L’Equilibrio, Ahrimane e Lucifero

Sacralità

L’Equilibrio, Ahrimane e Lucifero

 

 

Lucifero ed Ahrimane: il male e il male opposto. Essi ci tentano in continuazione perché dominano l’anima la quale si conforma ora all’uno ora all’altro. Per il fatto che l’anima aderisce all’una parte o all’al­tra, essa rinuncia alla Libertà.

 

Esiste però l’Equilibrio, l’Equilibrio in mez­zo ai due. Eppure nemmeno questo è Libertà.

 

Esso è sofferenza. Cosí come il Cristo Gesú venne issato sulla croce in mezzo ai due ladroni e ne soffrí non per il dolore fisico bensí perché il Padre l’aveva abbandonato e infatti chiese: «Padre, Padre perché mi hai abbandonato?».

 

L’Equilibrio tra i due è il punto della sofferenza e della solitudine. Inevitabile. L’Equilibrio va cercato, trovato, realizzato: per superarlo. Realizzato l’Equilibrio, l’uomo è abbandonato dallo Spirito, diventa “povero di Spirito”, ogni sua volontà rivolta all’Equilibrio occupa interamente la sua coscienza nella quale, saggiamente, lo Spirito non entra. Egli è solo con se stesso perché l’Equilibrio non è uno stato di abbandono bensì un tendere continuo per sfuggire alla tentazione dell’ab­bandono ad una delle due Forze opposte. Nella volontà che vuole l’Equilibrio non si può che essere soli, da qui la sofferenza continua che è quasi sempre inavvertita, e, quando sia avvertita per raggiunta maturità, viene sempre ricondotta alla realtà dello Spirito che non c’è piú, che l’anima non riconosce e non incontra. La sofferenza dell’Equilibrio mortifica l’ani­ma, la quale passa da una tempesta al­l’altra per finire poi nel silenzio: tace per mantenere l’Equilibrio.

 

L’Equilibrio appare come momento di saggezza ma è dolore. L’Equilibrio sembra renderci liberi ma non è Libertà.

 

Cristo in croce e risorto

 

Gesù deve morire perché il Cristo risorga. Libertà è risorgere, è andare oltre l’Equilibrio.

 

L’anima liberata non necessita di Equilibrio e incontra nuovamente, e questa volta veramente, lo Spirito.

 

 

La Concentrazione realizza proprio questo. Essa inizia con il tentativo di giungere ad un equilibrio tra il momento dialettico del pensare e il suo svanire nel nulla: dove sia il momento dialettico che il nulla costituiscono le tentazioni. Per­ché l’anima viene affascinata dal procedere dei pensieri dialettici proprio mentre operiamo e parimenti da quel nulla che ci appare come momento adialettico, dunque non pre-dialet­tico del pensare, illudendoci di essere pervenuti al risultato dell’esercizio. Dopo un tempo commisurato alle forze dell’operatore e al suo destino, si giunge ad un equilibrio il quale non appare tale ma si manifesta nella stanchezza dell’anima, nella sfiducia, nel cogliere l’inutilità dell’esercizio ripetuto innumerevoli volte senza risultato… Un nulla che l’anima vorrebbe fosse invece lo Spirito, o una Sua manifestazione riconducibile alla rappresentazione che se n’è fatta mediante la letteratura che Lo riguarda o che riguarda gli esercizi.

 

Vecchio deluso

 

Da quel momento sappiamo che in certo modo non abbiamo illusioni, ossia la forma delle tentazioni, ma nemmeno abbiamo ciò per cui operiamo, quello che consideriamo lo scopo della nostra vita, la decisione presa un tempo come ineluttabile. Lo Spirito, che sembrava soffiare nell’anima quando, giovani forse, abbiamo intrapreso con entusiasmo la via ci ha abbandonati. È un momento assai grave e si può facilmente cadere nella rinuncia, ottundersi, abbandonare il cammino, rifiutare ogni ulteriore attività interiore. Niente sembra realizzarsi, tutto sembra indicare che abbiamo sbagliato, che siamo inadeguati, che non c’è nulla di vero, che lo Spirito è inconoscibile e cosí via. Eppure un filo di volontà ci fa continuare tenacemente nello sforzo crudele di mantenere l’equilibrio che ci rende prigionieri di sé.

 

Occorre andare oltre ma non per movimenti ulteriori, per forza di un esercizio diverso, per una tensione della volontà maggiore, bensí perché semplicemente si vuole andare oltre, abbandonando l’anima ormai silenziosa, si vuole andare oltre perché si è nel mantenere ciò che non si è, ossia l’oggetto della concentrazione, sino a diventarlo: si diventa il pensiero dell’oggetto dell’esercizio, oltre se stessi e dunque oltre l’equilibrio nel quale, invece, siamo maggiormente noi stessi. È l’identità, ossia il balenare dell’Intuizione.

 

Notte buia

 

I fallimenti, le delusioni, la sfiducia che ci coglie è il segno della nostra povertà che diventa ricchezza qualora indichi l’ulteriore procedere. Si deve perdere tutto: anche la fede che possa esistere lo Spirito, che i Maestri incontrati ci abbiano detto il vero, e la speranza che da “Lassù” possa giungere un aiuto che non sarebbe un aiuto ma un ulteriore ostacolo. Questa è la “buia notte dell’anima”, “dove il pensare si perde nel cosmico nulla”.

 

Sergej Luk’janenko

 

Queste riflessioni, che scrivo alle 4 e 11 del mattino del 16 settembre 2009, dopo il vano tentativo di dormire, sono nate dalla banale lettura di un romanzo di fantasy russo. L’autore, Sergej Luk’janenko, non so di cosa parla in realtà. Egli immagina che Male e Bene, Luce e Tenebra, si siano accordate per mantenere il mondo in equilibrio non mancando però di tentare di sovvertirlo a favore dell’una o dell’altra parte. Il protagonista, militante dalla parte della Luce, in certo modo sembra ribellarsi a tutto questo. Come poi andrà a finire la vicenda nei libri successivi, altri due almeno, non so.

 

Amore coppia

 

In realtà non c’è nulla di particolare nel romanzo ed, anzi, le numerose citazioni di testi di canzoni americane, un modo di vivere dei protagonisti chiaramente ispirato all’occidente, può persino dare fastidio. Si cerca anche di giustificare il Comunismo come tentativo abortito della Luce di vincere le Tenebre. Eppure alla fine rimane qualcosa che è veramente l’Anima Russa come viene vissuta ora, in questo momento e non per nulla il ciclo ha avuto in Russia un enorme successo. Si potrebbe dire, da un altro punto di vista, che questa è la risposta russa ad Harry Potter. E si nota pure come nella fantasy occidentale, tranne rari casi, al massimo si giunge ad una forma di moralismo astratto mentre in questo caso non c’è moralismo: bene e male in fondo si equivalgono e viene percepita, molto in profondità – perché forse nemmeno l’autore ne è pienamente cosciente – la presenza di qualcosa di piú, di oltre, e che l’autore senza mezzi termini indica come l’amore tra un uomo e una donna, senza scendere per questo né ad un fatto sessuale e nemmeno mistico o ideale: amore, punto e basta. Dietro sta dunque l’Amore.

 

L’anima russa vive il dramma dell’equilibrio, uno degli aspetti del quale è per esempio quello tra Oriente ed Occidente ben visibile nel corso di tutta la storia russa. Essa anela alla Libertà ma ancora non sa come pervenirvi e si dibatte giungendo purtroppo spesso al suo opposto, alla repressione, alla violenza: dopo Stalin la Mafia o i nuovi gerarchi provenienti dall’ex KGB. Un osservatore direbbe che in Russia lo Spirito proprio non c’è, ma c’è invece la brama di occidentalizzarsi oppure di rifugiarsi in un antico misticismo ortodosso. Ma proprio qui, per i popoli come per i singoli uomini, nasce la possibilità, l’unica, che vi sia di arrivare veramente allo Spirituale. E ciò accadrà, forse tra molti secoli, quanti ne servirono ai barbari germani per meritare che da loro nascesse uno Schiller o un Goethe.

 

Russia cristiana

 

Ma accadrà e coloro che qui ed ora operano in un certo modo dovranno essere pre­senti: la Russia è il luogo della Terra dove, salvo destini particolari, rinasceremo. Se siamo attenti possiamo persino cogliere una sorta di richiamo da quella parte, richiamo che non va confuso con la Russia in quanto Paese per cosí dire politico.

 

 

Renzo Arcon