Se rivolgiamo la nostra attenzione a ciò che finora ha caratterizzato come una sorta di leitmotiv le conferenze di questo ciclo invernale, se guardiamo nell’essere vivente dell’uomo che osserviamo non solo una volta tra la nascita e la morte, ma che supponiamo esista in ripetute vite terrene, allora la questione di ciò che sta alla base dello sviluppo di un uomo nella sua unica vita, in un’incarnazione terrena, ci apparirà come una cosa molto essenziale, soprattutto nel nostro tempo attuale. L’uomo del presente, infatti, si interroga e si informa sulla manifestazione peculiare della disposizione, del talento e dell’educazione dell’uomo. Ma poiché è poco incline a distogliere lo sguardo da ciò che ci appare prendere forma in una vita e a dirigerlo verso l’effettivo costruttore, l’effettivo artefice nell’uomo, le domande di quest’uomo contemporaneo avranno facilmente il carattere della mezza misura, dell’indeterminatezza. Se si parte dal presupposto che nella natura umana c’è qualcosa che attraversa molte vite come una vera e propria forza vitale interiore, solo allora ci si troverà di fronte alla natura del tutto enigmatica, del tutto opinabile di questo essere umano.
Allora si guarderà alle questioni della disposizione, dell’attitudine e dell’educazione in una nuova luce, in una luce completamente diversa da quella che si può avere se si ha in mente solo ciò che il presente mette cosí spesso in evidenza: l’ereditarietà, le qualità ereditate dagli antenati. Non è come se la scienza spirituale volesse distogliere lo sguardo da ciò che si esprime in tali disposizioni ereditarie, come se trascurasse l’attenta osservazione di tutto ciò che i sensi esterni e l’intelletto ad essi rivolto possono dire; ma la scienza spirituale sa che tutto ciò si riferisce all’effettiva natura essenziale dell’uomo come qualcosa che viene utilizzato da quest’ultimo, viene assorbito da esso, proprio come la materia esterna della vita fisica viene assorbita dal piccolo germe di un essere vivente che determina la sua forma da sé, ma che si appropria dall’ambiente circostante di ciò che gli permette di vivere questa forma nella vita esterna: il sostanziale, il materiale. Nel complesso, quindi, dovremo riconoscere una fusione di tutto questo nel modo in cui un essere umano vive una fusione tra ciò che accade alla nascita e ciò in cui è inserita la “natura essenziale e individuale dell’essere umano e da cui trae il suo nutrimento spirituale e animico”.
Se, per esempio, noi educatori ci troviamo di fronte ai compiti di un’anima umana che viene all’esistenza, che sviluppa sempre piú le sue capacità interiori di ora in ora, di settimana in settimana, se ci troviamo di fronte a un essere umano in crescita come a un sacro indovinello che dobbiamo risolvere, che è arrivato a noi dall’infinito, in modo da dargli l’opportunità di dispiegarsi e svilupparsi, allora sorgerà tutta una serie di nuovi compiti, nuovi punti di vista, nuove possibilità per tutto ciò che è umano nell’esistenza.
Vediamo quindi un essere umano che viene ad esistere al momento della nascita e supponiamo che, in un certo senso, egli generi il nucleo del suo essere attraverso la sua nascita. Se non guardiamo agli slogan e alle teorie ma ai fatti, anche lo studio scientifico ci mostra come questo nucleo animico-spirituale dell’essere umano lavori sul bambino anche dopo la nascita, come ciò che ci si presenta come un’organizzazione fisica cambi, si formi plasticamente sotto l’influsso dell’anima spirituale. La scienza può anche mostrarci, ad esempio, come quello che vediamo inizialmente come strumento per le attività esteriori, il cervello, sia al momento della nascita nell’uomo una materia ancora indefinita, ancora plastica, e come poi ciò che egli si sforza di assorbire dallo spirito dell’ambiente circostante penetri nella massa plastica del nostro cervello come farebbe un artista, plasmandolo e formandolo. Se partiamo dal presupposto – che è peraltro un dato di fatto ed è stato spesso citato in altri contesti – che una persona non può acquisire la capacità di parlare se, dopo la nascita, viene posta indifesa su un’isola deserta, allora dobbiamo dire che il contenuto spirituale ed emotivo che ci giunge dalla nascita rivestito di linguaggio non è qualcosa che penetra dall’interno dell’essere umano, che aderisce semplicemente alla sua disposizione, qualcosa che l’essere umano riceve, per cosí dire, senza le influenze del suo ambiente animico-spirituale, proprio come riceve i secondi denti intorno al settimo anno attraverso la sua predisposizione interiore, bensí che il linguaggio è qualcosa che lavora sull’essere umano. È davvero come uno scultore che, per cosí dire, modella il cervello. Possiamo seguire questo modellaggio del cervello nelle prime fasi, addirittura per anni, anche scientificamente, dall’esterno. Se poi si dimostra anatomicamente e fisiologicamente che la capacità dell’uomo di parlare, la sua memoria per certi concetti linguistici è legata a questo o a quell’organo, che ogni parola è conservata come un libro in una biblioteca, allora possiamo d’altronde chiederci: che cosa ha plasmato il cervello in primo luogo? E possiamo rispondere: ciò che era presente come anima spirituale nel patrimonio linguistico dell’organismo dell’uomo.
Questo ci mostra che per quanto riguarda l’intero sviluppo animico dell’uomo dobbiamo distinguere tutto ciò che egli sperimenta nei suoi pensieri, idee e sensazioni – anche nei suoi impulsi di volontà e sentimenti, che rimangono, per cosí dire, solo esperienza interiore – da qualcos’altro che rimane esperienza interiore che interviene nell’organizzazione fisica esterna, la modella plasticamente e la rende solo uno strumento per le future facoltà spirituali o per la futura vita animico-spirituale. Lo vediamo con maggiore chiarezza se, nel corso della vita, seguiamo una delle facoltà dell’uomo, che mostra aspetti diversi, sebbene questi lati diversi siano stati messi insieme piú volte dalla scienza esteriore dell’anima: se seguiamo la nostra memoria.
Quando acquistiamo qualcosa attraverso la memoria, quando memorizziamo, lo acquistiamo attraverso dei mezzi, uno dei piú importanti dei quali è la ripetizione. A quel punto l’abbiamo fatta nostra, possiamo darla via. Ora tutti conoscono una cosa spiacevole: la smemoratezza. Le cose vengono infatti dimenticate di continuo, scompaiono dalla nostra memoria in modo tale che non siamo in grado di riprodurle in un secondo momento. O non potete ricordare quante cose avete dovuto memorizzare e recitare in gioventú e quante non potete piú recitare a memoria ora? Ma tutto ciò che abbiamo memorizzato scompare davvero?
Consideriamo ora solo quello di cui l’uomo dice in seguito: «L’ho dimenticato», cioè quello che non riesce piú a far emergere per poterlo riprodurre. Non c’è proprio piú? È lí in modo simile a qualcosa che abbiamo già menzionato, che viene sempre dimenticato nella normale vita umana: come vengono dimenticate le meravigliose e ricche prime esperienze degli anni dell’infanzia. Nella vita umana normale, fino a un certo punto, ricordiamo soltanto. Prima di questo punto, però, abbiamo avuto un numero infinito di impressioni. Chi non lo ammetterebbe se osservasse davvero senza alcun preconcetto lo sviluppo di un bambino nei primi anni di vita? Ma si dimentica nel senso in cui di solito si parla di oblio. Ma non c’è proprio piú niente? Non esercita piú alcun ruolo nell’animo umano? Sí, ha un ruolo importante nell’animo umano. Infatti, le prime impressioni dell’infanzia, la gioia o la tristezza, l’amore o l’indifferenza, queste o quelle impressioni esteriori, dipendono dallo stato d’animo generale e dall’intera costituzione dell’anima di una persona molto piú di quanto si pensi. Ciò che dimentichiamo nei primi anni di vita, ciò che ci modella e ci forma nell’anima, è piú importante di quanto di solito si riconosca. Lo stesso vale per ciò che impariamo piú tardi: dimentichiamo le parole, i pensieri, ma rimane in noi come un certo stato d’animo dell’anima. Per esempio, se a una certa età una persona ha imparato delle ballate o altre poesie di grandi eroi con compiti molto specifici, qualità molto specifiche, può dimenticare i pensieri, gli eventi e cosí via, in modo da non poterli riprodurre di nuovo; ma ciò che ha imparato rimane nella struttura del suo carattere, forse come forza d’animo, come modo di affrontare la vita e di permettere al piacere e alla sofferenza di farsi strada. Ciò che dimentichiamo diventano stati d’animo, sentimenti, anche impulsi di volontà, che riposano piú o meno inconsciamente nella nostra vita animica, ma che creano e forgiano dentro di noi. Solo a volte, attraverso eventi molto specifici nella vita successiva, viene dimostrato che qualcosa di completamente dimenticato non lo è poi del tutto, che, se si compiono i passi appropriati e si porta davanti all’anima qualcosa di attinente, allora la persona ricorda qualcosa che è stato dimenticato, cosí che si può dimostrare che solo qualcosa è stato spinto come una coperta sopra gli strati subcoscienti della sua vita animica, ma è ancora presente in lui.
Cosí vediamo letteralmente come ciò che dimentichiamo, ciò che svanisce dalla nostra memoria, crea e modella la nostra anima e poi si manifesta nel nostro stato d’animo nei confronti del piacere e della sofferenza, del coraggio o della vigliaccheria o anche della paura e dell’ansia nei confronti della vita. Ciò che, per cosí dire, dal tesoro della memoria vediamo sprofondare nel subconscio, diventa poi creativo nella nostra stessa anima. In sostanza, noi stessi siamo ciò che le cose che abbiamo dimenticato hanno fatto di noi. Perché nel concreto cos’è l’uomo se non il modo in cui può gioire, essere coraggioso e cosí via! Se guardiamo all’uomo non astrattamente ma concretamente, dobbiamo dire che egli è l’intreccio e l’interazione armoniosa delle sue qualità, cosí che l’uomo stesso è condizionato da ciò che scorre negli strati piú profondi della sua coscienza. Lo vediamo durante la vita.
Da tutto ciò che è stato considerato finora e da ciò che deve essere ancora menzionato, si evince che ciò che affonda spiritualmente e mentalmente in strati piú profondi, affonda ancora di piú quando l’essere umano attraversa la porta della morte. Infatti, ogni volta che l’uomo vuole formare nella vita la sua organizzazione fisica esterna attraverso ciò che assume, trova già una certa organizzazione in questa vita. È costituita cosí, in un modo o nell’altro, egli entra nella vita con queste o quelle disposizioni. Perché ogni volta che l’uomo vuole formare nella vita la sua struttura fisica esteriore attraverso ciò che assume, trova già una certa organizzazione in questa vita. Ciò che è creativo nella nostra anima deve essere in grado di combattere contro tutto questo. Supponiamo che una qualità di coraggio possa essere sviluppata in noi attraverso ciò che assorbiamo. Ma se abbiamo un’organizzazione che è piú adatta a farci essere un coniglio che una persona coraggiosa, allora dobbiamo piú o meno scontrarci con ciò che abbiamo nella vita dalla nostra organizzazione.
E quando attraversiamo il periodo tra la morte e una nuova nascita, l’essenza di questo sviluppo umano sta nel fatto che formiamo l’archetipo, la forma originale del nostro nuovo corpo fisico, della nostra nuova organizzazione fisica terrena. Lí non abbiamo limiti e resistenze come quelli che si presentano alla nostra organizzazione nella vita tra la nascita e la morte, lí costruiamo plasticamente con ciò che abbiamo acquisito in vita, cioè le fondamenta, le forze di base per una nuova fisicità entro limiti piú ampi di quanto non avvenga tra la nascita e la morte. Perciò possiamo dire che le idee dimenticate che lavorano sulla nostra anima durante la vita tra la nascita e la morte quando attraversiamo la porta della morte lavorano sulla formazione della nostra prossima organizzazione fino al momento della reincarnazione e lavorano in ciò che è connesso con la nostra nuova organizzazione corporea; cosí che attraverso la nascita passiamo alla nuova esistenza con tali disposizioni che scendono in strati ancora piú profondi del nostro essere rispetto alle idee dimenticate nella vita tra la nascita e la morte.
Da tutto ciò si capirà che l’uomo, avendo tratto dalla vita, dall’ambiente circostante, le cause per l’organizzazione di una nuova corporeità fisica, ha effettivamente bisogno, in un certo senso, delle stesse condizioni. Diverso è il caso dell’animale, che ha determinato la sua organizzazione, come abbiamo visto dalle considerazioni su “anima umana e anima animale” e “spirito umano e spirito animale”, nella linea dell’ereditarietà. Lí l’animale appare con tendenze abbastanza definite che vogliono formarsi plasticamente, perché le inclinazioni non sono ricavate dall’ambiente dell’animale. Consideriamo quanto poco l’animale prenda dal mondo esterno attraverso l’educazione, attraverso l’addestramento, quanto poco abbia bisogno di un’arena che si trovi nel mondo esterno per far emergere di nuovo ciò che ha assorbito in termini di principi educativi.
L’uomo, invece, ha bisogno di un’arena del genere. Perciò entra nel mondo in modo maldestro, cosí che noi abbiamo solo da dare gli ultimi ritocchi alle forme piú fini della sua organizzazione. Da qui la vita e la trama dell’individualità dell’uomo, il suo effettivo essere di base, nei primi anni della sua esistenza! Ecco perché il suo organo spirituale, il cervello, nasce in modo plasticamente determinabile, plasmabile e quindi fondamentalmente solo dopo la nascita gli vengono forniti i percorsi, le linee e le direzioni decisive, come le predisposizioni devono realizzarsi. Da ciò si evince che ciò che è importante nello sviluppo deve essere considerato come qualcosa che proviene da stadi precedenti dell’esistenza e che quindi sarà meno importante avere alcuni princípi educativi irremovibili che considerare ogni singolo essere umano, ogni individualità, come un problema, come un sacro enigma da risolvere; spetta a noi creare le opportunità affinché questo enigma possa essere risolto nel miglior modo possibile. Un’educazione è disagevole se non può stabilire alcun principio fisso, ma deve fare appello nell’educatore a un principio che è in relazione con l’artistico per osservare ciò che emerge dalla natura essenziale dell’essere umano; è piú disagevole che dire in modo prestabilito: in questo o quel modo devono essere espresse queste o quelle capacità. Avremo allora il giusto atteggiamento nei confronti dell’essere umano in crescita, solo se lo considereremo in ogni singolo caso come un’individualità, come qualcosa di speciale a sé stante. Tuttavia, se si vogliono prendere le cose in modo banale – alcune persone hanno un talento per prendere tutto in modo banale – si può dire che l’individualità non è evidente solo negli esseri umani, ma anche in ogni animale. Certo che c’è. Nessuno che parli dalle fondamenta della Scienza dello Spirito lo negherà. Ho detto spesso che, se si parla di individualità in questo senso, bisogna essere piú precisi, bisogna essere consapevoli che se si vogliono prendere le cose alla leggera, si può parlare anche della biografia e dell’individualità della penna. Conoscevo un uomo che – poiché ai suoi tempi i pennini venivano ancora tagliati da penne d’oca – era già in grado di distinguere i pennini, perché, dato che ognuno tagliava i propri pennini, questi avevano sempre un rapporto personale con lui, e poiché la persona in questione aveva un’eccellente immaginazione, avrebbe potuto benissimo scrivere una biografia di ogni singolo pennino con tutti i dettagli. Nel caso degli esseri umani, tuttavia, non si tratta di applicare lo standard della banalità, ma quello che si ricava dalla profondità della conoscenza.
Dato che è proprio attraverso tali osservazioni che si può comprendere il modo in cui l’uomo, forgiando e plasmando il suo essere effettivo, forma plasticamente il suo aspetto esteriore, la sua organizzazione esteriore e quindi vive il suo “essere” effettivo, ora possiamo rivedere come si verifica nei primi anni di vita e viene rimodellato e riorganizzato con lo sviluppo dell’essere umano e con ciò che può assorbire dall’ambiente man mano che si sviluppa. Nei primi anni di vita dell’uomo è particolarmente importante preservare la sua capacità di intervenire in modo plastico, pittorico, nella sua, per cosí dire, organizzazione fisica o fisico-animica e non bloccare la sua capacità di intervenire in modo plastico. Una persona viene bloccata soprattutto quando la imbottiamo troppo presto di concetti e idee che si riferiscono solo a una sensorialità esteriore e hanno contorni piú rigidi, oppure quando la inchiodiamo in un’attività che è in teoria limitata a forme molto specifiche. Non c’è variabilità, non c’è modificazione, non c’è nemmeno possibilità di sviluppare le facoltà animico-spirituali, perché l’anima è attiva di giorno in giorno, di ora in ora. Supponiamo che un padre sia una persona terribilmente testarda che ha fatto suo il principio: “Mio figlio deve diventare come me! Mio figlio deve diventare come ero io! Ho fatto scarpe per i miei clienti per tutta la vita ed è cosí che anche il mio bambino deve fare le sue scarpe! Come penso io, deve pensare anche il mio ragazzo!”. Nell’ambiente di questo ragazzo viene introdotta una struttura animicospirituale che lavora sulla sua organizzazione mentale-spirituale nello stesso modo in cui è stato lavorato il padre e il ragazzo viene cosí costretto a forme molto specifiche, mentre dovrebbe essere una questione di esplorazione dell’individualità che nasce per formare l’organizzazione animicospirituale secondo la conoscenza acquisita da essa.
L’istinto educatore dell’umanità, con la coscienza generale ha già creato un mezzo meraviglioso grazie al quale nei primi anni l’uomo è in grado di lavorare sugli aspetti mutevoli, modificabili e mobili dell’animicospirituale, in modo da lasciare libero spazio alla formazione dell’essere umano. Questo è il gioco. Questo è anche il modo migliore per occupare un bambino: non gli diamo concetti legati a contorni fissi, ma quelli che lasciano spazio di manovra al pensiero, in modo che possa vagare qua e là. Solo cosí si può trovare il corso del pensiero, che è predeterminato dalla disposizione interiore. Se racconto una fiaba in modo tale da stimolare l’attività mentale del bambino, non in modo che i concetti si formino in determinati contorni, ma in modo da lasciare i contorni dei concetti flessibili, allora il bambino lavora nello stesso modo di chi cerca di scoprire ciò che è giusto. Il bambino lavora per scoprire come deve muoversi la sua spiritualità, in modo da poter formare la sua organizzazione nel miglior modo possibile, essendo preformata internamente. E cosí è per il gioco. Il gioco si differenzia dall’attività improntata a forme fisse per il fatto che, in una certa misura, si può fare ciò che si vuole quando si gioca, in quanto fin dall’inizi non si hanno contorni netti nei pensieri e nei movimenti degli organi. Anche questo ha un effetto libero e determinabile sull’organizzazione animicospirituale dell’essere umano. Il gioco e l’attività animicospirituale appena caratterizzati per il bambino nei primi anni nascono da una profonda consapevolezza di quale sia la natura e l’essenza dell’uomo. Per gli anni successivi, chi vuole diventare un vero educatore avrà anche la consapevolezza che ogni singola capacità deve essere prima studiata, riconosciuta e determinata nell’essere umano in via di sviluppo. C’è però ancora la possibilità di osservare alcuni grandi princípi. Tali princípi ci portano poi al modo in cui il nucleo essenziale dell’essere umano, che passa di nascita in nascita, utilizza, per cosí dire, l’esteriore, che si trova nella linea ereditaria.
Rudolf Steiner (1a parte, continua)
Conferenza tenuta a Berlino il 12 gennaio 1911 – O.O. N° 60.
Risposte della Scienza dello Spirito ai grandi problemi dell’esistenza.
Traduzione di Angiola Lagarde. Da uno stenoscritto non rivisto dall’Autore.