Il lavoro non si compra

Critica sociale

Il lavoro non si compra

La funzione imprenditoriale  è strettamente connessa con l’applicazione del princípi della divisione del lavoro. L’essenza del capitale va, a nostro avviso, ricercata in questa direzione. Essa appartiene all’intima interiorità dell’uomo, non può dunque essere un patrimonio collettivo presente spontaneamente in tutti coloro che lavorano.

 

Imprenditore e operai

 

Dietro al capitale inteso come quantità di denaro, come impianti, stock di merci vi è dunque una precisa dote umana che si assume il compito di trasferire la divisione del lavoro sociale all’interno di una azienda, ponendo la forza di questo principio al servizio di una ideazione imprenditoriale che si realizzerà in una merce con un valore d’uso, in un oggetto rivolto a esaudire le esigenze altrui. Cosí come la divisione del lavoro, applicata a tutta la società, rappresenta per il suo potenziale altruismo una forza produttiva enorme, lo stesso si può dire quando essa viene applicata all’interno di una azienda mediante il contributo spirituale dell’imprenditore che si fa incontro alla capacità di donazione dell’operaio, creando cosí quel clima di collaborazione dal quale ha tratto forze ogni economia sana.

 

La positività del contributo dell’imprenditore non è alterata dal fatto che egli pervenga a una accumulazione. Ci sembra una interpretazione non completa ritenere che il capitalista si limita a consumare per i suoi fini la forza-lavoro che ha comprato. Lo stesso Marx ammette. «Naturalmente la natura generale del processo lavorativo non cambia per il fatto che il lavoratore lo compie per il capitalista invece che per se stesso» (da: Il Capitale).

 

Se si guarda piú a fondo si può scoprire infatti che ciò che viene comprato o venduto non può essere il lavoro (o la forza-lavoro) ma la merce, o la parte di merce, che l’operaio produce. Quanto viene scambiato non è il lavoro, che appartiene a un’altra dimensione in quanto atto umano che continuamente si rinnova, ma la merce. In sostanza quello che si avvia verso la circolazione, con la conseguente valutazione in denaro, è sempre il prodotto. Il lavoro che ha contribuito alla sua fabbricazione non è una quantità valutabile con la stessa misura di una merce; esso appartiene all’intima forza dell’uomo, all’impulso spirituale che fa muovere i suoi arti (che non è interamente determinabile nemmeno bio-chimicamente), alla sua capacità di applicazione e di esecuzione e quindi alla sua intelligenza, alla sua dedizione e quindi alla sua moralità. Si crede di pagare il lavoro, ma ciò che viene comprato e venduto è sempre un prodotto o un servizio: solo questi vengono effettivamente valutati economicamente in base alla loro qualità, al costo di produzione, alla loro quantità e alla loro utilità.

 

Naturalmente chi si dedica a una qualsiasi attività deve trarre da questa i mezzi per vivere, o meglio deve ricevere dagli altri quelle merci e quei servizi che gli consentano di esaudire, nel senso piú lato le sue necessità per poter continuare a esercitare il suo compito. Nel giusto prezzo di una merce dovrebbe essere contenuto, oltre al profitto per l’imprenditore, oltre ai diversi costi di produzione e ammortamento, anche quanto deve essere devoluto a chi ha donato il suo contributo di lavoro. Questo a prescindere, entro certi limiti dalle ore di lavoro impiegate o dalla quantità di merci prodotte, dal momento che il diritto alla vita di ogni uomo non può essere condizionato in nessun caso dalla vicenda economica.

 

 

Argo Villella

 


 

Selezione da: A. Villella Una via sociale Società Editrice Il Falco, Milano 1978.