La natura del sonno

Antroposofia

La natura del sonno

Signora addormentata

 

È nella tipologia delle osservazioni scientifiche attuali che fenomeni come quello a cui oggi vogliamo dedicare questa conferenza siano, in linea di principio, molto poco discussi all’interno della scienza convenzionale. Eppure, tutti dovrebbero sentire che il sonno è qualcosa che interferisce con i nostri fenomeni vitali, come se i piú grandi enigmi della vita ci venissero svelati attraverso di esso. Questo aspetto misterioso e significativo del sonno è stato probabilmente sempre intuito quando si parlava del sonno come del “fratello della morte”. Oggi dovremo limitarci a parlare del sonno in quanto tale, in quanto le considerazioni sulla morte saranno esaminate sotto molti aspetti nelle conferenze successive.

 

Tutto ciò che una persona deve considerare in senso assoluto come parte della sua esperienza animica, tutte le idee che sorgono e tramontano dal mattino alla sera, tutte le sensazioni e i sentimenti che compongono il dramma dell’anima umana, tutti i dolori e le sofferenze, persino gli impulsi della volontà, affondano, per cosí dire, in un’oscurità indeterminata quando la persona sprofonda nel sonno. E alcuni filosofi potrebbero, per cosí dire, smarrirsi quando parlano dell’essenza dell’anima, dell’essenza dello spirituale, che si rivela nella natura umana e di cui devono tuttavia ammettere che nel corso di ogni giorno – per quanto bene si sia lasciata imbrigliare in concetti e idee e per quanto bene sia stata studiata – sembra fondamentalmente perdersi nel nulla. Se osserviamo i fenomeni della vita dell’anima nel modo in cui siamo abituati a vederli, sia scientificamente che in termini profani, allora dobbiamo sostanzialmente dire che essi si estinguono durante lo stato di sonno, che sono scomparsi. Se si riflette piú profondamente, se si vuole solo considerare ciò che si esprime dall’anima nel corpo, l’essere umano è, in un certo senso, ancora piú enigmatico. Infatti, le funzioni corporee vere e proprie, le attività corporee, continuano durante il sonno. Scompare solo ciò che di solito definiamo “animico”. Se stiamo parlando di fisico e spirituale nel senso giusto, l’unica domanda da porsi è se comprendiamo davvero questo spirituale nella sua interezza in ciò che sembra spegnersi quando ci addormentiamo. Oppure, se prescindiamo del tutto da considerazioni scientifico-spirituali o antroposofiche, se anche l’osservazione ordinaria della vita può mostrarci che questo spirituale è altresí attivo, che dimostra la sua efficacia anche quando si è immersi nel sonno. Tuttavia, se si vuole fare un po’ di chiarezza riguardo a questi concetti, si potrebbe anche dire che, se si vogliono osservare nel senso giusto i fenomeni della vita in questo ambito, bisogna porre davanti all’anima dei concetti precisi.

 

A titolo introduttivo, vorrei ricordare fin da adesso che la Scienza dello Spirito o Antroposofia non è in grado di parlare di questo argomento in modo cosí generale come oggi si ama fare. Quando oggi parliamo della natura del sonno, parliamo solo del sonno dell’essere umano. Infatti, la Scienza dello Spirito sa molto bene – questo aspetto è stato trattato in molti modi nell’ultima conferenza a proposito di altri temi – che ciò che sembra esprimersi allo stesso modo in questo o quell’aspetto esteriore in diversi tipi di esseri, può essere basato su cause molto diverse all’interno degli esseri considerati. Lo abbiamo evidenziato per la morte, per l’intera vita spirituale e per lo sviluppo della vita spirituale negli animali e negli esseri umani. Oggi sarebbe eccessivo parlare del sonno degli animali. Vogliamo quindi dire in anticipo che tutto ciò che viene detto oggi riguarderà solo il sonno dell’uomo.

 

Allo specchio

 

Noi esseri umani siamo in grado di parlare di fenomeni mentali all’interno di noi stessi – ognuno lo percepisce – attraverso la nostra coscienza, attraverso il fatto che abbiamo la consapevolezza di ciò che immaginiamo, di ciò che vogliamo, di ciò che sentiamo. A questo punto si pone la domanda straordi­nariamente importante per le nostre osservazioni odierne: possiamo associare il concetto di coscienza, cosí come lo conosciamo per la normale coscienza dell’uomo nel presente, al concetto di anima o di Spirito nell’uomo? Per chiarire questi concetti, vorrei usare un paragone. Una persona può camminare in una stanza e può non vedere nulla del proprio aspetto in nessun punto della stanza dove si trova. Solo in un punto può vedere qualcosa della propria immagine, dove può guardarsi in uno specchio. La forma del suo volto gli si presenta nell’immagine. Non fa forse una grande differenza per l’uomo se si limita a girare per la stanza e a vivere in se stesso o se vede anche ciò che vive nell’immagine speculare? Questo potrebbe forse essere il caso per la coscienza umana, in un modo un po’ piú esteso. L’uomo potrebbe, per cosí dire, vivere la sua vita animica e questa stessa vita animica – cosí come la vive – dovrebbe prima arrivare alla sua conoscenza, alla sua coscienza, attraverso il fatto che gli si presenta in una specie di specchio. Potrebbe benissimo essere cosí. Potremmo dire, ad esempio, che è abbastanza concepibile che la vita animica umana continui, indipendentemente dal fatto che l’essere umano sia sveglio o addormentato, ma che lo stato di veglia consiste nel fatto che l’essere umano percepisce la sua vita animica attraverso un riflesso – diciamo attraverso un riflesso innanzitutto all’interno della sua corporeità – e che non può percepirla nello stato di sonno perché non si riflette nella sua corporeità.

 

All’inizio questo non dimostrerebbe nulla, ma almeno avremmo acquisito due concetti. Avremmo potuto distinguere tra la vita dell’anima in quanto tale e la realizzazione della vita dell’anima. E potremmo pensare che per la nostra coscienza, per la nostra conoscenza della vita dell’anima, cosí come ci troviamo attualmente nella normale vita umana, tutto dipende dal fatto che riceviamo la vita dell’anima riflessa attraverso la nostra corporeità, perché se non la ricevessimo riflessa non potremmo sapere nulla di essa. In questo caso saremmo completamente in uno stato simile al sonno. Ora che abbiamo acquisito questi concetti, proviamo a visualizzare l’aspetto della vita di veglia e di sonno, per portarlo un po’ piú vicino alle nostre anime.

 

Chi è veramente in grado di osservare la vita, può sentire molto chiaramente, si potrebbe dire quasi vedere, come si svolge realmente il momento dell’addormentarsi. Può percepire come le idee, i sentimenti si indeboliscano, diminuiscano di luminosità, di intensità. Ma non è questa la cosa piú importante. Mentre una persona è sveglia, vive in modo tale da creare un ordine in tutta la sua vita immaginativa a partire dal suo Io autocosciente, riassumendo, per cosí dire, tutte le idee con il suo Io. Infatti, nel momento in cui nella vita di veglia non riassumiamo le nostre idee con l’Io, non siamo in grado di condurre una normale vita animica. Avremmo un gruppo di idee che ci riguardano, che chiameremmo le nostre idee, e un altro gruppo che guarderemmo come qualcosa di estraneo, come un mondo esterno. Solo le persone che sperimentano una scissione dell’Io, che è una condizione patologica, potrebbero avere una simile scissione della loro vita immaginativa in ambiti diversi. Nelle persone normali, l’essenziale è che tutte le idee si concentrino come su un punto della percezione: l’Io autocosciente. Nel momento in cui ci si addormenta, si percepisce chiaramente come l’Io sia, per cosí dire, inizialmente sopraffatto dalle idee, anche se queste diventano piú confuse. Le idee affermano la loro indipendenza, vivono di vita propria, nell’orizzonte della coscienza si formano, per cosí dire, nuvole individuali di idee e l’Io si perde nelle idee. Allora la persona sente come le percezioni sensoriali della vista, dell’udito e cosí via diventino sempre piú ottuse e sente infine gli impulsi della volontà come paralizzati. Ora dobbiamo sottolineare un aspetto che in realtà è già chiaramente osservato da alcune persone.

 

Infatti, mentre nella vita diurna l’uomo vede le cose con contorni definiti, al momento di addor­mentarsi sente che qualcosa di simile a una nebbia indefinita si manifesta, a volte accompagnata da un raffreddamento, a volte con altre sensazioni, in alcune parti del corpo: nelle mani, nelle articolazioni, nelle tempie, nella colonna vertebrale e cosí via. Sono sensazioni che la persona che si addormenta può osservare abbastanza bene. Si tratta – si potrebbe dire – di esperienze banali che, se si vuole, si possono fare ogni sera quando ci si addormenta.

 

Le persone che osservano il momento dell’addormentarsi, grazie a un allenamento piú accurato della loro vita animica, hanno esperienze migliori. Possono quindi sentire qualcosa di simile a un risveglio, nonostante il fatto di addormentarsi. Quello che adesso vi racconto può essere detto da chiunque abbia appreso alcuni metodi per osservare realmente queste cose, poiché si tratta di un fenomeno umano generale. Nel momento in cui le persone sentono qualcosa come un risveglio mentre si assopiscono, si può davvero dire: si risveglia qualcosa come una dilatazione della coscienza, qualcosa come la moralità dell’anima. È proprio cosí. Ed è particolarmente evidente nel fatto che queste persone fanno osservazioni sull’anima in relazione a ciò che hanno vissuto precedentemente nel giorno e che le rende soddisfatte nella loro propria coscienza. Lo sentono in modo particolare in questo momento di risveglio morale. Allo stesso tempo, questa sensazione è del tutto opposta a quella del giorno. Mentre il sentimento del giorno si manifesta nel modo in cui le cose si presentano a noi, la persona che si addormenta sente come se la sua anima si riversasse su un mondo che ora si sta risvegliando e che comprende soprattutto un protendersi, un riversarsi del sentimento su ciò che l’anima può sperimentare attraverso se stessa come attraverso una coscienza in espansione in relazione alla sua interiorità morale. Questo è poi un momento, che sembra molto piú lungo per la persona che si addormenta, di beatitudine interiore, quando si tratta di espandersi sulle cose con cui l’anima può essere d’accordo, e spesso è una sensazione di profonda sofferenza quando deve rimproverarsi. In breve, la persona morale, che durante il giorno è colpita dalle piú forti percezioni sensoriali, si rilassa e si sente particolarmente bene nel momento in cui si addormenta. Chiunque abbia acquisito un certo metodo o forse anche solo una sensazione in relazione a tali osservazioni, sa che in questo momento si risveglia un certo desiderio, che possiamo descrivere in questo modo: si desidera che questo momento si prolunghi all’infinito, che non finisca. Ma poi arriva qualcosa come una scossa, una specie di movimento interiore. Per la maggior parte delle persone è estremamente difficile da descrivere.

 

La goccia di colore

 

La ricerca spirituale può naturalmente descrivere questo movimento interiore in modo molto preciso. È, per cosí dire, una richiesta che l’anima fa a se stessa: ora devi estenderti ancora di piú, espanderti ancora di piú! Ma facendo questa richiesta, l’anima si perde nella vita morale che la circonda. È come gettare una piccola goccia di colore nell’acqua e farla sciogliere: all’inizio si vede ancora il colore, ma quando la goccia si espande in tutta l’acqua, esso si affievolisce sempre di piú e alla fine scompare l’aspetto del colore in quanto tale. Cosí avviene quando l’anima comincia a dilatarsi, a vivere nel suo riflesso morale, quando sente ancora se stessa; ma poi il sentire cessa quando si verifica la scossa, il movimento interiore, proprio come la goccia con il suo colore si perde nell’acqua. Questa non è una teoria, può essere osservata ed è accessibile a tutti, cosí come un’osservazione scientifica è esattamente accessibile a tutti. Se però osserviamo il fatto di “addormentarsi” in questo modo, possiamo comunque dire: addormentandosi, l’essere umano intercetta qualcosa che, diciamo cosí, dopo non può piú essere presente nella sua coscienza. Se adesso posso usare le due stesse idee sviluppate in precedenza, l’uomo ha un momento in cui, per cosí dire, si congeda dallo specchio del vivente, in cui gli appaiono riflessi i fenomeni della vita. E poiché non ha ancora la possibilità di permettere che ciò che si riflette nel corpo si rifletta in qualcos’altro, cessa per lui la possibilità di percepire ciò che è.

 

Congedo dallo specchio

 

Se non si vuole essere completamente ottusi e ostinati nei confronti di ciò che riguarda l’anima e sull’effetto di ciò che si perde in un’oscurità indefinita, si possono percepire in un certo senso anche i fenomeni del giorno. In un altro contesto ho già sottolineato come chi è costretto a memorizzare questo o quello, cioè a imparare le cose a memoria, ci riesca molto piú facilmente se ci dorme sopra piú spesso, e come il piú grande nemico della memorizzazione sia la mancanza di sonno. Se si vuole imparare qualcosa a memoria in una sola volta esiste addirittura la possibilità e la capacità di memorizzare piú facilmente quando si è dormito. Lo stesso vale per altre attività dell’anima.

 

Nel sonno

 

Ma potremmo facilmente convincerci che sarebbe impossibile imparare qualcosa, acquisire qualcosa in cui l’anima abbia qual­cosa da fare, se non potessimo sempre integrare il sonno nei nostri ritmi di vita. La conclusione naturale che si deve trarre da questi fenomeni è che la nostra anima ha bisogno di allontanarsi dal corpo di tanto in tanto per attingere forza da una zona che non è all’interno del corpo, perché all’interno del fisico le forze ne­cessarie si stanno esaurendo. Dobbiamo immaginare che al mat­tino, quando ci svegliamo dal sonno, dallo stato in cui eravamo abbiamo portato con noi la forza per sviluppare capacità che non potremmo sviluppare se fossimo sempre legati al nostro corpo. È cosí che l’effetto del sonno si manifesta nel nostro essere ordi­nario, se vogliamo pensare lucidamente e con spregiudicatezza.

 

Ciò che si manifesta in generale in questo modo e per il quale, se si rimane nella vita ordinaria, è necessaria un po’ di buona volontà per mettere insieme i singoli aspetti, si manifesta in modo chiaro e distinto quando l’essere umano subisce evoluzioni che possono condurlo a una vera comprensione della vita spirituale. Vorrei dire qualcosa su ciò che accade quando l’essere umano ha sviluppato nel­l’anima le forze latenti per raggiungere quello stato in cui non può percepire attraverso i sensi e comprendere attraverso l’intelletto. Maggiori dettagli in merito seguiranno nella lezione “Come si acquisisce la conoscenza del mondo spirituale?”, dove i metodi saranno discussi in modo abbastanza completo. Ora, però, vanno sottolineate alcune esperienze che può fare chi si sottopone davvero a questi esercizi che dotano la sua anima di occhi spirituali, per cosí dire, di orecchie spirituali, attraverso le quali può vedere il mondo spirituale, che non è un oggetto di speculazione, ma proprio un oggetto tanto quanto lo sono i colori e le forme, il caldo e il freddo e i suoni per la persona che percepisce attraverso i sensi. Le conferenze precedenti hanno già rivelato come si raggiunge la vera chiaroveggenza. Questo sviluppo spirituale, questi esercizi, consistono in realtà nel fatto che l’essere umano porta fuori di sé qualcosa che ha dentro di sé, acquisisce altri organi di conoscenza, fa per cosí dire un salto oltre l’anima com’è nel suo stato normale e percepisce cosí un mondo che è sempre intorno a lui, ma che non può essere percepito nello stato normale. Tuttavia, quando una persona si sottopone a questi esercizi, prima di tutto il suo sonno si modifica. Chiunque abbia fatto una vera ricerca spirituale lo sa. Ora parlerò del primo stato di cambiamento del sonno di un ricercatore spirituale realmente chiaroveggente.

 

I primi inizi di questa possibilità di ricerca spirituale non fanno apparire l’essere umano molto diverso dal normale stato di coscienza. Infatti, quando l’uomo intraprende gli esercizi di cui parleremo piú avanti, all’inizio dorme come qualsiasi altro uomo ed è incosciente come qualsiasi altro uomo. Ma a chi si è sottoposto agli esercizi spirituali, il momento del risveglio rivela qualcosa di molto speciale. E vorrei illustrarvi alcuni fenomeni molto concreti, che sono dei dati di fatto.

 

Supponiamo che una persona che fa questi esercizi stia pensando intensamente a qualcosa a cui potrebbe pensare anche un’altra persona; avendo davanti a sé un problema molto difficile, cerca di mobilitare tutte le sue forze mentali per venirne a capo. Può sentirsi come uno scolaretto: la sua forza mentale non è sufficiente per risolvere il problema. Questo può certamente accadere. Se, grazie ai suoi esercizi, ha già una maggiore esperienza degli stati mentali interiori in connessione con quelli fisici, allora quando non può fare una cosa, avverte qualcosa di molto speciale. Sente in modo diverso dal solito la resistenza dei suoi organi fisici, per esempio del cervello. Sente davvero come se il cervello gli opponesse resistenza, per esempio proprio come noi sentiamo resistenza quando vogliamo piantare un chiodo con un martello troppo pesante. È a questo punto che il cervello inizia ad acquisire una realtà. Quando una persona usa abitualmente il suo cervello, non lo sente come quando usa uno strumento, come per esempio nel caso di un martello. Il ricercatore spirituale sente il suo cervello, si sente indipendente dal suo pensiero. Questa è un’esperienza. Ma quando non riesce a risolvere un compito, sente che per certe attività, che deve svolgere mentre pensa, non ha piú la possibilità di svolgerle. Perde il potere sullo strumento e lo sente molto chiaramente. Questo è un fatto che si può sperimentare molto facilmente.

 

Se però il ricercatore spirituale ha un problema, ci dorme su e si risveglia, molto spesso può accadere che si senta all’altezza del compito senza ulteriori indugi. Ma allo stesso tempo sente con precisione di aver fatto qualcosa prima del risveglio, di aver fatto del lavoro. Sente che durante il sonno è stato in grado di portare qualcosa dentro di sé alla mobilità, all’attività. Per lo stato di veglia, è stato costretto a usare il cervello. Questo lo sa. Non può fare a meno di usare il cervello quando è sveglio. Ma non poteva piú usarlo correttamente perché – come ho descritto – il cervello gli opponeva resistenza. Nello stato di sonno percepisce che non è dipeso dal cervello. È riuscito a creare una certa mobilità senza il cervello, troppo stanco o troppo impegnato. Ora sente qualcosa di molto particolare: percepisce l’attività che svolgeva nel sonno, ma non direttamente. Nel sonno, il Signore lo concede ai Suoi. Non gli viene risparmiato il fatto che ora deve risolvere il problema nello stato di veglia. Può capitargli, ma di solito non è cosí, e soprattutto non è cosí per le cose che ora devono essere risolte dal cervello.

 

La costruzione del cervello

 

Allora l’uomo sente qualcosa che nel mondo dei sensi non ha mai conosciuto prima, sente la propria attività come se vivesse in quadri, in strane immagini che sono in movimento, come se i pensieri di cui ha bisogno fossero esseri viventi che entrano in ogni tipo di relazione tra loro. Sente quindi la propria cosiddetta attività di pensiero, che ha esercitato nel sonno, come una sequenza di immagini. Questa sensazione è difficile da descrivere, perché vi si è invischiati in un modo molto particolare che fa dire a se stessi: sei tu stesso! Ma d’altra parte, potete discernere questa sensazione da voi stessi in modo molto preciso, cosí come si può distinguere un movimento esterno che si fa da sé. Avete quindi immagini, immaginazioni di un’attività che è stata svolta prima che vi svegliaste. E ora potete rendervi conto, se avete imparato a prestare attenzione a voi stessi, che queste immagini di un’atti­vità che si è svolta prima del risveglio si connettono con il vostro cervello e lo rendono uno strumento piú flessibile, piú efficiente, cosí che siete in grado di portare a termine qualcosa che prima non potevate fare perché c’era una resistenza, come per esempio pensare a certi particolari pensieri. Si tratta di cose sottili, ma senza le quali non si riesce a capire il segreto del sonno. Si ha quindi la sensazione di non aver svolto un’attività come nella veglia, bensí un’attività che è servita a ripristinare alcune cose nel cervello che erano inutilizzate e di aver ricostruito lo strumento come non lo si poteva costruire prima. Ci si sente come un maestro costruttore dei propri strumenti.

 

La sensazione che si prova durante un’attività di questo tipo è molto diversa da quella che si prova durante un’attività giornaliera. Per quanto riguarda l’attività del giorno, si ha una sensazione che può essere paragonata a quella di disegnare qualcosa da un modello o da una sagoma. In questo caso sono costretto a seguire il disegno che mi sta davanti in ogni tratto o macchia di colore. Nelle cose che appaiono come immagini al momento del risveglio e che visualizzano, per cosí dire, un’attività svolta durante il sonno, si ha la sensazione di inventare le linee da sé e di creare le figure da sé senza essere vincolati a un modello. Con una simile rappresentazione si ha, per cosí dire, intercettato ciò che l’anima faceva prima di svegliarsi: si è intercettata l’attività di rigenerazione del cervello. Perché a poco a poco ci si rende conto che ciò che si sente come una sorta di involucro degli organi cerebrali con ciò che si ricorda come figure, non è altro che una ricostruzione di ciò che è stato distrutto durante il giorno. Vi sentite davvero come un maestro costruttore di voi stessi.

 

Ora, la differenza tra un ricercatore spirituale che percepisce tutto questo e una persona comune consiste solo nel fatto che il ricercatore spirituale lo percepisce, mentre la persona comune non riesce a prestarvi attenzione e quindi non lo percepisce. Perché la stessa attività che viene svolta dal ricercatore spirituale viene svolta da ogni essere umano, solo che la persona comune non coglie il momento in cui durante il sonno gli organi vengono ricostruiti dall’attività.

 

Prendiamo un’esperienza di questo tipo e confrontiamola con quanto abbiamo detto prima, con l’offuscamento e l’oscuramento, con la diminuzione della chiarezza della vita quotidiana dell’im­maginazione quando ci addormentiamo. Quest’ultimo fenomeno può essere visto nella giusta luce solo se ci si libera dalle idee molto suggestive di ogni visione del mondo che crede di basarsi sul solido terreno della scienza naturale, oppure se si accettano davvero i risultati offerti dalla ricerca naturale attuale. Per esempio, nel caso della ricerca sul cervello, le persone che pensano in modo piú accurato sulla base dei risultati della ricerca naturale, non possono far altro che ammettere l’indi­pendenza dell’anima dal corpo.

 

William Hanna Thomson Il cervello e l'uomo

 

È molto interessante che sia apparso di recente un libro popolare in cui so­stanzialmente tutto ciò che riguarda la vita spirituale e le fonti della vita spi­rituale è esposto in modo errato, completamente privo di intuizione. Però in questo libro “Il cervello e la personalità” di William Hanna Thomson vengono dette anche molte cose molto intelligenti. Tratta soprattutto della ricerca con­temporanea sul cervello e di alcune altre cose, per esempio i sintomi della fatica, che – come ho spesso sottolineato – sono molto istruttivi. Ma ho già spiegato che i muscoli o i nervi non si stancano in nessun altro modo se non attraverso l’attività cosciente. Finché i nostri muscoli servono solo all’attività organica, non possono stancarsi, perché sarebbe grave se, ad esempio, il muscolo cardiaco e gli altri muscoli dovessero riposare. Ci stanchiamo solo quando svolgiamo un’attività che non è pro­pria dell’organismo, cioè quando svolgiamo un’attività che appartiene alla vita cosciente dell’anima. Bisogna quindi dire che, se la vita dell’anima fosse generata dall’essere umano allo stesso modo del­l’attività del cuore, allora questa enorme differenza tra l’affaticarsi e il non affaticarsi sarebbe in­spiegabile. Ecco perché l’autore di questo libro si sente costretto ad ammettere che l’anima si collega al corpo come il cavaliere al cavallo ed è cioè completamente indipendente dal corpo. Si tratta di una enorme concessione da parte di una persona con mentalità scientifica. Si possono provare sensazioni piuttosto particolari quando un uomo, costretto dalla scienza naturale del presente, arriva ad ammettere a se stesso che il rapporto della vita spirituale con quella fisica deve essere pensato all’incirca come il rapporto del cavaliere con il cavallo, cioè secondo la rappresentazione del centauro, che si immaginava nei tempi passati, quando ancora si guardava di piú allo spirituale. Non c’è nulla che dimostri che l’autore di questo libro avesse questo in testa, ma questo pensiero salta fuori ancora una volta at­traverso l’immaginazione scientifica e si ha la sensazione di idee simili che provengono da tempi in cui per molte persone era ancora presente una certa chiaroveggenza. Certe idee attuali sul centauro sembrano tuttavia rispecchiare meglio ciò che mi disse una volta un signore. La persona in questione affermò: «I Greci videro gli Sciti o altri popoli a cavallo provenienti dal Nord, ma forse li videro emergere dalla nebbia, per cui non riuscirono a distinguere esattamente quelle figure e quindi pensarono che facessero parte del cavallo». Il materialista potrebbe essere soddisfatto da una simile spiegazione. Ma è proprio la ricerca scientifica di oggi che ci spinge ad ammettere l’indipendenza dello spirituale dal fisico.

 

Sciti

 

Potremo notare certamente una cosa, e potremo perseguirla meglio, se richiamiamo alla mente alcuni fenomeni che non sono abituali, ma tali fenomeni in fondo esistono e non si possono negare. Lo scienziato spirituale conosce la vicenda di come un semplice uomo di campagna nell’ora della sua morte iniziò improvvisamente a parlare in latino che non aveva mai usato prima e si poteva dimostrare che da piccolo l’aveva sentito solo una volta in chiesa. Questa non è una favola, ma una realtà. Certo, non ha capito nulla di quanto ha sentito e recitato. Ma è la verità. Ogni essere umano dovrebbe da questo farsi l’idea che ciò che ci colpisce dall’ambiente circostante contiene qualcosa di molto diverso da ciò che assorbiamo nella nostra coscienza ordinaria. Infatti, ciò che portiamo nella nostra coscienza ordinaria dipende in molti modi dall’educazione che abbiamo, da ciò che comprendiamo e da cose simili. Non è però solo ciò che comprendiamo che si unisce a noi, ma abbiamo in noi la possibilità di accogliere infinitamente di piú di ciò che assorbiamo consapevolmente. Possiamo persino osservare in ogni essere umano come, in certi momenti, sorgano in lui idee che, quando le ha sperimentate qui o là, non sono state percepite in modo cosí forte, tanto che potrebbe non essere piú in grado di ricordarle. Ma attraverso alcune cose riappaiono, forse addirittura si mettono al centro della vita dell’anima. Dobbiamo ammettere che ciò che costituisce la dimensione della nostra vita animica è infinitamente di piú di ciò che possiamo assorbire nella nostra coscienza quotidiana e inglobare in essa. Questo è straordinariamente importante. Infatti, orienta il nostro sguardo, per cosí dire, verso un essere interiore dentro di noi che, in realtà, può fare poca impressione sulla nostra fisicità, perché non è stato quasi notato, e che, invece, vive dentro di noi. In questo modo veniamo a conoscenza dei fondamenti della nostra vita animica, che dovrebbero essere presenti in ogni persona sensibile. Ogni persona ragionevole dovrebbe in effetti dire a se stessa: ciò che c’è nel mondo intorno a sé per la sua coscienza, mentre guarda consapevolmente il mondo, dipende fondamentalmente dall’equipaggiamento dei suoi organi di senso e da ciò che può comprendere. E nessuno ha il diritto di voler limitare il reale a ciò che può percepire. Sarebbe del tutto illogico voler negare al ricercatore spirituale l’esistenza di un mondo spirituale dietro il mondo fisico, per la semplice ragione che l’uomo può dire solo ciò che vede e sente e ciò che può pensare e non può mai giudicare ciò che non può percepire. Perché il mondo del reale non è il mondo del percepibile. Il mondo del percepibile è limitato dagli organi di senso. Perciò non si dovrebbe mai parlare – come in senso kantiano – dei limiti della conoscenza, o di ciò che l’uomo potrebbe o non potrebbe conoscere, ma solo di ciò che ha davanti a sé in base ai suoi organi di percezione.

 

 

Rudolf Steiner (Prima parte)

 




 

Conferenza tenuta a Berlino il 24 novembre 1910.

O.O. N° 60. Traduzione di Angiola Lagarde.

Da uno stenoscritto non rivisto dall’Autore.