1. Differenza delle esperienze animiche dell’uomo nella vita post-mortem nei tempi precristiani e successivi.
2. La coscienza dell’uomo di Atlantide; la sua coesistenza con le entità divino-spirituali. La vita nel mondo fisico e spirituale durante le epoche culturali indiana, persiana, egizia e greco-romana.
3. L’evento del Golgota e la manifestazione del Cristo nel mondo dei morti.
4. Il significato di questo evento per i tre mondi in cui vive l’uomo.
Oggi tratteremo un capitolo nell’ambito della Teosofia che, da un lato, si ricollega un po’ a tutte le cose di cui abbiamo potuto discutere qui nel nostro ultimo corso, ma che sotto un certo aspetto è anche del tutto indipendente. Nel contesto che è già stato qui definito, oggi parleremo nuovamente di qualcosa che si applica a coloro che sono piú avanzati, non nel senso di essere avanzati nella comprensione e nella conoscenza, ma evoluti per quanto riguarda quei sentimenti di cui si ha bisogno per recepire verità piú elevate, che molto spesso appaiono al senso materialista come paradossali, come strane, come fantastiche e non nel senso che si dà agli eventi di tutti i giorni, come qualcosa non solo possibile, ma proprio reale.
Oggi vogliamo portare davanti alle nostre anime un capitolo della storia occulta. Tutti noi sappiamo cos’è la storia in senso ufficiale, in senso fisico. Tutti sanno che la storia rappresenta fatti che avvengono nel mondo fisico, fino a dove l’uomo può risalire, sia per mezzo di documenti, registri, tradizioni, oppure come noi che nel campo della scienza spirituale andiamo ancora piú indietro in questa cronaca in base ai documenti spirituali a nostra disposizione, fino al grande diluvio di Atlantide. Osserviamo le epoche culturali che si sono succedute in seguito, risalendo anche oltre questo grande diluvio, che si è conservato come tradizione nelle leggende dei vari popoli, risalendo anche molto, molto indietro nel tempo. Tutto questo è infatti storia, ricercata con mezzi occulti, ma in un certo senso è storia concreta, fisica o piú o meno fisica. Ma esiste anche una storia occulta e la possibilità di avere una storia di questo tipo vi sarà chiara se considererete la seguente riflessione: le anime, prima di trasferirsi in questi corpi delle nostre attuali culture, sono vissute tutte a partire da tutto quello che c’è stato prima, nei corpi di antichi indiani, persiani, egizi-caldei, greco-romani e cosí via.
Quando attraverso le nascite queste anime sono entrate sul piano fisico terrestre, hanno visto ciò che può essere sperimentato sul piano fisico. Queste anime hanno guardato le opere dell’antica civiltà indiana, hanno visto le gigantesche piramidi degli egizi, i templi greci e cosí via. Da questo possiamo farci un’idea di quanto siano progressivi gli eventi che l’uomo attraversa nel corso della storia sul piano fisico della vita tra la nascita e la morte. A questo punto, però, si può porre la domanda: cosa accade quando l’anima attraversa la porta della morte e attraversa la fase della vita tra la morte e una nuova nascita? Queste anime, che ora sono incarnate, sono passate attraverso la morte nell’antica India, nell’antica Persia e cosí via. Tra la morte e la nuova nascita è sempre successa la stessa cosa? C’è forse anche qualcosa come una specie di storia dall’altra parte della vita che attraversiamo tra la morte e una nuova nascita? Le anime hanno sperimentato qualcosa di diverso quando hanno attraversato la porta della morte nell’antica India o nell’antica Persia e cosí via? E stanno sperimentando qualcosa di diverso oggi nel nostro attuale ciclo? Là si sta forse verificando una sorta di successione di eventi?
Proprio come se discorressimo normalmente parliamo oggi di ciò che accade tra la morte e una nuova nascita, come esperienza del periodo del Kamaloka, il periodo del Devachan fino a una nuova incarnazione. Molti antroposofi avranno la convinzione che in tutti i tempi avviene lo stesso. Sarebbe sbagliato crederlo. Infatti, come l’anima, quando attraversa la porta della nascita, sperimenta cose diverse in tempi successivi, cosí anche gli eventi tra la morte e una nuova nascita sono sottoposti a una storia. Oggi discutiamo giustamente di questi eventi come li stiamo trattando, perché è cosí che sono accaduti. Ma anche lí c’è una storia, i fatti non sono sempre gli stessi e oggi vogliamo guardare un po’ alla storia che l’altra parte dell’esistenza dell’aldilà attraversa essenzialmente nel periodo post-atlantico. Per farlo, è bene dare uno sguardo ad alcune cose familiari, al vecchio periodo di Atlantide.
Sapete che in quei tempi di Atlantide la vita era diversa da quella dei tempi successivi. Quando di notte l’anima del vecchio uomo di Atlantide lasciava il corpo fisico ed eterico e viveva nei mondi spirituali, allora le tenebre e l’oscurità non si manifestavano come oggi, ma nella coscienza notturna l’anima era allora nei mondi divino-spirituali ad un livello elevato; gli esseri divino-spirituali erano i loro compagni. L’alternanza tra il giorno e la notte era molto diversa ai tempi degli antichi uomini di Atlantide. Quando l’uomo di Atlantide si risvegliava, cioè quando rientrava nel corpo fisico ed eterico con il corpo astrale e il suo io, allora vedeva gli oggetti esterni non con dei contorni netti come oggi, ma sfocati, proprio come quando usciamo la sera, quando c’è una fitta nebbia di novembre, e non vediamo la luce dei lampioni in modo chiaro e ben delineato, ma circondati da un alone. È cosí che l’uomo primitivo di Atlantide vedeva ogni cosa sul piano fisico, indistintamente.
Progressivamente gli oggetti acquisirono i loro contorni nitidi nella coscienza diurna. Quando la sera usciva dal corpo fisico ed eterico con il corpo astrale e l’Io, non si trovava in un mondo di incoscienza; aveva idee vaghe ma pienamente percepite dei mondi divino-spirituali. E quelli che si sono conservati come nomi e concetti degli dèi, come ad esempio Wothan, Tor, Baldur, Zeus, Apollo, non sono semplici creazioni della fantasia, ma esseri che l’uomo stesso ha conosciuto nell’antica epoca di Atlantide. Poi venne il grande diluvio. La parte piú progredita degli abitanti di Atlantide si spostò dall’Occidente in Oriente, colonizzò le terre europee, si trasferí in Asia e fondò la grande comunità culturale di Manu, che era il capo di questo gruppo altamente evoluto e progredito e che, dall’Asia centrale, diede vita alle varie epoche culturali. Dobbiamo immaginarci che in Asia e in Africa i territori siano stati colonizzati da migrazioni precedenti e successive e da altri popoli, discendenti di epoche piú antiche, e che queste colonie si siano mosse in direzioni diverse per diffondere nuove correnti culturali. Il primo andò dall’Asia centrale all’India. Il Manu, che si trovava in un luogo di clausura per determinati motivi, inviò i suoi primi discepoli in India. Questi divennero gli insegnanti e le guide della prima civiltà post-atlantidea, l’antico popolo indiano. La prima civiltà sorse sotto l’influenza dei primi maestri post-atlantidei: gli antichi e santi Rishi.
Sappiamo già qual era lo stato d’animo di base di questa cultura. I discepoli dei Rishi avevano una certa memoria dei vecchi tempi, di quando erano laggiú in Atlantide, di quando erano ancora compagni e collaboratori degli dèi. Quella era la loro vera casa, nel mondo spirituale. Adesso siamo stati trasferiti nel mondo fisico. Ecco perché in India c’è un grande desiderio di ritrovare la patria spirituale originaria dell’umanità. Le persone si sentivano estranee al mondo fisico. Era un’illusione, una maya, una mera espressione esteriore dello spirituale vero e proprio. Da qui il desiderio dello spirituale, da qui la percezione del mondo fisico come un’illusione, un inganno, una maya. Non amavano ancora il mondo fisico, desideravano ancora il mondo spirituale. Vedevano le stelle, i fiumi, le montagne, ma questo non li interessava ancora. Ciò che accadeva tra la nascita e la morte era un’illusione, una maya. Sapevano che tra la morte e una nuova nascita vivevano nella patria spirituale. Questo era lo stato d’animo fondamentale degli antichi indiani. Ricevevano però continuamente conoscenze e comunicazioni dai mondi spirituali attraverso i santi Rishi, i discepoli del grande Manu.
È bene che ci formiamo alcune idee sulla natura di questi grandi maestri indiani. Chi riesce a farsi un’idea di ciò che a quell’epoca accadeva spiritualmente tra i Rishi e i loro discepoli nella parte settentrionale dell’India, quando guarda questo primo punto di partenza dell’umanità post-atlantidea è, per cosí dire, pervaso da un sentimento di profondissima e santissima riverenza. Ai giorni nostri, dopo che gli uomini si sono spinti cosí lontano sul piano fisico e sono passati a un modo di pensare cosí materialista, se non cerca sempre piú di acquisirla attraverso la scienza occulta, è difficile che qualcuno possa farsi un’idea del tipo di conoscenza che Manu portò, dagli antichi tempi di Atlantide, dall’Occidente all’Oriente. Infatti, anche se fosse posto davanti agli uomini il libro con i dodici capitoli, in cui Manu aveva conservato la tradizione originaria della Terra, in cui era scritto ciò che poteva essere affermato dalle leggi nei tempi antichi, quando gli uomini erano nel seno degli dèi, anche se oggi gli uomini potessero avere accesso a questo libro, non ne capirebbero nulla. Conteneva peraltro le istruzioni che il Manu dava ai suoi discepoli piú intimi e attraverso le quali i sette santi Rishi potevano prepararsi alla loro missione.
Se vogliamo farci un’idea dei santi Rishi, possiamo farlo nel modo seguente: chiunque li avesse visti in vita avrebbe visto in loro delle persone semplici. Durante gran parte della loro vita sono state persone davvero semplici. Ma poi vennero i tempi in cui questi Rishi erano qualcosa di molto diverso dalle persone comuni. Non erano studiosi nel senso moderno del termine; a quel tempo erano i portavoce e gli strumenti di esseri spirituali superiori. Gli esseri spirituali superiori animavano i Rishi in quei tempi antichi e quando i Rishi parlavano non dicevano ciò che sapevano, ma ciò che lo Spirito che era penetrato in loro diceva. L’essere di uno Spirito superiore permeava i santi Rishi fin dentro i loro corpi fisici e si trattava dei sette spiriti planetari che erano a loro volta collegati con la prima cultura umana post-atlantidea di allora, i sette spiriti del nostro universo planetario. Parlarono usando le bocche dei Rishi, che erano solo gli strumenti dei sette reggitori planetari del nostro universo, e pronunciarono allora grandi e significative parole magiche che avevano effetti magici, che non erano solo parole di insegnamento, ma erano ordini per ciò che la gente doveva fare in quel momento, messaggi dal cosmo; cosí parlarono i sette santi Rishi.
Ciò che è contenuto successivamente nella letteratura vedica è solo una debole eco di ciò che di grande e potente è fluito all’umanità dal cosmo stesso come prima manifestazione del divino post-atlantideo attraverso lo strumento dei santi Rishi. Ma i Rishi erano ispirati dagli spiriti planetari solo in certi momenti, quando erano quindi in grado di comunicare agli uomini cose grandi e possenti. In questo primo periodo post-atlantideo, grazie a loro, furono dette cose molto piú grandi e possenti agli uomini quando si trovavano tra la nascita e la morte che nel mondo dell’aldilà; infatti, i Rishi potevano rivelare tutti i misteri ai quali gli uomini non potevano piú aspirare nel mondo fisico. Per gli Iniziati è possibile non solo partecipare alla vita sociale in questo mondo, non solo essere insegnanti in questo mondo, ma anche passare in stati alterni di coscienza e, anche se sono nel corpo fisico, accedere al mondo spirituale e diventarne gli insegnanti tra la morte e una nuova nascita. I grandi Maestri insegnavano qui e là; continuavano a insegnare tra la morte e una nuova nascita. I Rishi erano anche gli insegnanti delle persone nell’aldilà. Lí potevano affermare le stesse grandi verità spirituali di cui potevano parlare qui nel mondo fisico, ma non potevano dire nulla di particolarmente utile ai morti sull’altro lato dell’esistenza, riguardo al mondo fisico. Non c’era nulla in questo mondo che potesse avere valore per la vita dopo la morte. Il vecchio indiano anelava a questa vita tra la morte e una nuova nascita. Era felice di essere in quella vita e non aveva alcuna inclinazione verso la vita fisica. E cosí la vita del vecchio indiano, quando passava nell’aldilà, si presentava in modo tale che egli era consapevole fino a un certo punto, vedeva gli eventi che si svolgevano solo fino a una certa altezza.
Inoltre, perché l’uomo deve fare qualcosa nell’altro mondo, poteva anche lavorarci efficacemente. Le anime degli antichi indiani erano molto piú abili a lavorare in quel luogo che qui. Gli strumenti del mondo fisico erano allora semplici e primitivi. Le persone erano ancora goffe sul piano fisico, ma laggiú possedevano una grande destrezza. Era rimasta in loro da epoche precedenti. Tra la morte e la nuova nascita le persone conducevano una vita piú intensa che qui nel mondo fisico. Là le persone erano piú attive, piú vivaci. Il mondo spirituale dava loro una profonda soddisfazione; tutto era leggero e luminoso dopo la morte.
Poi la storia del mondo continuò. Iniziò la cultura paleo-persiana. Sul piano fisico l’uomo fece qualche progresso, in quanto cominciò ad amare e a voler fare del lavoro sul piano fisico, e sentiva di dover usare i suoi poteri spirituali per lavorare la terra. I Persiani acquisirono un po’ di piú la civiltà ispirata da Manu. Zarathustra divenne allora il grande Maestro. Gli insegnamenti che erano nati dalle ispirazioni dei Rishi passarono ora attraverso Zarathustra nella seconda fase della civiltà. Egli era un grande Maestro e dovette porsi il compito di realizzare un contrappeso a ciò che stava avvenendo da sé. Gli uomini dovevano preferire il piano fisico, la terra fisica, dovevano diventare piú consapevoli, dovevano scoprire i mezzi di cultura, insediarsi nel piano fisico, sentirlo non solo come un’illusione, come maya, ma come una rivelazione dei poteri divini. Ma Zarathustra disse loro: nella materia vive qualcosa di opposto al puro spirituale; mescolato alla materia c’è il potere del male. Ma se vi unite ai servitori di uno Spirito buono, allora, in unione con loro, vincerete ciò che è mescolato alla materia come male.
Non poteva essere altrimenti: c’era già il pericolo di perdere la precedente Illuminazione, di perdere la connessione con lo spirituale in generale. Perciò gli insegnanti avevano il compito speciale, oltre alle storie che raccontavano sul mondo spirituale, di attirare l’attenzione della gente sul fatto che lo spirituale si manifesta nella materia e coloro che erano caduti in una fede esagerata nella materia dovevano essere riportati alla fede nello Spirito, alla fede nel fatto che Dio si manifesta nella materia.
Questo era ciò che Zarathustra aveva da annunciare. Parole potenti quelle che pronunciò. Non è piú possibile evocare nelle lingue di oggi solo un’idea delle parole di fuoco con cui annunciava ciò che poteva ancora vedere, poiché era il successore dei discepoli di Manu. Egli vedeva ancora nel Sole, per esempio, non soltanto il Sole fisico esterno, ma gli esseri spirituali che vivono nel Sole, di cui il Sole fisico è solo la corporeità. Chiamava questi esseri spirituali Ahura Mazda, la grande aura solare, che è poi diventata Ahura Mazdao od Ormuzd. Da qui l’ispirazione per tutti gli insegnamenti che doveva impartire alla seconda epoca culturale, già preda delle tentazioni di Ahrimane. Queste furono le potenti parole che Zarathustra proclamò all’umanità. Egli parlò piú o meno cosí: «Io parlerò, ora udite e ascoltatemi, voi che lo desiderate da vicino e da lontano. Esaminate esattamente ogni cosa. Poiché Egli è manifesto, non sarà piú il falso maestro che distrugge il mondo, colui che è malvagio, che ha confessato la malafede con la sua bocca. Parlerò di ciò che è piú grande nel mondo, di ciò che mi ha rivelato Colui che è potente. Chi non segue le mie parole, come le intendo, sperimenterà la sofferenza alla fine del mondo: Lui, il grande Spirito che anima il mondo, è esteriormente manifesto, e colui che già credeva di poter ingannare gli uomini, colui che dice che la materia è l’unica realtà, non deve vincere, è stato proclamato con parole cosí potenti».
Zarathustra evidenziò allora: quando i tempi saranno compiuti, verrà qualcuno che sarà l’incarnazione in forma umana di tutte le potenze che tessono e s’intrecciano nel mondo, che ora vengono solo proclamate; si chiama Saoshyant e sarà la potenza che vive nel Sole, che ora si può vedere solo attraverso l’involucro esterno, ma verrà in forma umana. Zarathustra annuncia il Cristo in anticipo.
Rudolf Steiner
Conferenza tenuta a Norimberga il 16 dicembre 1908.
O.O. N° 108. Traduzione di Angiola Lagarde.
Da uno stenoscritto non rivisto dall’Autore.