«Ma io mi ritiro verso la sacra, inesprimibile, notte interiore.
Il mondo è lontano, giú in un avello profondo:
deserto e solitario il luogo.
Nelle corde del cuore soffia profonda nostalgia.
Lontananze della memoria,
desideri della gioventú, sogni dell’infanzia,
di tutta la lunga vita brevi gioie e inutili speranze,
vengono in veli grigi, come nebbie della sera
dopo il tramonto del sole.
In altri spazi aprí le sue tende gioiose la luce.
Non dovrebbe essa tornare di nuovo ai suoi figli,
che con la fede dell’innocenza attendono il suo risveglio?»
Friedrich von Hardenberg (2 maggio 1772-25 marzo 1801) crebbe in una famiglia molto cristiana e iniziò presto a scrivere poesie mistiche e filosofiche, ma già nell’adolescenza scriveva, oltre alle poesie, brevi saggi, traduzioni di autori classici, inizi di opere teatrali e diversi racconti, oggi raccolti in Schriften (“Scritti”).
“Novalis” fu lo pseudonimo da lui scelto nel 1798 per la sua prima pubblicazione Granuli di polline, una raccolta di frammenti poetici e filosofici. Lo pseudonimo deriva da una tenuta di famiglia molto antica, chiamata de novale (“terra desolata”, nel senso che non era coltivata).
I suoi genitori erano affiliati alla chiesa dei Fratelli Moravi del conte Zinzendorf, detti anche Fratelli Boemi, nati in Boemia nel 1462, per i quali la musica era la base delle funzioni.
Dopo il ginnasio, equivalente al liceo, andò all’Università di Jena a studiare giurisprudenza, dove conobbe Friedrich Schiller.
L’anno successivo, il 1791, si trasferí a Lipsia per approfondire la filosofia e studiare matematica.
Nel 1797 a Friburgo si dedicò agli studi della Scienza mineraria per diventare ingegnere minerario e divenne cosí amministratore di giacimenti di salgemma.
Nello stesso anno iniziò a scrivere gli Inni alla notte, dopo aver perduto per malattia la giovanissima fidanzata, Sophie von Kühn, di appena quindici anni, e il fratello Erasmus.
Nel 1800 si ammalò di tubercolosi e morí un anno dopo, il 25 marzo del 1801, nella sua casa di Weissenfels, dove ora c’è un museo a lui dedicato. Non aveva ancora compiuto 29 anni.
Il Fiore azzurro
Poeta, teologo, filosofo e scrittore, Novalis fu uno dei piú importanti rappresentanti del Romanticismo tedesco prima della fine del Settecento.
Nel 1800 iniziò la composizione dell’Heinrich von Ofterdingen, il suo grande romanzo incompiuto, ambientato in un mitico universo medioevale. È in quest’opera che compare il Fiore azzurro (die blaue Blume), il Non-ti-scordar-di-me (Myosotis), simbolo dell’amore eterno, mentre la Fenice è l’amore eterno che supera ogni ostacolo e rappresenta dunque l’eternità delle relazioni.
Il Fiore azzurro è, come lui stesso lo descrive: «la metafora delle metafore della ricerca di se stessi, la realizzazione del proprio sogno, la scienza che si mescola con l’arte, è la pienezza della vita, il significato dell’amore come forza aggregante, è la prospettiva magica che si avvera, è la sintesi degli opposti, è il contatto con l’elemento fantastico, è la miniera dell’animo, l’unione del microcosmo col macrocosmo, è lo scavare in se stessi come fa l’alchimista, è il comprendere la sintesi degli opposti e incontrare il proprio contrario, è l’incontro fra lo Spirito e la materia, è la forza del quotidiano e la consapevolezza. È il viaggio del vagabondo radicale, del viandante sempre in fuga. È il viaggio dell’anima …che non ha termine».
In sé questo Fiore raccoglie tutte le forme della conoscenza che l’individuo deve acquisire per poter raggiungere la perfezione. Una maturazione che si sviluppa attraverso la ricerca personale, l’iniziativa, e non certo aspettando gli eventi in modo casuale.
Rappresenta il desiderio, l’amore e lo sforzo metafisico di accostarsi all’infinito e all’irraggiungibile.
Simbolo centrale di ispirazione, introdotto da Novalis nell’Heinrich von Ofterdingen, il “romanzo di formazione” ispirato da Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister di J.W. Goethe e pubblicato incompiuto dopo la sua morte (1802), il giovane protagonista sogna un Myosotis che lo chiama e assorbe la sua attenzione. Alla fine del sogno vede il volto di una giovane donna che conoscerà nella vita reale e della quale s’innamorerà, Mathilde, e comprenderà che due saranno gli scopi della sua vita, la poesia e l’amore.
Il romanzo medita sottilmente sul rapporto dei sogni con la realtà, tra la vita e la morte e l’indecisione del destino. Il tema dell’Età dell’Oro, su cui hanno scritto tutti i romantici, emerge con forza anche in questo romanzo.
«Il mondo deve essere romanticizzato», scrive nel 1798, e nei Frammenti: «La poesia è realtà assoluta. Questo è il fulcro della mia poesia. Piú una cosa è poetica, piú è reale».
Il Medioevo popolare e cristiano
Il pensiero di Novalis ebbe molta importanza in Europa nel sostituire l’antichità greca con il Medioevo popolare e cristiano, processo che, mediante la musica di Wagner, approdò al Medioevo mitologico germanico.
Il Circolo di Jena, che fu fondamentale per il diffondersi del Romanticismo tedesco in Europa, del quale facevano parte Ludwig Tieck e i fratelli Wilhelm August e Friedrick Schlegel, riconobbe in Novalis un “Maestro” e, dopo la sua morte, si considerarono suoi continuatori.
Madame de Staël, figura primaria del Circolo, nel 1816 diede inizio al movimento dello Sturm und Drang (“Sconvolgimento e Impeto”), caratterizzato dalla rivalutazione del sentimento e dell’irrazionale, in opposizione all’intellettualismo illuminista francese. Fra i valori spirituali tedeschi era riconosciuta la concezione anarchica della libertà dell’individuo e dell’artista e veniva recuperata l’arte gotica, in quanto fonte originaria della cultura germanica.
La Cristianità, ossia L’Europa
Nonostante tutto questo, il saggio di Novalis sull’Europa (1799), dal quale iniziò la rivalutazione del Medioevo cristiano, fu pubblicato solo nel 1826 a causa dell’opposizione di Goethe.
Scritto in un momento particolarmente drammatico per l’Europa – Napoleone, tornato dalla spedizione in Egitto, stava per assumere il potere in Francia; dopo la morte in esilio del pontefice Pio VI, nessuno lo aveva sostituito; le nazioni antifrancesi si stavano preparando per una nuova guerra – quando Novalis lo lesse nel Circolo di Jena, fu male accolto probabilmente sia per non diffondere timore nei lettori, sia perché si ritenne prematuro suggerire soluzioni per il futuro.
Il Romanticismo e la sua fase eroica
Negli articoli e scritti di Novalis sono presenti tutte le posizioni tipiche della fase eroica del Romanticismo. Lo testimonia il frammento giovanile, databile al 1789-1790, in cui parla della poesia e dell’“entusiasmo”.
Definisce la poesia: «figlia del piú nobile impeto e delle sensazioni e passioni piú alte e forti», e in un frammento del 1800 scrive che: «la poesia sana le ferite inferte dall’intelletto. Essa è appunto formata da elementi contrastanti, da una verità sublime e da un piacevole inganno».
Ancora il frammento sulla traduzione, pubblicato su “Athenaeum” – rivista del Romanticismo tedesco, fondata a Berlino nel 1798 dai fratelli Schlegel – distingue tre tipi di traduzione e soprattutto le «traduzioni mitiche che sono traduzioni nello stile piú alto. Esse espongono il carattere puro e compiuto dell’opera d’arte individuale. Non ci presentano l’opera d’arte reale bensí il suo ideale».
Il linguaggio
«Nessuno sa – scrive intorno al 1789-90 – che la peculiarità del linguaggio è quella di preoccuparsi solo di se stesso. Perciò esso è un mistero cosí portentoso e fecondo: se infatti si parla solo per parlare, allora si pronunciano le verità piú splendide e originali. Se invece si vuol parlare di qualcosa di determinato, allora il linguaggio, questo spiritoso, ci fa dire le cose piú ridicole e insensate …Potessimo far capire alla gente che per il linguaggio accade lo stesso che per le formule matematiche: costituiscono un mondo a sé, giocano solo per se stesse, non esprimono altro che la loro meravigliosa natura e proprio perciò sono cosí espressive …solo nel loro libero moto si manifesta l’anima del mondo».
«…Lo scrittore non è che un entusiasta del linguaggio».
Il neoplatonismo di Novalis
L’idea romanticista di Novalis ha radici in Plotino e nel neoplatonismo. Di contro al trionfo del pensiero sistemico, vince in lui un pensiero fortemente orientato al frammentismo, poetico e saggistico. La sua idea centrale è l’“immaginazione creatrice” e quindi magica. Novalis contrappone alla logica dell’intelletto, arida e razionalista, la logica dell’immaginazione che chiama “fantastica”.
La poesia, quando è veramente tale, ossia opera del genio ispirato, ci fa comprendere la realtà dal punto di vista del tutto.
L’idealismo magico
Il pietismo, secondo il quale fu educato Novalis, si opponeva al luteranesimo istituzionale e in lui divenne misticismo che doveva portare all’assoluto. La sua struttura mentale è infatti quella di un mistico.
In uno dei suoi Frammenti scrisse: «Bisogna nobilitare la passione utilizzandola come un mezzo, conservandola a forza di volontà per farne il veicolo di un’idea bella. Per esempio di un’alleanza stretta con un ‘io’ amato».
Dagli Inni e dai Canti spirituali, come dagli aforismi, traspare una sottile malía erotica.
Novalis intrattiene uno stretto rapporto con la filosofia di Fichte, contrapposizione tra Io e non-Io, sempre rivolta a un Io superiore, che per Novalis è irraggiungibile, trasformandola in idealismo magico.
Studia anche l’alchimia, sempre da un punto di vista filosofico, affinché l’uomo possa realizzare appieno la sua essenza.
L’Incontro d’Amore
Nel 1794 a Grüningen, in Svizzera, Novalis incontrò Sophie von Kühn, appena dodicenne, e con lei si fidanzò segretamente nel 1795, ma dopo appena tre anni, nella primavera del 1797, Sophie morí di tisi.
Fu l’amore della sua vita e Novalis visse la sua scomparsa come un’esperienza mistica, filosofica e poetica.
Nel diario che tenne dopo la morte di Sophie, il poeta descrive un’esperienza travolgente, fatta di angoscia ed estasi: la “visione” di Sophie al crepuscolo presso la sua tomba. Era il 13 maggio del 1797.
«Un giorno ch’io versavo amare lacrime;
che, disciolte in dolore,
fluivano scomparendo
tutte le mie speranze;
e me ne stavo solitario
presso l’arido tumulo in cui,
sepolta entro un angusto spazio,
era l’essenza della vita mia;
solitario cosí come nessuno
fu solitario al mondo,
premuto da un indicibile sgomento,
ridotto a non essere ormai
se non il senso stesso della disperazione.
…Il paesaggio, intorno, si sollevò a poco a poco.
Sul paesaggio aliò, dissolvendosi,
il mio spirito risorto. Il tumulo si sfece
in una nuvola di polvere.
E oltre la nuvola io vidi,
trasfigurato, il vólto dell’Amata.
Negli occhi, le riposava l’Eterno.
Presi le mani sue.
Il pianto divenne, tra di noi,
un rifulgente vincolo infrangibile.
Millenni furono spazzati in lontananza,
come uragani. Piansi al suo collo
l’estasi di quella vita nuova.
Fu il primo, unico sogno.
E da quell’attimo soltanto,
s’infuse in me una fede immutabile, eterna,
nel Paradiso della notte.
E nella Luce sua: l’Amata.
Il segreto dell’Individualità di Novalis
Rudolf Steiner nel 1909 rivelò per la prima volta il segreto karmico di questa Grande Individualità, mostrando la connessione tra Novalis, Raffaello, Giovanni Battista e il profeta Elia, l’anima piú antica dell’umanità, che nell’epoca lemurica diede la direzione a tutta l’evoluzione dell’umanità, e a poco a poco la condusse «dal Cielo sulla Terra».
«In un certo senso – prosegue Rudolf Steiner – abbiamo davanti a noi l’individualità di Adamo, il padre primordiale dell’umanità (non Adamo Cadmon della Cabala, che è l’immagine archetipica dell’intera umanità, ma la concreta individualità umana che fu una delle prime a intraprendere il cammino delle incarnazioni terrestri). Adamo, padre primordiale dell’umanità, è strettamente collegato fin dall’inizio alla “grande Loggia Madre guidata da Manu”».
Grande Iniziato dei Misteri solari, Manu era il Maestro di tutti i grandi Iniziati, dai Rishi vedici a Zoroastro. Egli non aveva né padre né madre né stirpe e veniva inviato dall’Altissimo per fondare civiltà, guidare popoli e per consacrare grandi personalità spirituali, trasmettendo loro la dignità di “re-sacerdoti in eterno” secondo il proprio ordine. Fu cosí che, sotto il nome di Melchisedek, che in ebraico significa “re di giustizia”, egli si recò presso Abramo per fondare il rito che in un tempo ancora lontano il Cristo Gesú avrebbe istituito la sera dell’Ultima Cena: l’Eucarestia. Melchisedek, che era anche re di Salem, nome connesso alla parola ebraica shalom (“pace”), giunse presso Abramo col suo seguito e un mulo, carico di pani schiacciati e un grande recipiente pieno di succo d’uva.
Sull’altare che Abramo, avvertito del suo arrivo, aveva fatto preparare, il re-sacerdote pose del pane e del succo d’uva in un antico calice. Li elevò, li benedisse e distribuí i pani. Abramo bevve dal calice e a lui Melchisedek lo affidò in custodia. Infine benedisse il patriarca, trasmettendogli la dignità di “re-sacerdote in eterno” secondo il proprio ordine. Questo rito, secondo la Emmerick, fu compiuto su un’altura nella valle di Giosafat. Egli (cfr. C. M. Brentano, La Passione secondo Anna Katharina Emmerick, Tilopa) indossava un lungo abito bianco di una luminosità accecante, il suo volto era splendente e in tutta la figura esprimeva una mite maestosità.
Di Novalis dice Marie Steiner: «È come se un filo rosso avesse attraversato le sue manifestazioni di saggezza: il mistero di Novalis, Raffaello e Giovanni».
E Ita Wegman infine: «Esistono due correnti di Michele: la prima si allaccia a Michele stesso, lo spirito solare, la seconda è guidata da Elia».
Alda Gallerano