Riguardo a quanto da me raccontato, di esperienze vissute accanto a Massimo Scaligero, ho avuto alcuni riscontri positivi e altri di dubbio o di incredulità. È comprensibile, e questo mi ha sempre frenato, in passato, dall’esternarle. Ma credo che forse, senza che io abbia l’esigenza di essere creduta, sia importante mostrare cosa può essere il frequentare un Maestro e trarne il giusto insegnamento.
Quello di cui oggi vorrei parlare è un fatto avvenuto una domenica mattina in una delle visite al Guadagnolo. Normalmente io rimanevo nella zona iniziale, e attendevo che Massimo tornasse verso l’ora di pranzo. Si addentrava molto avanti nella parte piú montagnosa, e io non ero sicura di poter affrontare l’impervia strada, oltre a riconoscere la sua necessità di solitudine.
Ma quella mattina lui mi chiese di proseguire insieme. Camminava avanti a me con passo leggero ed elastico, che era il suo passo normale: sembrava lento e ponderato, ma ugualmente io faticavo a seguirlo, come se corresse. Il paesaggio si faceva molto diverso da quello piú dolce della parte attigua alla strada. Il piccolo sentiero che seguivamo si stringeva e c’erano dirupi da superare. Non sono mai stata una grande camminatrice, neppure in gioventú, ma volevo stare al passo e cercavo di andare avanti con la volontà, non con l’abitudine che molti sviluppano con la ripetizione e anche la passione per la montagna.
Improvvisamente, quando eravamo già saliti molto in una zona di difficile prosecuzione, Massimo si staccò dal sentiero e semplicemente camminò sul nulla, sopra la stretta gola, fino al centro. Io ero incapace di andare avanti ed ero indecisa se e come tornare indietro. Lo guardavo, sospeso nell’aria in modo assolutamente naturale, e da lí mi faceva cenno di andare verso di lui. Ero ghiacciata dalla testa ai piedi, una grande paura si era impossessata di me. Pensavo che sarei caduta nel vuoto e sarei morta. Ma Massimo continuava a incitarmi a muovermi verso di lui. La mia fiducia era grande, ma quella era una prova troppo forte, non riuscivo a vincermi. Poi, all’improvviso, una strana pace entrò dentro di me, e con sicurezza mossi verso di lui, camminando sul vuoto come su un soffice tappeto. Quando arrivai presso di lui, Massimo mi disse: «Hai visto che non era difficile? Basta solo vincere la paura!».
Subito dopo mi ritrovai a camminare sulla via del ritorno, con una normalità che stentavo a credere, ma era vera. Pensavo a quello che avevo sperimentato, e nel pensarlo maturavo la convinzione che quanto era accaduto si era svolto non sul piano fisico ma su quello astrale. Non potevo credere che fisicamente avessi camminato sul vuoto! Ancora oggi non so se la cosa sia avvenuta fisicamente o solo nella dimensione astrale, ma l’effetto era reale: sentivo le mie gambe muoversi e il passo reggersi bene su quel vuoto denso di soffice stabilità.
Non ne abbiamo piú parlato. Massimo non voleva portare sul piano dialettico una prova che doveva restare sul piano interiore. Però spesso mi parlava di quanto il fisico possa superare prove che sembrano non appartenere alle sue possibilità. Mi aveva regalato un libro che riteneva importante che io leggessi. Il titolo era Zenn, Amours mystiques, una versione francese del libro The Garden of Vision, di una scrittrice teosofa, Elizabeth Louisa Moresby – nata a Queenstown, in Irlanda, e morta a Kyoto, in Giappone – la quale oltre al suo nome utilizzava spesso nei suoi libri il cognome del suo secondo marito, firmandosi L. Adams Beck. Molti furono i suoi romanzi e racconti, tutti di ambientazione orientale. Questo in particolare si svolge in Giappone, in un tempio buddista, nel quale una inglese si reca per divenire una monaca e trova l’amore, naturalmente un amore mistico e non sensuale. Dopo un seguito di avventure e di superamenti che è necessario fare per sviluppare il giusto accoglimento della dottrina Zen, c’è un momento drammatico in cui lei chiama il suo amore lontano perché torni. E qui avviene che lui corra piú veloce del vento per raggiungerla. Si parla in quel caso dello studio che molti Maestri buddisti compiono per arrivare a quel superamento delle difficoltà fisiche, che scompaiono per dar luogo a una vittoria sulle barriere della materia.
Nel suo libro Dallo Yoga alla Rosacroce Massimo parla di una “singolare esperienza della dimensione eterica” avvenuta in Sardegna, quando aveva quindici anni: «Grazie al ritmo del camminare e all’àmbito di primordialità pura delle forze in cui movevo, grazie al silenzio e alla pace, possenti sino alla solennità, ebbi d’un tratto, nella forma possibile alla struttura interiore propria alla mia età, la prima esperienza del pensiero vivente. Procedendo a passo veloce ma uguale e lieve, andavo facendo una sintesi della mia vita e del suo significato, quando sentii al centro di essa, resasi quasi visibile, la forza del pensiero come una luce che tendeva a penetrare nell’anima e che mi avrebbe rivelato nel tempo il senso di tutto ciò che per ora semplicemente mi appariva: percepii la connessione di questa luce con l’essenza delle cose, dell’uomo e dell’Universo. …Vi fu un momento in cui, guardandomi intorno, mi parve di essere circondato da entità e da archetipi: sentii la gioia di ravvisare in me il fluire della Luce, come una forza operante in tutto l’essere, e di un tratto constatai che il mio corpo perdeva peso. Non osai forzare l’esperienza, una prudenza mi tratteneva, ma sapevo bene che, se avessi insistito nella percezione della forza-luce, avrei potuto sollevarmi da terra: il mio passo divenne veloce e privo di sforzo: quasi correndo percorsi i rimanenti chilometri di quella solitaria strada della Gallura».
E dunque, essendo la natura fisica sorretta dall’eterica, e questa a sua volta dalla spirituale, tutto è possibile, anche comandare ai venti impetuosi e farli calmare, o chiedere al Sole di fermarsi, come ci racconta la Bibbia.
Un giorno Massimo mi disse che ciò che noi studiavamo del sistema copernicano era del tutto errato, e anche quello tolemaico, pur essendo migliore, non era sicuramente esatto. E disse ancora che un giorno avremmo compreso le vere leggi della natura, quando finalmente avremmo guardato con l’occhio della contemplazione la realtà che ci circonda. Anche il folle roteare della Terra, secondo quanto ci raccontano, è solo fantasia.
«Ma allora, dissi io, cosa sostiene la Terra dal non precipitare nel vuoto cosmico?». Lui mi rispose: «Tutta la materia è retta dalla stessa cosa che regge l’intera Terra: lo Spirito!».
L’uomo attuale, lo studioso dei massimi sistemi, l’architetto che costruisce grattacieli dalle forme fantasmagoriche, lo scienziato che prepara medicamenti o vaccini per sistemare a dovere la popolazione mondiale, tutti prescindono dalla controparte spirituale della materia, la quale semplicemente non viene neppure presupposta. Ma essa esiste, le sue leggi sono ineluttabili, e si manifestano anche quando si cerca di nasconderle, tacitarle, insabbiarle. E tali leggi prescindono da quelle puramente materiali: esse le governano e le superano. Sta a noi aprire gli occhi della mente e del cuore per conoscerle e finalmente metterle al centro di una nostra rinnovata civiltà.
Marina Sagramora