Il lavoro da compiere era questo:
fare del Paradiso terra brulla,
deserto calcinato ingombro d’ossa
e scheletri di macchine da guerra,
vuote clessidre dentro cui la sabbia
precipita nel cavo dell’abisso
che ora è il tempo riservato all’uomo,
ierofante in un tempio dissacrato.
Il compito da svolgere è concluso:
aridità, le Piane di Gedrosia,
anabasi negata ad ogni mare,
armata in rotta della civiltà.
Questi i talenti spesi a procurare
veleni ed affidarli al primo soffio
di vento, perché tutto se ne imbeva,
i sensi, l’occhio, i tendini, la scorza,
e si frantumi il nucleo del cristallo
e ci lasci carbone tra le dita,
amaro prisma senza piú colori.
Il dovere assegnatoci ha trovato
il giusto campo, la misura esatta,
e il mondo paga un debito ad usura
sacrificando vittime innocenti
offese nella propria dignità,
private della piena libertà.
Non piú voli, non guizzi, piume inerti
che invischia e aggruma una spietata nèmesi,
apocalisse sincopata in spasimi.
L’olocausto ha un’offerta di silenzi
e spenti sguardi vitrei di pupille.
Il lavoro da compiere era questo:
togliere lume all’universo, scindere
la materia al suo nòcciolo, immolare
a oscure deità la meraviglia
dell’inatteso, del prodigio, cedere
un regno intero per un pugno d’oro.
Non vedremo piú donne alle fontane,
né a tessere, né a mietere o cantare.
Ora le donne imbracciano fucili,
marciano alla cadenza della morte,
esse, nate per schiudere alla vita
e al suo mistero gli ovuli impazienti.
Non piú le norie dell’Eufrate, i mitici
orti di Babilonia, nei torrenti
di Canaan non piú latte e miele, sangue
scorre nei solchi fulminati d’odio.
Ma il lavoro compiuto è forse l’ultimo
spasmo del bruco prima di sottrarsi
al bozzolo materico di cui
è stato prigioniero per millenni:
metamorfosi in luce è il suo destino.
Altra scelta non ha, non altro còmpito:
liberarsi dai lacci, demolire
muri, bastioni, orgogli, e infine splendere
vivo nel sole per il mondo nuovo.
E avrà la pace dell’arcobaleno.
Fulvio Di Lieto