Dalle esperienze compiute in una vita umana travagliata quanto basta, si possono ricavare conoscenze utili per il futuro. Questo è quanto s’intende con la frase: «L’ho capito soltanto dopo, col “senno del poi”!». Esiste tuttavia anche un “senno del prima”. Da millenni infatti, la saggezza degli antichi ci ha tramandato autentiche perle, non tutte le quali, per nostra disgrazia, hanno prodotto l’effetto desiderato. Si può concludere che l’essere umano spesso crede di aver imparato, senza aver in effetto capito un’acca, e di conseguenza elementi di conoscenza sperimentale preziosi per la crescita interiore sono stati mandati a vuoto.
Di contro a questa caterva di “s-conoscenze”, brilla fra le altre, un pensiero, attribuito addirittura al grande Aristotele, che recita grosso modo cosí: «Se in un’opinione opposta alla tua non sei capace di trovare una opportunità di studio, di approfondimento, di confronto, e lavorarci sopra per una possibilità di concordia comune, allora di necessità sarai costretto a incontrarla con la parte dell’anima in cui vivono astio e ripicca, disordine e contestazione».
Abbiamo a nostro modo tesorizzato l’antica sentenza, nel senso che ci siamo dati un gran da fare per realizzare la seconda parte, lasciando la prima ai noiosi, agli sfaccendati e agli amanti dell’enigmistica; di solito chi, attraverso vacanze, concerti rock, happy hours, e rave party, tenta eroicamente di riempire l’abisso del vuoto esistenziale, non ha tempo da perdere in ricerche puramente teoriche.
A tale proposito sono in grado di fornire un’esperienza personale e collaudata: da molti anni infatti conosco e pratico un tipo particolarmente sentenzioso. Non me la sento di definirlo un amico vero e proprio, perché le nostre vedute divergono in tutto e per tutto, ma per ragioni di vicinanza e altri legami di compatibilità, mi trovo spesso a imbastire con lui ogni sorta di dialoghi sulle questioni piú disparate, sicché mi è praticamente impossibile escluderlo dalle mie ricerche; anche se, ripeto, sono propenso a ritenere questo rapporto, piú un impedimento che un’agevolazione.
Sono nato nel segno della Bilancia e di conseguenza mi capita di stare nel mezzo di molte cose, anche controverse e bisticcianti tra loro. Naturalmente ho imparato l’equilibrio a mie spese; in questo campo non ci sono borse di studio o attestati di profittevoli applicazioni. Ma le mie cadute si sono sempre rivelate benefiche; in qualche modo me la sono cavata, ed oggi mi permetto di osservare le convulsioni del mondo con lo sguardo del veterano, senza appassionarmi eccessivamente per le ostentazioni di sforzi eroici da parte di alcuni e senza preoccuparmi troppo per le riprovevoli défaillance di altri. In genere le esistenze umane durano sufficientemente a lungo per ammettere anche gli esami di riparazione, e qualche volta le scelleratezze giovanili vengono compensate in seguito con una maturazione tardiva ma non per questo infeconda.
È qui che gioca quel “senno del poi”, che avrebbe dovuto essere il “senno del prima”, ma finisce col diventare il “senno del prima o poi”. Onde rendere maggiormente realistica l’indagine, chiamo quindi a testimoniare la mia vecchia conoscenza, la quale, pur non del tutto entusiasta del ruolo proposto, pare disponibile a offrire un contributo in merito. Il fatto poi che lo faccia sentendosi o atteggiandosi a martire, non m’impensierisce piú di tanto; di greco antico ne so qualcosa anch’io.
Di fronte alle situazioni offerte con notevole dovizia dalla vita, dal karma e dal destino (ce n’è per tutti), questo convenuto (confesso che talvolta non so se deponga a mio favore, oppure lavori per i dirimpettai) se ne esce in esternazioni, tanto ovvie quanto banali, che mi deprimono alquanto, non per la loro sostanza, ma per l’atteggiamento un po’ caricaturale con cui vengono espresse: «Tu non puoi restare in sospeso tra il bene e il male! Tu devi schierarti! Devi scegliere! È un obbligo e un dovere morale! O sei con noi o sei contro di noi».
Il terzo millennio è appena cominciato e questo sbandieramento d’intenti è diventato piú imperativo che mai. Un contorcimento cerebrale (composto a mio parere da velleitarismo abulico, pensiero immaturo e sentimentalismo becero) si è trasformato in uno slogan (e qui il termine esotico ci sta tutto, perché per essere intimamente convinti della sua validità, anima, cuore e cervello devono come minimo slogarsi) e viaggiando sulle ali posticce dell’immaginifico popolare, ha saputo diffondersi e riprodursi per tutto il mondo abitato. Credo che in linguaggio social si dica “virale”.
Forse sono un po’ troppo perentorio? Vediamo, ragioniamoci sopra. Prendiamo spunto da tre grandi temi divisivi che scorrazzano per il globo creando zizzania e disordine a destra e a manca. E vediamo poi come il nostro amico, pardon, volevo dire il nostro “convocato”, se la cava. Il concetto di razza, le preferenze in fatto di sesso e ultima (ma solo per l’ordine alfabetico) la questione spirituale, considerata dal punto di vista religioso o di fede (sarebbe da aggiungerci anche il problema ambientale, quello climatologico/sanitario, la crisi energetica ecc., ma è meglio cominciare con poca roba; anche lo chef piú avveduto, infatti, suggerisce che per insaporire una pietanza c’è sempre tempo). Questi sopra enunciati non sono solo tre possibili (o doverosi?) temi sui quali trovare ed erigere una rispettabile convivenza sociale, cultuale e politica, ma sono soprattutto altrettante prese della coscienza umana, perché è di questo che in fondo si tratta; essi riassumono, in modo esemplare, il grado della nostra disponibilità a entrare a fondo negli argomenti specifici e, solo dopo averlo fatto in modo autonomo, spassionato, privo di preconcetti e/o riserve mentali, decidere quali pesci pigliare.
Chiedo pertanto al nostro teste di svelare la sua opinione sui concetto di razza, di razzismo e di etnicità policroma, sugli arcobaleni di sesso e sulle varie correnti di fede; nonché di farlo in tutta serenità perché, in questa sede almeno, non ci sono fronde, né spifferi né correnti ostiche che possano causare quei turbamenti misteriosi e infidi che solitamente affollano le aule giudiziarie e molti convegni socio-politico-culturali, cattedrali comprese.
«Beh, il tema è arduo, ma io credo che la risposta sia semplice. In verità penso di poter affermare che non ci sono razze, o etnie, o differenziazioni genetiche tra gli uomini: apparteniamo tutti alla razza umana, siamo nati sulla terra e moriremo sulla terra; quindi credere che la pigmentazione della pelle, o la lingua, gli idiomi, la cultura o le tradizioni e le usanze, possano influire su questa verità di base è solo un tentativo di strumentalizzazione che viene attuato per scopi evidentemente diversi dai dati in esame.
I confini fra gli stati, le barriere, qualunque forma di stacco geofisico-politico che divida le popolazioni, costringendole a credere che da una parte ci siano persone perbene e dall’altra turisti maleducati da sopportare perché recano valuta pregiata, è tanto stupefacente quanto sconvolgente.
Come si vede, per me ogni separazione, ogni distinguo che tenda a dividere e non a congiungere, è sempre un male. E fino ad oggi l’uomo non ha saputo far altro che questo: confinare, mettere al bando, limitare e reprimere. I concetti di razza e di razzismo che vengono furbescamente propinati a sostegno della supremazia genetica e delle prepotenze nazionalistiche, sono l’estremo tentativo dei sistemi autocratici di galleggiare in un oceano di sudditanze mantenute cieche, imbelli e psicolabili, incapaci di capire, incapaci di scegliere, incapaci di reagire. Qualunque essere umano, qualunque sia il colore della sua pelle e il dialetto con cui si esprime, è un confratello, e se ha bisogno di aiuto sarò felice di farlo nel limite delle mie possibilità. Ove io mi rifiutassi di soccorrerlo, in realtà rifiuterei di soccorrere me stesso.
Tra gli esseri esiste un’unità profonda e incancellabile, la cui natura è squisitamente spirituale, e contro la quale attraverso i concetti inculcati di razza, razzismo e nazionalismo, tirati per i capelli, si fomentano e si scatenano gli odi e le avversioni piú profonde del separatismo egoistico, dell’esclusività elitaria, dell’egocentrismo solipsistico. È una situazione di fatto generalizzata: l’uomo attento alla salute della propria vita interiore, non la dovrebbe accettare supinamente; ma dal momento che questa imperversa, egli ne diviene sempre piú succube, ammalato, angosciato e con spiccata tendenza alle fobie della nevrosi parossistica. Facile preda pertanto di propagande reclutative comminate dai numerosi poteri che operano contro l’evoluzione (intendo la nostra evoluzione)».
Bene; ci dica ora il suo pensiero sul sesso e sulla sessualità in linea generale in quanto fenomeno sociale recentemente sviluppatosi in piú tendenze e direzioni.
«È una bufala colossale ! Un imbroglio da quattro soldi, che serve ai padroni delle ferriere per distrarre la povera gente che per vivere deve lavorare nelle proprietà di quelli, spesso in condizioni disumane. Nessuno vede piú nella sessualità la forza originaria da cui è derivata: non la vede perché è talmente semplice, talmente elementare, talmente ovvia che bisogna proprio essere rimbambiti per non capirlo. Il sesso, la sessualità e tutto quello che vi è connesso è la spinta della natura a volersi riprodurre; è un modus generandi partito dall’animalità, e in tal caso nessuno può dubitare se sia riprovevole, o depravabile o affetto da turpitudini viziose, ma nell’umano tale impulso si è evoluto fino a divenire autentica poesia romantica, sentimentale e idealizzata fino ad un certo punto; poi ha cominciato a vacillare, a declinare, è caduto in un baratro di brame e passioni, tale che oggi è pressoché incontrollabile.
Famiglia, scuola, chiesa sarebbero dovute essere in prima linea per offrire a tutti un’impostazione educativa in tale senso, ma il cosiddetto moralismo, con i suoi orrendi freni inibitori, è degenerato in una reclusione dei problemi psicofisici piú intimi, che soffocati per decenni, se non per secoli, alla fine sono deflagrati, com’era da aspettarselo, e ora, in nome di un subdolo e fittizio senso di libertà sessuale, sono incontenibili. Mettono in ridicolo quanti per ingenuità bacchettona o moralismo sprovveduto minacciano, rimproverano, invocano Sodoma e Gomorra, senza nemmeno sospettare che in questo terzo millennio tutto sta già verificandosi, purtroppo grazie alla loro striminzita capacità di amare veramente qualcuno o qualche cosa.
Se fin dall’inizio i bambini imparassero a scuola, proprio come si insegnano i primi rudimenti dell’educazione civica, anche gli elementi piú semplici e basilari della sessualità, della riproduzione e della funzione imprescindibile che essi hanno nel coinvolgerci e regolare i nostri rapporti affettivi e sociali per il resto della vita, forse certe cose, che oggi accadono con folle inarrestabile frequenza, non accadrebbero o quanto meno sarebbero piú limitate. La nostra manchevolezza non sta tanto nell’aver esaltato l’atto sessuale come massima fruizione del piacere psichico e corporeo, ma nel non aver voluto intendere che in esso è presente quella medesima Forza di Vita che ha dato origine all’universo, e che ancora oggi continua a produrre in ogni creatura vivente il giusto impulso a donare il meglio di sé, affinché un altro consimile possa venire al mondo. A questa Forza dovremmo rivolgerci tutti, atei e miscredenti compresi, con la devozione e il rispetto di cui siamo capaci solo quando ci troviamo nella condizione di non poterla piú ricevere o disperdere.
Per quanti millenni ancora dovremmo subire l’esilio umano dal Divino, prima di capire che la possibilità del ricongiungimento sta tutto nella volontà della catarsi, della decantazione, della ricerca dello stato immacolato in cui stava l’anima dell’uomo, prima ancora che iniziasse la sua caduta nella fisicità e nel materialismo?
L’ho sempre sostenuto e lo ripeterò ancora: perfino dietro al cielo piú livido e rannuvolato, splende sempre il sole! Cosí nel medesimo modo, dietro ad ogni essere umano che, volente o nolente, si sia lasciato racchiudere dalle tenebre, c’è sempre la luce dell’Io Sono, dello Spirito Individuale, che lo pone in comunione diretta con lo Spirito dell’Universo! Ma se nell’atto sessuale continuiamo a cercare soltanto ciò che provoca un momentaneo piacere corporale e un’effimera soddisfazione della psiche, ci allontaneremo ancor piú dalla giusta percezione e dalla corretta sensazione. Se un appagamento di pochi secondi è in grado di mettere in moto il complesso meccanismo biologico che genera la vita, non occorre essere asceti o filosofi per intuire quanto sia importante e grandiosa una nostra rivivificazione interiore, capace di cogliere l’attimo del sublime nel gesto piú intimo che ci è stato offerto dall’Amore divino».
Bella filippica, grazie! Ne terremo conto. Passiamo ora all’ultimo argomento in esame: la questione della fede e della sua eventuale ricusa. Come pensa lei sia possibile affrontare l’antico dilemma in modo propositivo, salvando il diritto di entrambi, credenti e agnostici, a coltivare ovvero ignorare la parte dell’interiorità umana in cui potrebbe manifestarsi una richiesta… diciamo cosí, metafisica?
«Grazie intanto per il garbo con cui ha porto la domanda; non tutti sono cosí delicati nel trattare la questione che nella storia dell’umanità ha creato sempre grosse difficoltà e accordi ardui se non iperbolici. Nel nome di un dio o di una fede è stata commessa ogni sorta di violenza e di sopraffazione da entrambe le parti in causa. Ce ne siamo mai chiesti il vero motivo, ammesso che un motivo esista? Molte cose appartenenti alla razza umana si possono comprendere e accettare, ma compiere soprusi e malvagità in nome di una religione o, per contro, nel tentativo di volerla estirpare in coloro che la praticano e la difendono, ha davvero dell’incomprensibile anche per l’antropologo piú esperto e smaliziato.
Dunque, tanto per inquadrare il problema, si può dire senza tema di smentita che in una parte dell’umanità esiste l’esigenza, a volte insopprimibile, di sentire in sé l’elemento (che in questo caso si può dire anche “alimento”) dello Spirito, mentre ce n’è un’altra, altrettanto numerosa, che non si occupa affatto di simili cose e rinnega, con forte determinazione, ogni trascendenza riguardante l’uomo, la vita e l’universo; in pratica due schieramenti non conciliabili. Dovrebbe sorprendere non poco gli “umanologi” moderni che questi due schieramenti se le siano date di santa (o profana) ragione, per secoli e secoli, con modalità spesso cruente e drammatiche, anche se mascherate da ragioni di Stato, di economia o di altre sgangherate pretese di rivendicazioni ideologiche; c’è da chiedersi come mai nessuno dei due sia riuscito a prevalere e conseguire un’unica supremazia religiosa, o laica, definitiva.
Quando, a livello piú ridotto, succedono cose di questo genere, gli esperti affermano con un linguaggio politichese non privo di un certo trionfalismo, che “la formula regge”. Infatti regge, sí, ma sul lutto, sulla disperazione e sulle sofferenze dei cosí detti “reggitori” che – inconsapevoli d’esserlo – prestano spalle e altre parti corporee a mantenere in equilibrio le forze in gioco.
La meteorologia insegna che se a un fronte ciclonico si oppone uno anticiclonico, uno dei due prevale, altrimenti si ha una stasi di tempo perturbato e instabile. Ma in natura questo tipo di stasi prima o poi cessa, deve cessare, non può durare millenni. Equivarrebbe a due tizi di pari stazza e forza che spingono la medesima porta da entrambi i lati: il primo da destra a sinistra e l’altro all’incontrario. Anche qui si verifica una stasi, ma in questa l’elemento umano va logorandosi sempre piú e si finisce per vivere un’esistenza fatta di sforzi e di stenti assurdi che sembrano protrarsi all’infinito.
Detto questo, per chi non desideri affrontare fino in fondo le tematiche attuali, in quanto non lo ritiene compito suo, tutto potrebbe restare fermo cosí, in sospeso, come fosse un quadro in cui si ammirano le tensioni cromatiche incalzanti da un lato e dall’altro; eppure non ci vuole un’intelligenza particolare per capire che la realtà non è un affresco: in essa è in corso un processo di autocombustione e un incendio presto o tardi deflagrerà in tutta la sua violenza».
Ecco dunque esposto il punto di vista del nostro personaggio, che evidentemente ritiene di saper ben distinguere le cose, anche quando si presentano ingarbugliate, complesse e di difficile ricostruzione.
Dal momento tuttavia che io lo conosco abbastanza a fondo da poterlo, non dico confutare, ma almeno mettere in difficoltà, circa la veridicità delle frasi affermate, mi sento in dovere di svolgere qui una funzione di contraltare, e pertanto mi viene da chiedergli qualche chiarimento perché, come si suol dire, è facile predicare bene ma è anche piú facile razzolare male.
In un momento di particolare confidenza dirò anzitutto, per quanti non l’abbiano ancora intuito, che il tizio in questione è il mio “ego”, il mio intimissimo, personalissimo ego. Del quale non posso ignorare alcune prese di posizione che stridono non poco con i discorsi fatti poc’anzi.
Non si tratta di opinioni momentanee. Fosse cosí non le avrei prese in considerazione. Sono invece moti interiori ben precisi, derivanti da un’analisi, certamente di parte, faziosa quanto si vuole, ma che hanno determinato specifiche violazioni – piuttosto notevoli – di quanto prima affermato a spada tratta.
E quando un uomo (ammesso che l’ego possa venir cosí identificato) dopo un pronunciamento concettuale solido e sicuro, mette in esecuzione un comportamento completamente opposto e contrario, ci dobbiamo tutti interrogare se questo atteggiamento distopico e trasversale non abbia qualcosa a che fare con una forma cronicizzata di “strabismo morale”; tipico difetto di chi osserva col senno del prima e giudica col senno del poi.
[N.d.A.: in seguito ad un approfondito dialogo interiore col mio “ compagno ego” sono giunto alla determinazione di omettere le parole, i comportamenti e gli atteggiamenti che possano, a mio avviso, aver sconfessato le dichiarazioni rese. In fondo ha ragione anche lui: questo non è un processo a suo carico; si può restare nel tema dell’articolo anche tralasciando i dettagli; sarà sufficiente dire che l’ego (quanto meno il mio) non ha sempre mantenuto a distanza le sue debolezze e non di rado ha agito in contrapposizione agli assunti ideali, o idealistici, propugnati].
Chi ha avuto invece la fortuna di accostare l’insegnamento di Rudolf Steiner e di Massimo Scaligero, si sente in dovere di chiedersi i motivi di questa destabilizzazione dell’entità umana, almeno per rispetto di quella legge morale che, nella comprensione piú vasta e approfondita, vede, e talvolta anche trova, il rimedio giusto per i mali correnti.
Secondo me c’è un grosso equivoco, anzi gigantesco. Continuiamo a non vederlo, o meglio, a far finta di niente. Credo che fin qui si sia trascurato un elemento essenziale, componente di tutti i danni che si manifestano nel volersi fronteggiare come opposizione. Il fulcro, il centro, il punto focale e motore d’ogni dissidio non sta nell’idea (abbiamo qui preso Razza , Sesso e Spiritualità, come campioni delle divergenze) bensí nelle rappresentazioni che ce ne facciamo, o lasciamo fare ad altri, per poi adottarle noi quasi ne avessimo acquisito la paternità.
Se questo fosse vero, il significato che se ne ricava potrebbe dirci che ci stiamo combattendo l’un l’altro per questioni di aria fritta, in quanto concezioni razzistiche, confessioni religiose e scelte sessuali non ci provengono (come ingenuamente si dà per scontato) dal mondo delle Idee, ma da quel groviglio di tensioni che la nostra anima ha prodotto, scambiando l’obiettività delle idee/concetti con la soggettività mediante la quale li abbiamo interpretati.
Le Idee e i Concetti sono simili alle stelle del firmamento: non sono state create per provocare disastri, ma per splendere, illuminare e riscaldare. Certo, gli astronomi ci raccontano che le stelle hanno una loro durata, possono raffreddarsi, estinguersi e anche scoppiare. Ma noi siamo in grado di distinguere uno scoppio da cui nasce la vita e dal quale si genera un nuovo ordine all’interno dell’armonia universale, da quello scoppio il cui intento invece è soltanto quello di distruggere e provocare ulteriori mali.
Voglio dire; se posti di fronte ai grandi temi dell’esistenza, che ci richiedono scelte individuali ben precise, salde, avvedute, decisioni volitive meditate, fermezza d’animo, coraggio, e nei limiti del possibile anche abnegazione e sacrifici, non riusciamo ad ispirarci al mondo delle Idee, ma ne cogliamo soltanto una minima parte, e pure quella la riduciamo a mere rappresentazioni, allineandole con le forze centripete dell’egoismo, allora significa che cerchiamo le battaglie con l’altro o con altri al di fuori di noi, solo per non affrontare l’unica vera battaglia che invece già divampa dentro di noi.
Quest’ultima non la vediamo proprio, pare che nessuno ne sappia qualcosa, o se ne sia mai accorto. Spendiamo mille discorsi (totalmente inutili) sulle guerre in corso in tutte le parti del globo; costruiamo mille discorsi (totalmente inutili) su ciò che andrebbe fatto per un supposto bene comune; ci riempiamo ogni giorno la bocca di reclami, proteste, invettive contro i soprusi, le ingiustizie; denunciamo pubblicamente le manchevolezze che emergono in modo drammatico dall’incuria, dall’inerzia e dall’incapacità di amministrare il complesso sistema del paese; ma non ci chiediamo mai, nemmeno per un attimo se, dopo tutto, non siamo forse noi stessi ad essere diventati ingovernabili.
Le divergenze, i contrasti, le opposizioni, gli schieramenti con o contro i quali riteniamo, sia pure in buona fede, di militare, non stanno fuori di noi, nelle cose, nel mondo, negli altri: sono in noi, sono connaturate con la specifica natura dell’uomo; e noi, non sapendo come elaborarle, studiarle e assimilarle, le proiettiamo all’esterno, sconquassando la società in cui viviamo, spesso convinti di essere moderni, progressisti e liberaleggianti. In realtà vale l’opposto: siamo immaturi, ingrati e incapaci di promuovere con serena fermezza una profonda, leale auto-indagine sulla nostra stessa natura.
È normale quanto è accaduto e sta accadendo tuttora ? Sí, se non si tiene conto del “senno del prima”, se non si ascolta la voce della propria coscienza, se non si è curata un’adeguata esperienza di vita che possa farci intravedere la bellezza del creato e la puntuale necessità con cui le vicende ci vengono incontro e talvolta sembrano sommergerci, mentre siamo noi, sempre e solo noi, a produrre le full immersion nel mare delle brame e della voluttà.
Le dicotomie esistono sicuramente; devono esistere; cosí come per far funzionare adeguatamente una pila ci devono essere i poli contrapposti; a nessuno verrebbe in mente di dire che la corrente creatasi da quella contrapposizione sia perniciosa e meriti di venire affrontata a bastonate e tafferugli. Le dicotomie creano le tensioni, le tensioni suscitano di continuo la profonda richiesta di cambiamento, di aggiornamento, di innovazioni, di migliorie. Questo è il cuore d’ogni reale evoluzione diretta al bene di tutti. A volte è sufficiente un breve pensiero per spiegare un arcano: se ciascun abitante di questo pianeta si alzasse al mattino col profondo, sincero intento di voler essere oggi solo un pochino migliore di ieri in tutti i settori dell’iter quotidiano nei quali è coinvolto, sono convinto che guerre, tenzoni, sfide e contrasti avrebbero le ore contate.
Per superare il fatto che gli scontri fra gli opposti rimangono quel che sono (continuino cioè a fomentare atrocità compiute in nome delle differenze – delle cosí dette “insopportabili differenze” – sul dio da pregare, sul colore della pelle, sul linguaggio e sulle intime scelte sessuali) è necessario prima di tutto darsi una grande calmata; poi chiedersi se il primo compito morale dell’umano sia quello di tentare di raddrizzare le gambe dei cani, o non sia piuttosto quello di dirigerci in modo corale verso un tipo di saggezza moderna (per ora inesistente, a parte l’Antroposofia ) che tenga conto dell’intima struttura dell’uomo, che possa comprendere le divergenze in essa manifeste e valutarle quali catalizzatori di forze future, forze sorgenti per la pace, la fratellanza, l’universalità degli esseri. Forze tuttora sconosciute.
Non ci vuole poi molto per fare una prima connessione con gli insegnamenti della Scienza dello Spirito: “Le virtú piú nobili ed elevate sono le brame piú tenebrose e imprigionanti, capovolte”.
Ma siamo in grado di “capovolgerci” da soli ? La domanda non è oziosa; se non saremo in grado di farlo quanto prima, quello che ci aspetta non sarà un futuro rassicurante né pacifico. Basta analizzare i prodromi attualmente in corso e trarre le debite proiezioni.
L’essere dell’uomo è ben piú vasto e complicato di quel che non sembri. L’astrologia vede nel Sole e nella Luna i due centrali fondamenti dell’interiorità umana: il Sole come “Il Grande Principio Attivo” e la Luna, come “Il Grande Principio Ricettivo”, cosí almeno nella visione dell’astrologa Lisa Morpurgo Dordoni.
Basterebbe questa prima dicotomia per intuire non tanto la difficoltà del nostro rapportarci con la vita e con il mondo, al quale in fondo tutti ci siamo abituati crescendo e invecchiando, ma intendo la difficoltà di armonizzare le separate e diverse facoltà del pensare, del sentire e del volere, che nessuna scuola, nessuna religione, nessuna istituzione sociale ha mai preso in considerazione. Col risultato che soccombendo miseramente davanti ai luoghi comuni, ai comuni sentimenti, a quel tipo di etica, che nel migliore dei casi è diventata una “etichetta”, alla vanesia degli slogan elettorali, agli ammiccamenti disonesti e truffaldini della società dei consumi, qualcuno ha deciso: «Adesso Basta!». Giustamente costui si rivolta contro ogni tipo di regime, fittiziamente paternalistico, incapace di allevarlo e istruirlo in modo adeguato. A dire il vero i vari regimi non hanno neanche tentato di farlo, se non rivestendo i subordinati, secondo la situazione contingente, ora da elettori, ora da contribuenti, ora da lavoratori, ora da assistiti e via dicendo.
Da quasi un secolo e mezzo la Scienza dello Spirito ci ha portati a conoscere le Entità Spirituali vicine all’uomo; abbiamo appreso sull’Io e sull’ego, sul potere originario dell’anima e sulla condizione attuale della medesima, preda del materialismo; abbiamo avuto notizia sul pensiero puro o vivente e su quello ordinario e nominalistico; quindi qualcosa circa le dicotomie interne all’umano la sappiamo, l’abbiamo imparata, magari non ancora portata a conoscenza, ma almeno a livello di nozione astratta è penetrata in noi.
Se vogliamo ad ogni costo scostarci dalla metafisica, possiamo sempre prendere nota delle forti polarità rivaleggianti sottolineate dalla psicologia, anch’esse frontali e di segno opposto: la brama di avere e il desiderio di dare; la simpatia e l’antipatia; la ragione e l’istintività; il dovere di rispondere ai princípi di una morale comune e il diritto di esercitare la propria libera scelta ovunque e comunque.
Che dire inoltre, nel campo della piena fisicità, sul fatto che la forza di gravità viene in qualche modo superata dal bimbo, dapprima costretto a “gattonare”, e che poi riesce ad alzarsi in piedi e assumere la stazione eretta? Non è forse questo il primissimo bilanciamento (del tutto inconsapevole) che il nostro corpo esegue contro e malgrado l’attrazione terrestre?
Data per “normale” la condizione dell’essere umano (trovarsi cioè nel mezzo di forze opponenti, metafisiche, fisiche, psicologiche e telluriche), per quanto tempo ancora dovremo chiederci da dove saltano fuori queste discrasie selvagge di cui trabocca la realtà quotidiana (e mai incontrate attraverso un vero e proprio libero atto ri-conoscitivo); da dove provengono queste scissioni strazianti, che obbligano gli esseri a schierarsi su fronti nemici e conflittuali? Di chi è la morsa tenace che ci costringe a comportarci da marionette impazzite e crudeli, prive di un’avveduta intenzione, ma piuttosto agitate da ignoranza e cattiveria, che avversano chi si presenta davanti ai loro occhi con la casacca del “diverso”?
L’uguaglianza è la base del nostro essere e del nostro diritto di esistere; davanti a questa verità incontestabile, impugnare le varie tendenze politico-religiose, o le inclinazioni sessuali, o di razza e di pelle; farle diventare motivo per riversare all’esterno il male di una cieca incongruenza che macina da tempo dentro di noi, diventa il segno del livello di degradazione al quale siamo stati spinti. Contemporaneamente è il segno della perdita della dignità e dell’equilibrio psico-fisico. Il compito sarebbe stato quello di comprendere e amare prima di ogni altra cosa le polarità opposte che sono in noi, connaturate in noi fin dall’origine, dalla prima Cacciata dall’Eden fino alla Caduta dei nostri giorni, non abbiamo forse vissuto mille tipi di opposizione? Dei e demoni, amore e odio, luce e tenebra; sapienza e ignoranza, salute e malattia, godimento e sofferenza; non li abbiamo mai voluti incontrare con quella vera forza conoscitiva che lo Spirito umano è in grado di produrre in qualsiasi uomo, basta che egli lo voglia e lo decida.
Abbiamo concesso alle opposizioni di operare a loro piacimento nell’intima struttura dell’umano, indomate e implacabili; le abbiamo lasciate prosperare invedute, inaudite, incontrollate; anche quando le coscienze cominciavano a fibrillare per la vergogna e l’umiliazione. Convinti, nel nostro cammino evolutivo, di averle abbandonate al loro destino, hanno provocato un ritorno di fiamma; ora ce le ritroviamo davanti; sono loro il nostro destino; irrisolte artefici di un futuro preoccupante, un futuro che in questo momento dovremo affrontare con le forze dell’anima impegnate invece nella follia di battaglie xenofobe, nel dilemma della libertà sessuale e nella misera confusione in cui si è smarrito perfino il senso naturale della religiosità, tra settarismo e integrazionismo da una parte e abulía cultuale di miscredente dall’altra.
Come ci comporteremo di fronte a questa sfida? Mi si conceda un suggerimento: possibilmente non come i capponi che Lorenzo Tramaglino portava all’avvocato Azzeccagarbugli e che durante il percorso si azzuffavano tra loro!
Angelo Lombroni