzatore di forze negative. A nostro avviso questo spiega la sempre maggiore impotenza di ogni ordine giuridico proveniente dal passato, costituito quando, nel corso della discesa nella materialità e nella individualità, era ancora concesso un sostegno. Pur conducendo una vita ineccepibile, ciascuno di noi, non avendo conquistato autentiche forze morali, conseguenti a un gradino piú elevato di conoscenza, diviene propagatore di forze distruttive che si aprono la via verso coloro i quali il proprio destino ha chiamato a essere piú deboli, e che compiono cosí il sacrificio di assumere il male su di loro e di manifestarlo esteriormente.
È questo, a nostro parere, il retroscena di tutte le manifestazioni delinquenziali delle quali siamo tutti corresponsabili. Esse richiedono pertanto, come primo moto, l’atto difficilissimo della compassione. La magistratura migliorerebbe il suo compito, spesso ingrato, se una libera vita spirituale la aiutasse a comprendere (anche mediante la partecipazione diretta all’esercizio della giustizia di suoi esponenti) il dramma interiore che sta dietro ogni uomo che sbaglia, offrendogli contemporaneamente autentiche forze per iniziare quel compito di rieducazione del quale oggi si parla tanto e che non troverà mai una soluzione se verrà affrontato solo dialetticamente.
Se il primo aiuto, a un uomo che si pone al di fuori della legalità, è dato dalla compassione, un ulteriore contributo può essergli donato evitando che la sua debolezza sia dannosa a lui stesso e agli altri. Vi deve pur essere il modo di superare una certa crudeltà, un certo spirito di vendetta, che molte volte si esprimono nei riguardi dei reati comuni, senza per questo cadere nell’eccesso di permissivismo, il quale altera l’equilibrio di una società, senza giovare al colpevole, perché lo pone nella triste condizione di non poter comprendere il suo errore e quindi di non poter decidere liberamente di migliorarsi.
Argo Villella
Selezione da: A. Villella Una via sociale Società Editrice Il Falco, Milano 1978.