Sagarmatha, la montagna tradita

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Sagarmatha, la montagna tradita

L’Everest, il Sagarmatha dei tibetani

L’Everest, il Sagarmatha dei tibetani

 

Dovrò attingere a ricordi di una esperienza che mi vide in quei luoghi nella primavera del lontano 1981 quando, con un piccolo gruppo, ci accingemmo a percorrere il tragitto da Kathmandu fino alla base dell’Everest, il Sagarmatha dei Tibetani.

 

Erano anni allora in cui il turismo di massa non aveva invaso quelle valli, e poche erano le spedizioni alpinistiche che ottenevano il permesso per recarsi lassú. Noi pure, dopo anni di attività in montagna sulle Alpi, vedevamo coronare un sogno che per quei tempi era ancora per pochi: un av­vicinamento in stile alpino al piú alto degli ottomila, con l’obiettivo di tentare una salita se pur su una cima minore.

 

Fu un percorso durato settimane che mi portò a con­tatto con la realtà di luoghi, villaggi, e la sacralità che ancora pervadeva quelle valli. Avevo con me l’essenziale, in uno zaino in cui ciò che non c’era era perché se ne poteva fare a meno. Solo verso la conclusione del viaggio facemmo affidamento su Sherpa e i loro yak per il trasporto del materiale piú pesante in quota.

 

Per me, proveniente da una valle alpina, l’incontro con le genti di lassú fu piú facile: vedevo in loro l’essenzialità e la dignità degli alpigiani delle mie valli, ci si intendeva con un poco di inglese e della loro lingua.

 

Una famiglia tibetana

Una famiglia tibetana

 

Spesso ci capitò di essere ospiti nelle loro case ad ascoltare i loro progetti per un futuro migliore, per loro e i loro figli; conoscemmo  cosí il maestro elementare che insegnava nel villaggio, il medico, artigiani e contadini, le donne che condividevano con i loro uomini il lavoro e la crescita dei figli con pari dignità; avemmo occasione di entrare anche nei loro templi, per lo piú buddisti, assistere alle loro cerimonie, all’incinerazione dei defunti sulle pire. Forse eravamo accolti perché pochi, e tutti con una particolare sensibilità per la loro cultura e le loro tradizioni. Non eravamo turisti ma esploratori di un mondo che di lí a breve sarebbe cambiato.

 

Nel giro di pochi anni quei luoghi si sarebbero trasformati per accogliere “turisti”, che prendevano il posto di chi, ancora come noi, viaggiava nel Tibet con l’animo dei romantici degli anni ’30. Si sarebbe assistito di lí a poco alla profanazione di culture e religioni, dove una responsabilità l’ebbero anche governanti e ministri del culto locali. L’invasione cinese e un terremoto disastroso fecero il resto.

 

Nel titolo scrivevo “Montagna tradita”: il Sagarmatha, la “Madre dell’Universo” nell’antica lingua sanscrita, è il nome originario dell’Everest, montagna sacra da millenni per le popolazioni del Tibet, una Madre tradita da interessi che ormai viaggiano con i Tour operator, i quali, col miraggio della vetta piú alta del globo, spremono migliaia di dollari ad alpinisti spesso improvvisati, che in condizioni precarie di sicurezza possono dire di aver posato i piedi sulla cima.

 

Un'immagine emblematica di un Campo Base Everest

Un’immagine emblematica di un Campo Base Everest

 

Immagini di file interminabili in attesa del loro turno, ac­calcati su cenge e creste, magari impreparati ad affrontare le difficoltà dell’altitudine, alla mercé di cambiamenti climatici, slavine e crolli di seracchi in cui i morti non si contano.

 

Per non parlare dei residui che i campi base lasciano dopo le soste, imbrattando la montagna.

 

Questo è fare violenza alla sacralità di quei luoghi, che gli Dei hanno eletto a loro dimora. Cime un tempo interdette per­ché ritenute luoghi sacri vengono lasciate salire in nome del profitto. Questo è l’oggi, e ormai anche nelle nostre Alpi e nella montagna in genere prevale la logica di rendere accessibile tutto a tutti.

 

L’Ama Dablam

L’Ama Dablam

 

Anche l’Ama Dablam, la “Dea del Turchese”, allora vietata alla pratica alpinistica, è stata poi resa accessibile. Rimane il Kailash, nel Tibet Occidentale, alto 6.638 metri, considerato sacro dall’in­duismo, perché dimora di Shiva, e dal buddhismo in quanto Centro dell’Universo. Ma quanto durerà?

 

Il Namche Bazar

Il Namche Bazar

 

Anche il Machapuchare, alto 6.993 metri, nel massiccio del­l’Annapurna e infine il Gangkhar Puensum tra la Cina e il Bhutan, con la vetta di 7.570 metri, non sono mai stati saliti poiché il Bhutan lo vieta per ragioni di carattere spirituale.

 

Il tempio di Swayambhunath

Il tempio di Swayambhunath

 

Qualche segnale di inversione di tendenza lo si può però cogliere in alcuni scalatori, sempre piú numerosi, che rifiutando le logiche di mercato e la competizione, tornano a frequentare valli e cime meno note.

 

Tessitura della lana di yak nella Valle del Khumbu

Tessitura della lana di yak

 

Accade anche che alcuni giovani decidano di stabilirsi lí, dove ancora si può cogliere il respiro delle Entità che attendono il ritorno di una umanità che, in quei luoghi piú vicini al cielo, riesca ad accogliere i valori dello Spirito.

 

 

Davide Testa