Vedere un testo della piú pura tradizione tradotto da Sri Aurobindo è causa di gioia e di fiducia. Avendo vissuto tutta la sua vita in comunione con gli spiriti degli antichi Rishi, ma allo stesso tempo aperto a tutti i messaggi della cultura e della scienza moderne, è stato realmente capace di interpretare fedelmente il significato di alcuni contenuti della primitiva rivelazione. Come nelle altre sue traduzioni di testi antichi, anche qui, in questi inni ad Agni tratti dal Rig Veda, Sri Aurobindo ha saputo conservare intatto il significato esoterico anche se vestendolo in forma moderna: un dono prezioso che si aggiunge alla maestría che trova espressione nell’armonia della versificazione, accuratamente conservata nella traduzione.
Surya e Agni sono le divinità vediche indivisibili di cui la prima rappresenta la verità suprema che illumina l’uomo nel mondo celeste, mentre l’altra è la Divina Volontà che sostiene ed eleva le sue attività sulla terra. Le preghiere rivolte ad Agni sono quindi inseparabili da quelle indirizzate a Surya. Chiaramente Sri Aurobindo, pur lasciando intatto il suo ineffabile carattere, ha voluto delineare il mistero della Volontà celeste che si trasforma in potenza creatrice nell’uomo se egli sa come liberarsi dagli ostacoli creati dall’egoismo. Il potere è impersonale e acquista personalità, moltiplicandosi ad infinitum, poiché la sorgente da cui scaturisce è inesauribile se l’uomo sa davvero attingere ad essa. È una pura forza aspaziale, che trova la sua prima espressione spaziale nel fulmine e il suo supporto terrestre nel fuoco.
Questa forza pura diventa la forza motrice dell’azione quando si appropria dell’elemento fisico-sensibile. Quando è in armonia con la sua sorgente, la volontà dell’uomo può essere l’espressione della Volontà Divina. Questa Volontà è Agni. In questi inni del Rig Veda, Agni è rappresentato come la fiamma della Volontà Divina, la sorgente originaria della coscienza attiva nell’Universo. È la forza immortale tra i mortali; la guida nel viaggio; il destriero divino; l’operaio che compie l’opera divina, il portatore di luce e potenza. Agni «risveglia alla conoscenza, accompagnando il nostro Pensiero; è il raggio supremo dell’intuizione nel sacrificio; è lui che porta l’uomo alla mèta» (Mandala Tre, Sukta 11). Indiscernibile e incomprensibile nelle attività di questo mondo – falsificate come sono dal desiderio e dall’egoismo – Agni le usa per agire di là da esse, e si esprime come il potere universale, Agni Yaishvanara, che contiene in sé tutti gli Dei e tutti i mondi. Egli può essere definito come il potente esecutore che agisce in tutto ciò in cui l’uomo può manifestarsi come capacità creatrice, come una forza che supera tutti gli ostacoli. Nella traduzione di Aurobindo la figura di Agni acquista significato anche per noi moderni.
Massimo Scaligero
Hymns to the Mystic Fire – Hymns to Agni from the Rig Veda,
tradotti nel loro significato esoterico da Sri Aurobindo.
Sri Aurobindo Ashram, Pondicherry, 2a edizione ampliata, 1952.
Un’antologia delle religioni
dalle Sacre Scritture delle Fedi Viventi
di Edith B. Schnapper
In una delle Upanishad leggiamo che anche se l’uomo ha commesso tutte le trasgressioni possibili, le attraverserà sulla nave della Conoscenza. Anche Salomone dice che «La Conoscenza ha allontanato il primo uomo dal peccato e gli ha dato potere su tutte le creature»: un principio che si trova nella Bhagavad Gītā e nei Vangeli («E la verità ti renderà libero»). Lo stesso strumento od organo della Conoscenza appartiene a un ordine universale, non ad uno individuale, come accade per la facoltà raziocinante. Di conseguenza, questo strumento od organo, che è il puro intelletto o Sopramente, per usare l’espressione di Sri Aurobindo, deve riassumere in sé tutti i gradi di manifestazione in una unità trascendente. È l’organo per acquisire la conoscenza dell’Uno in tutte le cose.
Come tale conoscenza possa essere acquisita dall’uomo in tutte le epoche e in tutte le condizioni, purché sappia rivolgersi alle proprie tradizioni interiori, viene mostrato dall’unificazione del contenuto spirituale delle piú svariate tradizioni che troviamo in questo volume. Chi cerca nel profondo della sua mente la propria tradizione sfocia inevitabilmente nell’unica Tradizione: quella tradizione è una sintesi che l’uomo può compiere in se stesso, poiché consiste nella realtà contenuta nelle molteplici espressioni dell’esperienza metafisica e religiosa. Ma è anche la verità segreta della natura e del cosmo. Gli oggetti che, nella nostra esperienza fisica, ci si presentano singolarmente, sono interconnessi da un unico principio. Quando la nostra mente si avvicina ad essi nel tentativo di comprenderli mediante un nesso spirituale, l’unità ideale cosí stabilita non è estranea agli oggetti, ma attinta dall’intima essenza della loro natura. La conoscenza umana non è – come vorrebbe Kant – un processo che avviene al di fuori di tutte le cose, derivante da una necessità soggettiva dell’uomo. Quelle cose che si presentano alla nostra mente come leggi di natura non sono che il primo leggero battito di cuore dell’universo stesso.
Queste ed altre meditazioni sono suggerite dalla lettura di questa preziosa raccolta delle molteplici espressioni della Sapienza “perenne”. Rientrano naturalmente in un ordine che permette di considerare ogni tema in accordo con le diverse prospettive religiose e metafisiche. I pensieri o le massime o gli aforismi che illustrano le tante fasi dell’indagine spirituale, sono cosí organizzate in tre gruppi principali: il primo comprende le religioni dell’India (induismo, buddismo, giainismo, sikhismo); il secondo, quelle dell’Estremo Oriente (scintoismo, confucianesimo, taoismo, zen, buddismo); la terza riguarda il Medio Oriente e l’Occidente (zoroastrismo, ebraismo, islam, sufismo, bahaismo). I temi stessi sono classificati in tre gruppi: il primo, “Preparazione”, copre la Ricerca della Conoscenza e della Verità, della Purificazione e della Sincerità, del Distacco; la seconda riguarda “Il Cammino”, e contempla l’Amore e la Carità, l’Umiltà e la Devozione, la Rinuncia e la Resa; la terza è “La Meta” e copre l’Illuminazione e la Nuova Vita, l’Uno in Tutto, l’Identificazione.
Massimo Scaligero
Edith B. Schnapper, One in All – An Anthology of Religions
from the Sacred Scriptures of the Living Faiths
con una Introduzione del Barone Erik Palmstierna.
John Murray, Albermarle Street, Londra 1952.
La Svetasvara, la Prasna e la Māndukya
con la Kārikā di Gaudapāda
Tradotte da Swami Nikhilānanda
Le dodici principali Upanishad considerano il singolo corpus della saggezza, ma ognuna di esse ne riflette un diverso aspetto. Nel grande dominio di Brahmavidya, ciascuno svolge una sua propria funzione, Swami Nikhilānanda, che è il capo del Centro Ramakrishna-Vivekananda di New York, ha già pubblicato, nel 1949, un primo volume delle Upanishad contenente le traduzioni di Katha, Isa, Kena e Mundaka. Nel presente volume troviamo la continuazione di questo nobile lavoro. Contiene le traduzioni della Svetasvara, della Prasna e della Māndukya insieme alla Kārikā di Gaudapāda. I testi sono preceduti da un’introduzione che riguarda uno studio dell’etica indú e sono illustrati da note e spiegazioni basate sul commento di Sri Sankarāchārya.
Le Upanishad di cui trattiamo sono quelle meno antiche, in cui il processo di manifestazione è presentato come derivato dal piano occulto dell’Atma. L’eternità della verità implica l’eternità della Conoscenza in cui la verità trova espressione. Cosí, nel mondo della manifestazione, sia sottile che grossolano, la visione del veggente può gradualmente percepirla, ma solo nella misura in cui è presente. La stessa trascendenza dell’eterno viene gradualmente percepita come ciò che dimora nell’Atman-purusha individuale, cosí che quando l’individuo riscopre se stesso, riscopre l’essenza della creazione e di tutte le cose.
Mentre nella Svetasvara viene ancora sottolineata la distinzione tra il puro principio spirituale (Purusha) e la sua manifestazione universale (Pradhāna), e compare la nozione dei tre guna, in cui comincia a farsi sentire il rapporto tra uomo e natura, nella Prasna si traccia una distinzione ancora piú sistematica tra la sottile manifestazione formale e quella comune, e si può notare il primo fondamento di una visione psicologica dell’uomo. La Māndukya, che fa parte dell’Atharva Veda, è trattata da Sankarāchārya insieme alla Kārikā come «l’epitome della sostanza dell’importanza del Vedānta».
Sta proprio qui il nucleo dell’Advaita, nella sua forma filosofica piú limpida. Qui sono già date le caratteristiche di ciò che nel Vedānta è presentato come “Conoscenza Divina” o Brahma-Vidya, in quanto il Principio Supremo è Brahma, di cui Ishvara non è che una definizione, essendo il Principio della manifestazione universale. Pertanto, la manifestazione può essere considerata solo nella sua relazione con Brahma, e come un mero “supporto” mediante il quale elevarsi alla Conoscenza trascendente. Tutti gli elementi della manifestazione e l’essenza precipua dei loro princípi non differiscono in nulla dall’Atma: essi devono essere considerati nel loro aspetto universale come essendo veramente Brahma stesso, che nulla sa della dualità, al di fuori del quale non c’è né “manifestazione” né “assenza di manifestazione”.
Massimo Scaligero
The Upanishads – A second selection
Svetāsvara, Prasna, Māndukya with Gaudapāda’s Kārikā
Tradotte da Swami Nikhilānanda.
Phoenix House Ltd, Londra 1954.
Link agli articoli in inglese: “Aurobindo, Schnapper, Nikhilānanda“