«Coloro il cui bisogno di causalità è pago quando riesce
a ricondurre i processi naturali a una meccanica degli atomi,
non possiedono l’organo per comprendere Goethe».
Rudolf Steiner
Introduzione agli scritti scientifici di Goethe (O.O. N° 1)
L’autobiografia di Rudolf Steiner, ovvero Mein Lebensgang (O.O. N° 28), in modo piuttosto singolare tradotta in italiano con il titolo La Mia Vita, laddove la corretta traduzione dal tedesco dovrebbe invece essere Il corso della mia vita, non ci fornisce molte informazioni sul tirocinio spirituale e sulla preparazione seguita in gioventú dal Maestro dei nuovi tempi, come Massimo Scaligero ci ha insegnato a chiamare il fondatore dell’Antroposofia. Questo soprattutto a causa del fatto che l’autobiografia del Dottor Steiner è largamente incompleta, in quanto egli dovette interromperla prima a causa dei suoi sempre piú pressanti impegni, poi a causa della malattia contratta nel settembre del 1924 e che ne causerà la morte terrena il 30 marzo del 1925.
Esistono tuttavia altre fonti, estremamente attendibili, dalle quali possiamo ricavare notizie preziose sulle attività spirituali di Steiner durante la propria giovinezza. Innanzitutto molte importanti informazioni ci provengono dalla splendida ed accuratissima biografia del Maestro dei nuovi tempi scritta dalla sua fedele discepola Simonne Rihouët-Coroze (1892-1982): Rudolf Steiner, la vita e l’opera del fondatore dell’Antroposofia, pubblicata nel 1989 dall’editore Nardini di Firenze e tradotta magnificamente dal francese da Marco Tarchi. La Coroze era una cittadina francese, ma essendo nata in Alsazia era di madrelingua tedesca. Ella fu incoraggiata da Steiner ad iniziare a scrivere la sua biografia, per la qual cosa si recava sovente a Dornach allo scopo di apprendere dalla viva voce del suo Maestro gli enigmi che circondano la sua giovinezza. Esistono inoltre molteplici testimonianze dei suoi discepoli (Friedrich Rittelmeyer e sua moglie, oltre a Ita Wegman ed Édouard Schuré) che ci consentono di avere un quadro abbastanza chiaro dei fatti.
Sappiamo infatti che nell’autunno del 1879, nel treno che ogni mattina portava il giovanissimo Rudolf da Neudörfl a Wiener Neustadt, dove frequentava il liceo-ginnasio, egli incontrò il raccoglitore di erbe e guaritore Felix Koguzki (1833-1909), che vendeva le sue erbe ogni venerdí a Vienna. Koguzki era una persona che possedeva quel tipo di coscienza, di natura chiaroveggente, che nell’epoca antica era ancora presente in molte persone. Steiner lo aiutò piú volte a raccogliere erbe e imparò molto dalla sua conoscenza della Natura. Con lui poté parlare a cuor leggero delle proprie esperienze di chiaroveggenza. Felix Koguzki, che ispirerà al Dottore il personaggio dei Drammi Mistero Felix Balde, fu, come lo stesso Steiner spiegò, “l’inviato del Maestro”.
Tale Maestro era una personalità che viveva nel piú completo anonimato, ma in lui albergava quella perenne individualità incarnatasi come Christian Rosenkreuz (e prima ancora come Tubalcain e Hiram-Abif) e successivamente come il conte di Saint-Germain, di cui sia Massimo Scaligero che sua cugina Bianca Maria Scabelloni, detta “Mimma”, avevano un ritratto in bella evidenza nei propri rispettivi studi.
In una conferenza tenuta a Berlino il 23 maggio del 1904 e oggi facente parte di O.O. N° 93 (Die Tempellegende und die Goldene Legende in italiano La Leggenda del Tempio e la Leggenda Aurea), parlando della festa di Pentecoste, Steiner a un certo punto dice: «Cosa simboleggia in realtà la festa di Pentecoste? Il suo principio sottostante, dal quale deriva il suo significato piú profondo, è preservato solo in un manoscritto che si trova nella Biblioteca Vaticana, dove è custodito con la massima attenzione. Questo manoscritto, tuttavia, non parla della festa di Pentecoste, ma di quello di cui la Pentecoste è solo il simbolo esterno. Questo manoscritto non è stato quasi mai visto da nessuno che non sia stato iniziato ai piú profondi misteri della chiesa cattolica, o che sia stato in grado di leggerlo nella Luce Astrale. Una copia di esso è di proprietà di una personalità che è stata molto mal giudicata dal mondo, ma che ora comincia a interessare gli storici odierni. Avrei anche potuto dire “ha posseduto” invece di “possiede”, ma questo creerebbe una mancanza di chiarezza. Perciò dico ancora: una copia è di proprietà del Conte di Saint-Germain, da cui probabilmente provengono le uniche informazioni su questo tema».
Noi sappiamo che Steiner non parlava mai a caso, e che tutto ciò che diceva aveva sempre un profondissimo significato spirituale. Sia Édouard Schuré che Friedrich Rittelmeyer affermano che il loro Maestro spiegò loro, in termini chiarissimi, che il suo perfezionamento occulto era stato compiuto attraverso quella personalità che, nella sua esistenza precedente, era stato conosciuto dagli uomini come il conte di Saint-Germain ma il cui nome, quando egli lo conobbe, Rudolf Steiner non ha mai voluto rivelare. L’intermediario tra il fondatore dell’Antroposofia e questa misteriosa personalità fu, secondo il racconto di Steiner, Felix Koguzki. Fu attraverso i suoi insegnamenti che il fondatore dell’Antroposofia mise a punto quelle meravigliose tecniche interiori che egli ha voluto donare agli esseri umani scrivendo Wie erlangt man Erkenntnisse der höheren Welten? (O.O. n. 10, L’iniziazione. Come si conseguono le conoscenze dei mondi superiori?).
Tuttavia quest’opera viene scritta da Steiner relativamente tardi, ovvero negli anni 1905-1906, quando egli era già il responsabile della sezione tedesca-austriaca e svizzera della Società Teosofica, nonché il direttore della Scuola Esoterica della medesima Società, a quel tempo guidata da Annie Besant. Tutto questo avviene per dei motivi ben precisi, come vedremo tra poco. Terminati, infatti, gli studi liceali, il giovane Steiner si iscrive al Politecnico Universitario di Vienna: lo fa soprattutto per accontentare i genitori Johann Steiner (1829-1910) e Franziska Blie (1834-1918), che desideravano ardentemente che il loro primogenito diventasse un ingegnere ferroviario.
Ma il giovane Rudolf era letteralmente innamorato della Filosofia: in special modo dei grandi esponenti dell’Idealismo Tedesco: Fichte, Schelling e Kant. Perciò egli iniziò a seguire i corsi di Filosofia di Franz Brentano e soprattutto le lezioni di letteratura tedesca tenute da Karl Julius Schröer, che era il massimo studioso di Goethe dell’Impero Asburgico, ed era stato lo scopritore delle rappresentazioni misteriche in lingua tedesca che si svolgevano nella città di Oberufer, vicino a Bratislava, sua città natale.
Fu lui ad insistere affinché le autorità asburgiche onorassero il piú grande poeta di lingua tedesca edificando un suo monumento a Vienna: tale monumento verrà inaugurato proprio il giorno successivo a quello in cui Schröer morí. Il giovane Rudy, come lo chiamavano i suoi familiari e i suoi amici, si legò molto al suo professore e tra i due nacque una profondissima amicizia. Nella propria autobiografia Steiner scrive: «Il mondo spirituale era per me una realtà oggettiva e l’essenza spirituale di ogni essere mi appariva nella piú assoluta chiarezza, essendo il corpo fisico nulla altro che l’espressione di tale essenza spirituale che io percepivo chiaramente. Di quelle essenze spirituali io riuscivo a seguire il cammino dopo la morte fisica. In una occasione, dopo la morte di un mio compagno di corso, mi feci coraggio e ne parlai ad uno dei miei professori per il quale nutrivo, ricambiato, un profondo affetto. Il professore mi rispose assai amichevolmente ma non colse minimamente ciò che gli avevo detto sul mio compagno defunto. Ogni mia visione spirituale riceveva dovunque la medesima accoglienza».
Il professore era Karl Julius Schröer. Egli stimava moltissimo Steiner e ne percepiva la grandezza, ma non poteva seguirlo su un terreno per lui cosí accidentato, tuttavia lo introdusse nel milieu culturale ed artistico della capitale, forse in cuor suo sperando che il giovane Rudolf avrebbe rivolto il proprio interesse ad argomenti piú concreti, ma soprattutto gli insegnò ad amare Goethe e a penetrarne l’opera. Era in particolare lo scienziato Goethe ad interessare il giovane Rudolf, ancor piú che il letterato Goethe. Piú proseguiva nello studio della scienza naturale e della filosofia scientifica, piú il giovane Steiner si rendeva conto che chi vuole ammettere come “scienza” unicamente ciò che si manifesta ai sensi e all’intelletto, non potrà mai riconoscere quella “scienza occulta ” che ai suoi occhi si manifestava con viva chiarezza, né potrà mai attribuire un carattere scientifico a tale scienza occulta. Il ripudio dell’esperienza sovrasensibile da parte dei materialisti nasceva, ai suoi occhi, da una sorta di sentenza arbitraria compiuta tramite un pregiudizio. Ma proprio osservando l’origine ed il significato della scienza nella vita degli uomini si può superare tale pregiudizio. Occorreva, secondo lui, concentrare l’attenzione sul comportamento dell’anima umana e sulla sua attività quando essa acquisisce conoscenze scientifiche. Se ci si abitua a mettere in moto tale attività soltanto quando ci si trovi davanti ad oggetti accessibili ai sensi, sarà facile acquisire l’opinione che la cosa essenziale sia la percezione sensoriale: cosí facendo si trascurerà di rilevare che un certo atteggiamento dell’anima umana è stato finora applicato unicamente alle manifestazioni sensibili.
È però possibile, pensava il giovane Rudolf, andare oltre questa arbitraria autolimitazione e considerare il carattere dell’attività scientifica indipendentemente dal caso particolare della sua applicazione. In tal senso sarebbe stato perciò possibile attuare una conoscenza “scientifica” anche ai fenomeni sovrasensibili, cosí che si realizzasse la possibilità di trattare di cose non percepibili dai sensi allo stesso modo con cui la scienza tratta i fenomeni sensibili. La scienza occulta doveva dunque liberare l’indagine e l’attitudine scientifica dal loro abituale campo di applicazione, pur conservandone le caratteristiche generali di pensiero. Dunque mentre la scienza naturale si limitava con i suoi procedimenti e con i suoi metodi di pensiero ad analizzare la sfera sensibile, Steiner ambiva a creare un metodo che consentisse agli uomini di approdare ad una scienza occulta che considerasse il lavoro dell’anima intorno alla natura come una sorta di auto-educazione dell’anima e che applicasse alla sfera non sensibile ciò che da tale educazione risulta.
Riflettendo sul significato della scienza naturale nella vita umana il giovane studente universitario trovava che tale significato non poteva considerarsi esaurito con l’acquisizione delle conoscenze naturali poiché tali conoscenze non potranno mai condurre ad altro che ad una esperienza di ciò che l’anima stessa non è. L’elemento animico, secondo lui non viveva in ciò che l’uomo arriva a conoscere della natura, bensí nel processo stesso del conoscere. Dunque non è tanto importante l’oggetto del pensiero, quanto piuttosto il meccanismo con cui si compie il pensiero stesso! Gli era parimenti chiaro che per parlare di “scienza occulta” è necessario avere un vigile senso per tutto ciò che di confuso nasce quando ci si occupa dei manifesti misteri e ciò poteva essere realizzabile unicamente applicando ai fenomeni occulti la stessa mentalità che la scienza naturale utilizza nella osservazione dei fenomeni sensibili. “Se voglio consentire a coloro che sono privi di doti di veggenza di aprire lo sguardo nel mondo sovrasensibile, devo offrir loro un metodo che possegga la stessa oggettiva rigorosità e la medesima impersonalità dell’indagine scientifica” pensava Rudolf Steiner durante le sue solitarie riflessioni.
Nel 1884 Schröer raccomandò il suo giovane allievo all’editore Joseph Kürschner, suo buon amico, affinché egli curasse per la collana La letteratura nazionale tedesca la pubblicazione degli scritti scientifici di Goethe. Fu quella la svolta della sua vita: rappresentava un evento veramente incredibile che un giovane studente universitario, non ancora laureato né in letteratura tedesca né in filosofia, venisse prescelto per un incarico cosí importante, ma Schröer era talmente convinto delle qualità del suo allievo ed era talmente influente, da promuovere negli anni successivi anche l’assunzione a tempo pieno di Steiner nel prestigioso archivio di Goethe e Schiller a Weimar. Quindi, nel 1891, il futuro fondatore dell’Antroposofia conseguí la laurea in Filosofia della Scienza presso l’Università di Rostok.
Le pubblicazioni delle opere scientifiche di Goethe in edizione ragionata e correlata da numerose note esplicative andò avanti fino al 1897, sempre con introduzione di Steiner ad ogni nuovo volume: queste introduzioni verranno poi pubblicate in Einleitungen zu Goethes naturwissenschaftlichen Schriften (O.O. N° 1), in italiano pubblicato anche come Le opere scientifiche di Goethe. Tale raccolta di scritti rappresenta il primo proemio alla Filosofia della Libertà.
Il secondo fu Saggi filosofici: Linee fondamentali di una teoria della conoscenza e della concezione goethiana del mondo (O.O. N° 2).
Il terzo è rappresentato da Verità e Scienza (O.O. N° 3) che è la tesi di laurea di Steiner riveduta e ampliata.
Quindi nel 1894 viene pubblicata Die Philosophie der Freiheit. Grundzüge einer modernen Weltanschauung, ovvero La Filosofia della Libertà. Tratti fondamentali di una concezione moderna del mondo (O.O. N° 4). Per comprendere l’importanza fondamentale di tale opera meravigliosa basterà ricordare che, molti anni dopo, quando verrà chiesto a Steiner cosa sarebbe sopravvissuto della sua immensa opera dopo trecento anni, egli risponderà: «Soltanto La Filosofia della Libertà!».
Si trattò di un’opera davvero rivoluzionaria, nella quale Steiner volle giustificare davanti alla filosofia ed al pensiero filosofico tradizionale le due tesi che debbono fungere da base per il pensiero e per l’azione:
1) L’uomo, qualunque uomo, indipendentemente dalle sue facoltà, è perfettamente in grado di conoscere le leggi direttrici dell’universo prendendovi parte attraverso un pensiero svincolato dai sensi, indipendente cioè dal mondo sensibile.
2) Quando l’uomo ha riconosciuto prima ed accettato poi queste leggi direttrici dell’universo, allora egli è interiormente libero cosí come sarà libero nelle sue azioni se agisce in conformità ad esse.
Si trattava di un progetto assai audace, tenuto conto del fatto che il mondo tedesco all’epoca era completamente dominato, dal punto di vista filosofico, dal pensiero di Kant. Il libro non fu quindi accolto con grande favore da pubblico e critica e all’inizio furono vendute solo poche decine di copie. Il testo era rivolto in particolare a Eduard von Hartman, le speranze di Steiner erano che lo comprendesse. Questo non avvenne e Steiner fu escluso dalla cultura di allora, pur con l’ottimo lavoro che fece con le Opere scientifiche di Goethe. In verità questa nota biografica è di non scarsa importanza per capire le successive scelte del Dottore. Il mondo culturale tedesco (di fatto il piú alto nel mondo occidentale), nonostante i suoi grandi Maestri dell’Idealismo, non seppe riconoscere il valore del giovane studioso di Goethe scienziato e della sua visione veramente innovativa. Di fatto introduceva lo Spirito micaeliano, ovvero il Cristo, nella filosofia occidentale. Ma non fu riconosciuto, e quindi Steiner scelse altre vie per portare il suo insegnamento nel mondo, pur avendo la Filosofia della Libertà come centro. Come possiamo non paragonare il rifiuto del mondo culturale tedesco nei confronti di Steiner con il rifiuto (per certi versi ancor piú incomprensibile ed imbarazzante) del mondo antroposofico “ufficiale” nei confronti di Massimo Scaligero, certamente il piú grande continuatore dell’opera del Maestro dei nuovi tempi? Anche in questo caso echeggiano nella nostra mente le parole evangeliche: «È venuto a casa sua ma i suoi non lo hanno conosciuto».
Dobbiamo considerare che dal ciclo Sul mondo astrale e sul Devachan (O.O. N° 88) in poi, e fino a La creazione del mondo e dell’uomo (O.O. N° 354), tutte le conferenze di Steiner erano private, ovvero riservate ai membri della Società Antroposofica (il cui livello medio era ben altro rispetto a quello di oggi) o spesso a singoli ambiti antroposofici: i medici, i sacerdoti della comunità dei cristiani, i membri della classe esoterica, i membri del culto conoscitivo, gli artisti, gli euritmisti, gli insegnanti della scuola Waldorf ecc. Era fuori discussione che tali conferenze potessero essere pubblicate! Ricordiamo cosa Steiner scrive in L’Iniziazione (O.O. N° 10): «Non si deve mai dare un contenuto spirituale a chi non è maturo per accoglierlo».
Prendiamo come esempio la ormai celebre conferenza sui cosiddetti “uomini-locusta”, ovvero gli esseri umani privi di Io che negli ultimi anni è diventata estremamente popolare negli ambienti antroposofici grazie a blog, social network ecc. Ebbene, tale conferenza fa parte del corpus riservato ai sacerdoti della comunità dei cristiani (da O.O. N° 342 a O.O. N° 346) denominata “Die Christengemeinschaft”, ed affidata da Steiner al pastore luterano Friedrich Rittelmeyer. Nessuno però cita il seguente passaggio di Steiner: «…per tali motivi questi individui nei quali non è presente l’organizzazione dell’Io, debbono essere trattati con grande amorevolezza e si deve guardare a loro con la maggiore compassione e con la maggiore indulgenza possibili, dal momento che, essendo essi in un certo senso privi dell’Io, non possono essere responsabili di quello che fanno». È assolutamente fuori discussione che Steiner volesse rendere pubbliche notizie del genere, dal momento che egli ne parlò esclusivamente all’interno della Christengemeinschaft come parlò esclusivamente ai sacerdoti della Comunità dei Cristiani ed ai medici di argomenti legati a quella che egli definí con il termine di medicina pastorale. (O.O. N° 318).
Steiner presupponeva dunque, per i motivi che abbiamo potuto esaminare in precedenza, che prima di affrontare argomenti esoterici delicati le persone avrebbero dovuto costruire solide basi di pensiero, utilizzando lo stesso rigore adoperato dalla moderna metodologia scientifica. Egli cioè concepí un sistema conoscitivo nel quale le regole applicate al mondo scientifico, nel campo della osservazione dei fenomeni naturali, potessero essere utilizzate anche per l’indagine spirituale.
La realtà sovrasensibile doveva dunque essere penetrata con la medesima lucida oggettività con la quale Wolfgang Johannes von Goethe era riuscito a penetrare nel mondo naturale scoprendo l’esistenza delle prime vertebre cervicali (atlante ed epistrofeo) e l’origine di tutti gli organismi vegetali da un antenato comune da lui definito “Urpflanze”, la pianta primordiale: tale intuizione Goethe la ebbe mentre visitava l’orto botanico di Padova.
L’intensa elaborazione della concezione goethiana è non solo il punto di partenza dei lavori epistemologici di Steiner, ma il fondamento dell’intera sua opera.
Come Steiner spiega nel capitolo VIII di Introduzione agli scritti scientifici di Goethe: «L’arte è una delle due rivelazioni della legge primordiale del mondo; l’altra è la scienza». Dunque arte e scienza scaturiscono da un’unica fonte. Di conseguenza la distinzione tra il Goethe scienziato e il Goethe artista, operata dal mondo accademico austriaco e tedesco dell’epoca, è un grave errore di pensiero, poiché arte e scienza in lui si fondono provenendo dalla stessa fonte. Cosí Steiner rafforza i concetti da lui precedentemente esposti attraverso la seguente affermazione dello stesso Goethe: «Penso che la scienza si potrebbe chiamare il sapere delle cose generali, il sapere astratto: l’arte invece sarebbe la scienza adoperata per l’azione. La scienza è ragione e l’arte è il suo meccanismo: per cui l’arte si potrebbe chiamare anche scienza pratica. E cosí infine la scienza sarebbe il teorema, l’arte il problema» (Wolfgang Johannes von Goethe, Detti in Prosa).
Appare dunque evidente, da quanto abbiamo visto, che soprattutto oggi lo studio dell’opera del Maestro dei nuovi tempi dovrebbe partire proprio dai primi quattro volumi della sua Opera Omnia. Ciò è indispensabile, se si vogliono costruire delle solide basi per acquisire un pensiero realmente scientifico-spirituale: altrettanto indispensabile è, a parere dello scrivente, affiancare fin da subito a queste opere quelle di Massimo Scaligero, le quali procedono verso la medesima via indicata da Steiner ne La Filosofia della Libertà.
Fabrizio Fiorini