Cielo d’autunno,
che gloria
il tuo roseo chiarore
che accende
il rame delle foglie
ai piedi dei tigli!
È un manto prezioso
tessuto da fate
di bellezza sapienti.
Fin là,
dove l’erba risplende
sotto l’alloro,
i nespoli e l’abete
che verdi resteranno,
a ricordare che
la Terra è viva
pur nel suo sonno
che il sole nuovo attende.
Alda Gallerano
Tenda
Ho piantato una tenda
in San Lorenzo
di sogni e di notti infinite
sul sagrato roccioso l’ho piantata,
cosí pietra su pietra, forse,
è piú facile incontrare il cielo,
di certo gli uomini
che seduti su questi gradini
a flotte, a sciami sostano
per un breve riposo,
mai per restare
qui non si fanno nidi.
Di fronte alla facciata l’ho piantata,
parete che si può salire alle stelle
perché nuda.
Sopra un tappeto
di ruggine ardente
come la sabbia del deserto
sul suolo consacrato
per tutti l’ho piantata,
volendo di un altro volere.
E pensavo ai magi d’Oriente
a quella disciplina antica del fuoco
ai ripari notturni
del viaggio oltre il tempo
e al sonno dei pastori ispirati
dalla lontananze del firmamento
nel cerchio degli armenti
illuminati a giorno dagli Angeli.
E subito è piovuta
grandine inaudita
come sassi tuonanti sul mercato
sulle vie affollate
fermando tutto,
tutto imbiancando
forse, dico, per salutare
il candore del marmo
appena posato.
Avevo scavato un rifugio
dentro il blocco
per i giorni di tempesta
cercando una via
verso la luce dell’alba
verso il giardino
delle prossimità nascoste
dove appare Sophia Divina
seduta perfetta
che si rivolge a noi
cercatori in attesa,
una lanterna non basta
per ritrovare il Sole,
ben altro cuore che trabocca
ben altra donazione di sé
E mi sembra ora
di vedere laggiú
in fondo alla piazza
in mezzo a tanti bambini
Donatello, in altre vesti,
che sorride
testimone di bellezza.
Lirica e scultura di Enrico Savelli
UNA FABBRICA
Dai vetri rotti
delle finestre alte
di un lanificio
che non esiste piú,
esce ancora
il rumore dei telai,
lo schianto delle spole
veloci, che battevano
la punta sui battenti
con la mia mamma
che diceva:
metti la testa giú.
Io la mettevo
e vedevo
le gambe delle donne
le calze spesse,
alcune rotte,
le scarpe impolverate
di lanuggine
e i piedi stanchi per le ore
della vita che scorreva
nel rumore dei telai
nello schianto delle spole
che veloci tessevano
metri e metri di tessuto
che non esiste piú:
esistono i vetri rotti
delle finestre alte
di un edificio
di mattoni rossi
il tetto crollato
e tanti metri di vita
consumata in un rumore
che non si sente piú.
Luca Massaro
CI SARÀ
Un’altra distesa solitaria
di curiose emozioni
granulose e lievi
come sabbia fine
tra le pieghe
di ricordi.
Un rudere di roccia
sconnessa e grigiastra
che abbraccia tra macerie
un intrigo irrisolto
di pensieri.
Di là a venire
una freccia d’oriente
obliqua scagliata
tra bruschi corvini
con perfida cura
di sguardi.
E un passo poggiato
sulle nuvole dure arruffate
che sprofonda
di sera crudele
il tacco aguzzo
nel cuore.
La pagina bianca
su cui rigano frasi
sbilenche traboccanti
di amori feriti
e smarriti e dimentichi
d’anima.
Una regina in giardino
che inchioda la mossa del re
e l’alfiere piange lo scacco
nell’obliquo percorso
di vita.
Sapore fresco d’anèto
rovente di labbra
dischiuse che attingono
avide nella coppa
del falso motivo
di amore.
Ci sarà l’assenzio
e la sulla e la mirra
nel parco di fiori
il ricino amaro e l’incenso
che ancora santifica il gesto
dell’Umana Esistenza.
Marcello Sebastiani