A una magistratura che abbia saputo riconquistare una assoluta imparzialità e che sia espressione di uno Stato giuridico consapevole della sua missione di giustizia, potrà essere affidata completamente la tutela dei rapporti di lavoro.
Le diverse magistrature del lavoro hanno fallito, o non sono riuscite ad attuare interamente gli scopi per cui erano state costituite, perché hanno agito nell’orbita dello Stato unitario. Una organizzazione giuridica piú dinamica, in quanto operante nell’ambito di una istituzione statale che avendo rinunciato a qualsiasi ingerenza economica si è posta in una condizione di assoluta obiettività, può assumersi la grandiosa missione di realizzare praticamente il principio secondo il quale il lavoro non può essere pagato, non può essere considerato alla stregua di una qualsiasi merce.
Per restituire al lavoro la sua realtà, è necessario, prima di ogni cosa, che esso venga sottratto alla legge della domanda e dell’offerta. L’opera dell’uomo non può essere mortificata quando la si ritiene poco importante dal punto di vista dell’interesse produttivo, o se in un determinato settore si verifica una eccedenza di operai. Dovrebbe essere evidente che questioni cosí complesse, comprese quelle della piena occupazione, devono sottostare anche a princípi di giustizia e di dignità, da stabilire autonomamente sul piano giuridico.
Il punto dal quale prendere le mosse, affinché quanto affermiamo non rimanga solo un’astratta esigenza, è stabilire l’entità della retribuzione base mediante provvedimenti legislativi, controllati severamente da una magistratura specializzata ed efficiente, in grado pertanto di intervenire rapidamente e serenamente.
Nell’attuale civiltà industriale gli scontri, i conflitti, le ingiustizie si manifestano quasi sempre nei rapporti economici. Malgrado il grave scadimento morale, coloro i quali si rendono oggi colpevoli di reati comuni sono ancora una minoranza. Anche i procedimenti civili sono relativamente poco numerosi, tanto che si può affermare che una gran parte della popolazione non è mai entrata in un tribunale. Tranne i bambini e un certo numero di donne e di anziani, tutti invece lavoriamo, svolgiamo una qualche attività o ci dedichiamo a una professione e da vecchi usufruiamo di una pensione: abbiamo pertanto problemi di retribuzione, di ferie, di orario e di ambiente di lavoro, di liquidazione. Chi ruba un pollo, se scoperto, ha a che fare con strumenti giudiziari, piú o meno efficiente, i quali si muovono però avendo alle spalle una esperienza di secoli. I rapporti e i contratti di lavoro, invece, la tutela della dignità del prestatore d’opera e le sue necessità di vita sono ancora oggi sottoposti a norme e leggi vaghe, a collegi giudicanti ancora embrionali, a rapporti di forze mutevoli, a contrasti, lotte sindacali, violenze che sembrano avere, come solo risultato certo, il proliferare del caos. Tranne qualche esempio di buona volontà fra le parti, l’uomo moderno ha la drammatica certezza che la sua opera è ancora mortificata al livello di una merce, dal momento che è consapevole di non disporre di mezzi validi di difesa e di tutela.
Nell’ambito di uno Stato dedito esclusivamente all’attività giuridico-legislativa, dovrebbe essere dunque stabilita mediante legge l’entità della retribuzione base per ogni uomo. Retribuzione che tenga conto (non importa in quale forma) della sicurezza sociale, delle spese per l’educazione, del costo dell’abitazione, dei problemi del pensionamento. Naturalmente uno Stato che non ha né compiti economici, né compiti spirituali e quindi assistenziali, non dovrebbe impelagarsi in carrozzoni mutualistici e previdenziali.
Argo Villella
Selezione da: A. Villella Una via sociale Società Editrice Il Falco, Milano 1978.