La Fratellanza incompresa

Tripartizione

La Fratellanza incompresa

Liberta Uguaglianza Fraternità

 

Libertà, Uguaglianza e Fraternità sono princípi ispiratori dell’organizzazione sociale dei paesi occidentali da alcuni secoli. Dall’Antroposofia abbiamo imparato che gran parte della loro mancanza di efficacia è dovuta al fatto che non sempre sono stati giustamente applicati nell’ambito che gli è proprio. Infatti la Libertà è al suo posto nell’ambito delle attività spirituali e culturali; l’Uguaglianza deve limitarsi a regolare la vita giuridica, mentre la Fraternità dovrebbe essere il principio ispiratore di tutti i comportamenti della vita economica, dove si producono beni e servizi per la comunità.

 

Abbiamo la convinzione che queste tre Ancelle che dovrebbero portare l’impulso Cristico nel sociale, siano molto invocate e poco comprese, e di queste la piú incompresa e maltrattata è certamente la Fraternità.

 

Vogliamo attirare l’attenzione sulla grande importanza che ha oggi la comprensione del principio di Fraternità, o di Fratellanza, perché riteniamo che in essa si nasconda la gran parte della soluzione ai problemi che attraversano la nostra vita sociale.

 

Innanzitutto occorre uscire dai facili sentimentalismi che la vorrebbero ridurre al semplice compito di “aiutare i poveri”, la qual cosa sottintende il fatto che i poveri ci sono sempre stati e quindi ci saranno sempre, mentre siamo convinti che, soprattutto oggi, è giunto il tempo in cui “i poveri non dovrebbero piú esistere”, se la Fratellanza fosse giustamente compresa e minimamente applicata.

 

Il motivo di questa affermazione lo troviamo nel risultato dei lavori di autorevoli economisti che da tempo vanno ripetendo che già dagli anni Ottanta le moderne tecnologie permettono la creazione di beni materiali in abbondanza, tanto che piú del 40% va sprecato e già da ora un terzo della popolazione lavorativa sarebbe in grado di produrre il doppio dei beni necessari per un benessere diffuso.

 

Contemporaneamente anche la moneta, che dagli anni Settanta non ha piú la necessità di copertura aurea, può essere creata dal nulla e quindi non può essere scarsa.

 

Ora si tratta di gestire questa abbondanza al servizio della comunità e sottrarla a quei pochi che, con la scusa di una scarsità, che in realtà non esiste, la usano come strumento di potere rivendicando un principio di libertà che, in economia, non può prendere il posto della Fratellanza.

 

Riteniamo però che l’idea di Fratellanza sia oggi diventata molto complessa e comporti alcune condizioni che prima non potevano essere invocate e cioè:

 

Riconoscimento dei beni comuni.

Anche la moneta deve essere un bene comune.

Distinzione fra reddito di sostentamento e reddito da lavoro.

 

 

Beni comuni

 

Si va consolidando fra gli studiosi di diritto l’idea dei beni comuni. In pratica si sostiene che la sfera dei beni demaniali, già riconosciuta dalla comunità e dalla legge, andrebbe allargata definitivamente anche ai terreni, alle risorse energetiche e a tutti i beni indispensabili alla vita di sussistenza della comunità. Di fatto questi beni andrebbero considerati proprietà dei cittadini, e perciò potranno esser dati solamente in gestione ad organizzazioni private per produrre beni ed anche profitti, da condividere però con la comunità che ne rimane la vera proprietaria.

 

Questo resta il punto di partenza di tutte le nostre considerazioni. Senza condividere questo diritto sarà impossibile dare fondamento giuridico ad una economia della Fratellanza.

 

Infatti come sarà possibile parlare di Fratellanza se si continua a ritenere ovvio che, fra coloro che scendono ad abitare la nostra Terra, vi sia qualcuno che non ha diritto a nulla solamente perché è già in mano ad altri?

 

Anche nell’Antroposofia si trovano motivi a conferma di questa idea, infatti lo stesso Rudolf Steiner sosteneva che «ogni persona avrebbe diritto ad un appezzamento di terreno sufficiente per il proprio sostentamento».

 

Inoltre si parla sempre piú di capitale umano, insieme di competenze, cultura e capacità che formano un bene immateriale e illimitato indispensabile per la creazione di beni e servizi materiali e immateriali sempre piú sofisticati di cui tutti hanno una assoluta necessità. Ogni uomo è portatore e fruitore di una parte di questo capitale e lo trasmette agli altri con la sua vita di relazione come un bene comune.

 

 

Moneta bene comune

 

Moneta

 

Ma se vogliamo dare consistenza all’idea di Fratellanza occorrerà che anche la moneta sia da considerare un bene comune. Infatti non bisogna dimenticare quello che è noto ad ogni economista, e cioè che se una comunità di persone vuole introdurre un sistema monetario, di cui è momentaneamente sprovvista, i pezzi di carta destinati a divenire moneta lo diventeranno solo a condizione che i cittadini la accettino come tale. Quindi è il riconoscimento dei cittadini a dare valore a dei pezzi di carta e trasformarli in moneta. Allora i veri proprietari della moneta dovrebbero essere i cittadini che la caricano di valore, e non certo coloro che la stampano.

 

Questo da quando la moneta ha cessato di avere una copertura aurea e la si crea dal nulla per la prima volta nella storia di questo prezioso strumento che condiziona gli scambi e il benessere delle comunità.

 

Giacinto Auriti

 

Come sosteneva Giacinto Auriti, occorre assolutamente stabilire di chi è la moneta al momento della sua creazione. A questa domanda si preferisce non dare risposta, ma ciò permette al sistema bancario di impadronirsi di questo bene comune e di farne uno strumento di potere.

 

Infatti, approfittando del fatto che ora la maggior parte del denaro circola in forma elettronica (piú del 90%), quando il sig. Rossi chiede un prestito, la banca registra sul suo conto corrente tale somma senza prelevarla dai suoi depositi, come era un tempo col denaro cartaceo e come molti ancora pensano. Tale somma va poi restituita con gli interessi che naturalmente vengono prelevati dal denaro in circolazione. Risultato: gran parte del denaro viene creato quando il richiedente si indebita e inizia a circolare cosí come denaro/debito.

 

La restituzione degli interessi prelevata dal denaro in circolazione provoca il sistematico passaggio di tale denaro al sistema bancario.

 

Il diritto di trattenere l’intera somma degli interessi per il prestito erogato presuppone implicitamente e subdolamente che la banca autorizza se stessa a diventare la vera proprietaria del denaro cosí creato.

 

Se invece il denaro fosse un bene comune, come abbiamo premesso all’inizio, le banche farebbero solo un lavoro di intermediazione e, adeguatamente compensate per il loro lavoro, dovrebbero restituire il denaro cosí accumulato alla comunità che ne rimane la vera proprietaria.

 

Come si potrà parlare di Fratellanza senza arrossire se si accetta supinamente che il denaro, sangue dell’organismo economico, circola rimanendo proprietà di pochi usurai?

 

Ricordiamo che R. Steiner sosteneva che «il denaro deve nascere dallo Spirito e morire nello Spirito», ma in questo modo il denaro, al contrario, nasce dal debito, sopravvive e diventa strumento di potere con il quale questi pochi soffocano completamente sia la sfera giuridica che quella spirituale, come ormai è diventato sin troppo evidente. In queste condizioni la Tripartizione non sarà mai possibile.

 

Ma affinché il denaro rimanga solo mezzo di scambio, ed evitare che si accumuli generando altro denaro senza creare beni, occorre sia conveniente restituirlo alla sfera economica come denaro di scambio o come denaro di prestito. Questo si potrà ottenere tassando il denaro al posto dei beni e del lavoro. I proventi di questa tassazione dovranno poi tornare alla comunità, che provvederà a gestirlo come bene comune, ed anche a sostenere la vita spirituale da cui poi provengono quelle competenze e capacità, indispensabili alla creazione di beni materiali e immateriali di cui anche la sfera economica necessita. Solo cosí il denaro muore nello Spirito.

 

 

I due redditi

 

Dagli studi sulle problematiche sociali, a cui R. Steiner ha dedicato molte energie negli ultimi anni del suo lavoro antroposofico, e in particolare nel ciclo Esigenze sociali dei tempi nuovi del 1918 (O.O. N° 186) ci viene detto: «Ciò a cui si deve tendere è di separare il lavoro dal procacciamento dei mezzi di sussistenzaIn tal modo non si potrà mai far sí che qualcuno venga costretto a lavorare mediante il denaro».

 

Esattamente il contrario di quello che avviene oggi. Queste indicazioni sono di difficile digestione anche per molti antroposofi. Ma ricordiamo quanto aveva già detto e ripetuto sullo stesso argomento e cioè: «Il lavoro umano deve cessare di essere una merce». «Ognuno ha diritto ad un appezzamento di terreno per il proprio sostentamento».

 

4 ore di lavoro al giorno

4 ore di lavoro al giorno

 

Rimane evidente che per R. Steiner i mezzi di sostentamento sono un diritto che va esteso a tutti senza alcuna costrizione lavorativa. Le risorse per tale progetto non possono essere un problema, infatti abbiamo già ricordato che dalla fine degli anni Settanta, grazie alle nuove tecnologie, metà della popolazione lavorativa potrebbe già produrre il doppio dei beni necessari lavorando solo quattro ore al giorno, e se poi ci convinciamo che la Fratellanza in economia comporta il riconoscimento dei beni comuni, moneta compresa, ognuno diverrà comproprietario di tali beni, e quindi il suo reddito potrà essere composto da una parte di tali beni. Il resto dovrà provenire dal suo lavoro nel modo in cui ognuno riterrà piú opportuno. Potrà anche donarlo come già oggi fanno in molti.

 

In questo modo il lavoro stesso cesserà di essere una costrizione per la sussistenza, e potrà finalmente essere gestito come un bene spirituale carico di moralità, come richiede la sua natura, e lo diventerà se riconosceremo che l’uomo non vive del suo denaro ma del lavoro degli altri, e lavorando non solo ricambiamo il lavoro che gli altri fanno per noi, ma continuiamo addirittura a collaborare con l’opera delle Gerarchie alla trasformazione del mondo materiale.

 

La Fratellanza necessita della fiducia che la natura dell’uomo assolverà l’impegno lavorativo anche quando questo sarà liberato dalla costrizione.

 

È evidente che rimane sempre un bene lavorare e sconveniente oziare, ma se vogliamo dare dignità al lavoro, ricordiamo sempre che il bene non si può imporre. Ognuno dovrà rispondere alla sua coscienza e al severo giudizio degli altri del suo oziare.

 

Queste considerazioni sulla Fratellanza, sul lavoro e sulla Tripartizione rappresentano l’unica medicina per curare la malattia del caos sociale che ci circonda, come tanto accoratamente ci ricordava R. Steiner. Un compito non facile a cui gli antroposofi si dovranno dedicare con energia. Un modo sarebbe quello di organizzare oasi di autonomia economica dove si raccolgono realtà culturali ed economiche già esistenti nelle quali si potrà rendere operativo il principio di Fratellanza che abbiamo ricordato.

 

Se son rose fioriranno

 

L’iniziativa non mancherà di suscitare interesse piú di qualsiasi discorso.

 

Certamente sono rose, e quindi fioriranno.

 

 

Renzo Rosti