Siamo abituati, per tradizione, ad ammirare chi compie azioni fuori dall’ordinario. Eroi sui campi di battaglia, navigatori su mari inesplorati, grandi scienziati.
Fino a pochi lustri fa, l’azione degna di nota era quella compiuta per disinteresse personale, per il bene comune; chi fosse stato sorpreso ad agire per egoismo avrebbe avuto, addirittura, l’ostracismo pubblico, perdendo ogni credibilità.
Per gli inglesi, l’eroe era colui che, potendo di piú, avendo piú possibilità di altri, si sacrificava per la comunità.
Questo atteggiamento ha origini lontanissime, parliamo dell’epoca atlantidea. Quando si accumulava conoscenza grazie alla memoria, e non alla razionalità. Il bagaglio culturale di un uomo era formato da ricordi.
Nelle scuole, ci spiega Rudolf Steiner in Cronache dell’Akasha, si insegnava ad affrontare le situazioni piú comuni della vita, affinché le soluzioni per risolverle fossero il bagaglio di ricordi dell’individuo per affrontare la vita.
Due piú due non faceva quattro per un ragionamento razionale, ma perché ci si “ricordava”, per cosí dire, che avvicinando due mele ad altre due, poi se ne potevano contare quattro.
Ci si basava sul ricordo, dunque, come bagaglio d’esperienza; ma quindi anche sull’esempio, sull’emulazione.
In un passato piú recente, tutto ciò divenne la “scuola di vita”, la bottega d’arte, dove si imparava il mestiere, che ancora oggi ha la sua forza d’apprendimento, spesso piú incisiva della teoria insegnata pedissequamente.
All’epoca, quando ci si trovava di fronte ad eventi nuovi, di cui si affrontavano le difficoltà per la prima volta, si facevano prove su prove, fin quando si trovava la giusta combinazione d’azione.
In questo contesto, fiorí un senso di gratitudine, e quindi d’ammirazione, verso chi riusciva a risolvere questioni della vita per la prima volta e quindi poteva fungere da “ricordo” per gli altri.
Ai giorni nostri, abbiamo ereditato questa predisposizione all’ammirazione verso chiunque faccia imprese fuori dell’ordinario.
Anche se, in questi ultimi decenni, l’esigenza di emulare, di prendere esempio, si sta dirigendo verso una direzione sempre piú egoistica. Cioè, si tende ad ammirare chi riesce a trarre il massimo profitto dalle proprie azioni. Profitto in termini economici, ma anche di popolarità.
L’eroe disinteressato non viene piú compreso nel suo agire. Personaggi come Madre Teresa di Calcutta, oppure in altro campo Giuseppe Garibaldi, se citati, non li si riesce piú ad inquadrare, vengono fraintesi con intenti egoistici, privi di ogni fondamento reale e concreto.
Questo aspetto potrebbe apparire, e senz’altro lo è, come un elemento di decadenza della nostra cultura.
Però ha il grosso merito di spingerci oltre. Di spostare la nostra attenzione.
Proprio perché viviamo in un’epoca cosí egoistica e materialistica, bisogna sviluppare la capacità di valutare l’individuo nel suo reale spessore spirituale, di là dalle azioni che compie.
Questo è lo sviluppo del futuro che ci attende.
Come nel passato si rimaneva incantati dal grande gesto, che solo a determinate condizioni interiori poteva riuscire di compiere, cosí oggi dobbiamo concentrarci a vedere l’essenza morale dell’individuo, perché, ci avvisa il nostro Maestro, il “bel gesto”, il gesto “eroico”, di fronte a particolari situazioni, tutti possono compierlo, e una moralità fuori dal comune non ne è piú il prerequisito essenziale.
Il nostro Eroe, il vero eroe dei nuovi tempi, è proprio un Massimo Scaligero, che ha rinunciato a tutto e ha avuto il coraggio dell’impossibile: realizzare se stesso fino in fondo, il coraggio di realizzare tutto l’insegnamento di Rudolf Steiner.
Siamo in un’epoca molto delicata, nella quale dobbiamo lasciare il seme della pianta che sarà. La Dea “Scienza dello Spirito” deve essere sempre piú conosciuta dall’umanità, e questo potrà avvenire se si svilupperà il seme che noi lasceremo in questa esistenza.
Non dobbiamo compiere azioni mirabolanti, ma costruirne il prerequisito dei nuovi tempi: realizzarci oltre l’umano.
Prendere esempio dai nostri Maestri, non per quello che hanno realizzato di mondano, ma per quello che essi stessi sono diventati; proprio per imitarli nel nostro agire spirituale in noi stessi, non altrove.
Un mio amico diceva: “Torneremo a prendere la spada!”; sicuramente, ma potremo farlo quando avremo realizzato il Divino che è in ognuno di noi: la potenza del Christo, non quella di Arimane o di Lucifero. Dovremmo prima ESSERE, diventare quello che siamo già nel profondo, per poi FARE.
Massimo Danza