È quindi di grande interesse rivolgere la nostra attenzione alla maniera in cui il nucleo animico-spirituale dell’essere umano utilizza in modi molto diversi, per costruire un nuovo essere, le caratteristiche, le qualità, le virtú e cosí via del padre e della madre, degli antenati paterni e materni. Infatti, le qualità paterne e materne non sono utilizzate allo stesso modo dall’essenza individuale dell’essere umano, qui c’è bensí una legge del tutto precisa. Questa legge è in particolare infinitamente istruttiva. Se cerchiamo di coglierla nella sua interezza per vedere attraverso di essa, dobbiamo osservare come nell’anima umana si affermino due cose. La prima è l’intellettualità, alla quale vogliamo aggiungere adesso anche la capacità di pensare piú velocemente o piú lentamente, piú intelligentemente o piú ottusamente in immagini, in idee. L’altra è la direzione generale della volontà e dei sentimenti, gli affetti, l’interesse che nutriamo per ciò che ci circonda. L’intero modo in cui siamo in grado di realizzare qualcosa dipende dal fatto che abbiamo una mente agile o lenta, ottusa o penetrante, che siamo piú o meno percettivi. Ciò che le persone possono fare per i loro simili e il modo in cui lo fanno dipende dal fatto che noi sappiamo combinare nel modo giusto i nostri interessi con ciò che accade intorno a noi. Alcune persone hanno buone condizioni preliminari, ma hanno scarso interesse per i loro simili e per l’ambiente. Il punto è che l’interesse non genera capacità. È quindi necessario considerare l’interesse in noi e se la flessibilità del nostro intelletto ci permette o meno di fare questo o quello per i nostri simili.
Ora, per quanto riguarda l’intero settore degli interessi, possiamo pensare anche al modo in cui sono collegati i desideri dell’uomo, a come viene modellata la gestione esterna di tutta la vita, a come l’uomo si sviluppa in modo abile o meno, in breve, all’intero modo di vivere dell’anima. Questo è collegato ai nostri rapporti con il mondo esterno, con il nostro maggiore o minore interesse e con la nostra competenza per il contesto esterno. Per questo l’uomo prende gli elementi piú importanti nell’eredità dal padre, cosí che gli interessi e ciò che dagli interessi ci rende abili, capaci di usare i nostri organi, il nostro intero essere umano, è di regola ereditato dal padre. L’anima prende dunque dal padre gli elementi corrispondenti per poter sviluppare in sé quelle qualità. Ciò che, invece, costituisce la mobilità intellettuale, con la quale sono connesse anche l’attività immaginativa, la fantasia pittorica e l’inventiva, la nostra individualità, che viene all’esistenza con la nascita, lo si prende in eredità dalle qualità materne. Troverete questo argomento straordinariamente interessante, accennato già in un certo modo da Schopenhauer; egli ne aveva un presentimento, ma non era in grado di evidenziare gli aspetti piú profondi del processo.
Possiamo, d’altra parte, dire anche qualcos’altro. Ciò che vive nel padre come il modo di comportarsi nei confronti delle cose, quali sono i suoi interessi e i suoi desideri nei confronti delle cose, come esige, desidera, vuole, se è una persona che interviene coraggiosamente nelle circostanze della vita o che si ritira docilmente, se è pedante o magnanimo, cioè le qualità che sono connesse con gli impulsi della volontà, le troviamo in un certo modo prese in prestito dal padre. Tutto ciò che, invece, è mobilità dell’anima, intellettualità, lo troviamo che deriva dalla madre. Ora, però, emerge una differenza interessante che si può osservare solo se si guarda all’intero ambito della vita. In tal caso, se ne troverà traccia dappertutto. In particolare, c’è un’enorme differenza per quanto riguarda il sesso. Si può dire che per un figlio il rapporto con il padre e la madre è descritto in modo mirabile nelle parole di Goethe: «Da mio padre ho la statura, la condotta di vita seria» – cioè, tutto ciò che riguarda i rapporti dell’uomo con il mondo esterno «da mia madre la natura allegra, il desiderio di fantasticare», cioè l’intera sembianza della vita spirituale. Ma se adesso osserviamo la figlia, ci appare in modo del tutto straordinario che le qualità paterne appaiono nella figlia in modo tale da essere ora elevate di un grado dalla natura degli impulsi della volontà, dalla natura che nell’anima si esprime maggiormente nel rapporto con l’ambiente. Pertanto – naturalmente questo vale solo a parità di circostanze – si può trovare in un padre, che è sempre coraggioso, che ha un vivo interesse per questo o quello e perciò mette in atto una certa serietà nei suoi rapporti con l’ambiente circostante, che queste qualità vengono assunte dall’individualità della figlia in modo tale da essere innalzate a livello dell’anima, si può trovare che ci sia una figlia con una vita dell’anima importante, con una vita caratteriale del padre che è stata trasferita nell’anima, che rende piú flessibile ciò che forse è difficile far fluire nel padre, cosí che le qualità piú importanti, che incontriamo piú esternamente nel padre, si mostrano piú interiorizzate nella figlia.
Possiamo pertanto dire che i tratti del carattere del padre vivono nell’anima della figlia, i tratti dell’anima della madre, la prontezza della mente e i talenti e le capacità che possono essere sviluppati vivono nel figlio. La madre di Goethe, la vecchia signora Rat, era una donna che sapeva inventare, la sua immaginazione lavorava nel modo piú meraviglioso. Questa sua capacità è scesa di un livello nel figlio, è diventata un sistema, un’organizzazione, cosí che suo figlio Johann Wolfgang ha avuto la facoltà di dare all’umanità ciò che viveva nella madre. Cosí vediamo come le qualità materne vengono portate ad un livello inferiore nei figli, in modo da diventare capacità organiche, mentre le qualità paterne vengono portate ad un livello superiore dalle figlie, in modo da apparirci interiorizzate, spiritualizzate. Forse nulla è piú caratteristico di questo del bel contrasto di Goethe con la sorella Cornelia, che assomigliava proprio al vecchio consigliere, che era una natura tranquilla e seria, interiorizzata e spiritualizzata, e che quindi poteva essere ciò di cui il poeta aveva bisogno già da ragazzo: una compagna straordinariamente buona. Ora teniamo conto di questo e consideriamo come Goethe, secondo la sua descrizione, non sia riuscito ad avere un rapporto positivo con il padre. Questo perché le qualità paterne erano state esternate nel vecchio consigliere. Goethe aveva bisogno di queste qualità, ma non poteva capirle perché erano presenti in suo padre. Lí erano giuste. Erano diventate la sua anima e vivevano in sua sorella, che poteva quindi essere un’ottima compagna per lui.
Ora, percorrete con me la storia e vedrete come ogni suo passo confermi ciò che ho detto e, come ovunque si abbia un accenno, teoricamente si potrebbe avere conferma di una cosa del genere. La piú bella conferma in questo senso l’abbiamo dalla madre dei Maccabei, che con eroica grandezza lascia che i suoi figli affrontino la morte per ciò che lei crede e per ciò che credevano i loro padri, con le grandi, bellissime parole: «Io vi ho dato il corpo fisico, ma Colui che ha creato il mondo e l’uomo vi ha dato ciò che io non ho potuto darvi, e farà in modo che lo riceviate di nuovo se lo perdete per la vostra fede!».
Quante volte nella storia ci viene riproposto l’elemento materno: dalla madre di Alessandro e dalla madre dei Gracchi fino ai nostri giorni, quando vediamo come nell’uomo appaiano delle qualità, come quest’uomo sia in grado di agire sull’ambiente, che abbia i poteri e i talenti e anche l’organizzazione fisica e spirituale per farlo. Potremmo cercare la storia di uomini importanti ovunque vogliamo: dappertutto troveremmo le qualità materne tradotte in modo tale che sono scese di un gradino, che sono diventate capacità messe in pratica nella vita. Prendiamo l’esempio della madre e del padre di Bürger, dal quale aveva ereditato anche la volontà. Fondamentalmente, egli aveva poco in comune con il padre; quest’ultimo era felice quando non doveva preoccuparsi dello sviluppo del bambino; la madre, invece, aveva una mente meravigliosamente agile; era lei a possedere la giusta espressione grammaticale e stilistica. Anche questo era necessario per il poeta; egli ereditò queste qualità dalla madre e si realizzarono proprio perché egli apparteneva alla generazione successiva.
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Friedrich Hebbel
Oppure pensiamo all’atteggiamento di Hebbel nei confronti del padre. Chi conosce a fondo il poeta Hebbel, sente già l’eco dell’eredità paterna in tutte le dure idiosincrasie e la testardaggine dei suoi atteggiamenti. Il vecchio mastro muratore Hebbel ha trasmesso molto al figlio sotto questo aspetto. Ma il figlio e la madre si sono capiti, ed è stata la madre a evitare che Hebbel diventasse un mastro muratore nel suo villaggio natale, invece di regalare in seguito i suoi drammi all’umanità. È commovente leggere come Hebbel stesso racconta nei suoi meravigliosi diari cosa lo legava alla madre.
Questi esempi potrebbero essere moltiplicati all’infinito. Ma non dobbiamo trarre la conclusione che le cose siano sbagliate perché crediamo di osservare qua e là nella vita qualcosa di diverso. Sarebbe come se qualcuno dicesse: «I fisici ci dimostrano la legge di gravità; io ora dimostrerò loro, installando ogni tipo di dispositivo, che si può influenzare la legge». Le leggi non ci permettono di prendere in considerazione ogni circostanza, ma di tenere d’occhio ciò che viene messo in discussione. È cosí che dobbiamo fare nelle scienze naturali, è cosí che dobbiamo fare nelle scienze umane. Ma la scienza spirituale non è ancora abbastanza avanzata per procedere nello stesso modo. Se ne teniamo conto, troveremo confermata ovunque la suddetta legge dell’ereditarietà paterna e materna. Ma se guardiamo all’insieme dell’essere umano, dobbiamo avere chiaro che ciò che chiamiamo anima umana e che vive nell’insieme dell’organizzazione corporea e animica dell’essere umano non è nulla di semplice. Di nuovo e senza riserve si può essere banali e dire: «Perché voi antroposofi avete piuttosto la fissazione di distinguere nell’anima tre componenti e addirittura molte componenti nella natura umana? Parlate di un’anima senziente, di un’anima razionale e di un’anima cosciente. Sarebbe molto piú semplice parlare dell’anima come di un’entità unificata in cui hanno luogo il pensiero, il sentimento e la volontà – è certamente piú semplice, piú comodo – e anche piú banale. Ma allo stesso tempo, questo è qualcosa che la visione scientifica dell’essere umano non può davvero sostenere. Non è infatti dal desiderio di classificare e formulare molte parole che nasce la divisione dell’anima umana in anima senziente, cioè la parte che per prima entra in contatto con l’ambiente e riceve percezioni e sensazioni dall’esterno, in cui si sviluppano anche desideri e istinti e che va poi separata dalla parte in cui, in un certo senso, ciò che è stato recepito è già stato elaborato. Mettiamo in attività la nostra anima senziente confrontandoci con il mondo esterno, ricevendo da esso impressioni cromatiche e sonore, ma anche lasciando emergere ciò su cui inizialmente, come persone normali, non abbiamo alcun controllo: i nostri istinti, desideri e passioni. Ma quando ci ritiriamo ed elaboriamo dentro di noi ciò che abbiamo assorbito attraverso le nostre percezioni e cosí via, in modo che ciò che è stato stimolato in noi dal mondo esterno si trasformi in sentimenti, allora viviamo nella nostra altra anima: vitale, senziente o di sentimento. E nella misura in cui siamo noi che dirigiamo e guidiamo i nostri pensieri e non siamo guidati da redini, viviamo nell’anima cosciente.
Nella Scienza occulta (O.O. N° 13) o nella Teosofia (O.O. N° 9) vedrete che le tre parti dell’anima hanno molte piú relazioni – di tipo diverso – con ciò che è nel mondo esterno, non perché ci divertiamo a classificarli, ma perché quella che chiamiamo anima senziente è in relazione con il cosmo in un “modo completamente diverso” da quella che chiamiamo anima cosciente.
È l’anima cosciente che isola l’essere umano, che lo fa sentire all’interno come un essere chiuso. Quella che chiamiamo razionale lo mette in relazione con l’ambiente circostante e con l’intero cosmo, rendendolo un essere che appare come un estratto, come un confluire del mondo intero. Attraverso l’anima cosciente l’uomo vive in se stesso, si isola. La cosa piú importante che si sperimenta nell’anima cosciente è ciò che è l’ultima delle facoltà che si sviluppa nell’essere umano: la capacità di pensare logicamente, avere opinioni, pensieri e cosí via. Questo risiede nell’anima cosciente. Per quanto riguarda queste qualità, il nucleo individuale dell’essere umano, che viene all’esistenza attraverso la nascita, è di fatto il piú predisposto all’isolamento che si presenta alla nascita. Questo nucleo piú intimo dell’essere si sviluppa molto tardi nell’uomo. Mentre il suo involucro, la sua organizzazione corporea, emergono per primi, la sua effettiva individualità emerge per ultima. Ma cosí com’è oggi – era diverso in passato e sarà diverso in futuro – l’uomo sviluppa le sue opinioni, i suoi concetti e le sue idee nella parte piú isolata del suo essere: la capacità di pensare logicamente, di avere opinioni, pensieri e cosí via. Questi hanno quindi un’influenza minima sull’intera struttura e sulla formazione della personalità complessiva, ed emergono come disposizione solo quando la personalità complessiva è saldamente stabilita, plasticamente formata.
Allora là vediamo come i talenti dell’essere umano si sviluppino in un certo ordine. Vediamo innanzitutto ciò che vive nell’elemento meno isolato e separato dell’essere umano, nell’anima senziente o istintiva. Questa ha però anche il maggior potere di intervento sull’intera organizzazione umana. Possiamo quindi vedere come siamo minimamente in grado di avvicinarci al bambino con opinioni, teorie e idee quando quest’anima senziente vuole esteriorizzarsi piú intensivamente dall’interno. Possiamo avvicinarci al bambino solo se permettiamo all’anima senziente di fare il suo lavoro – come descritto nel mio libro L’educazione del bambino dal punto di vista della Scienza dello Spirito (O.O. N° F 530) – questo è particolarmente importante nei primi anni di vita, non sviluppando teorie e insegnamenti, ma incoraggiando il bambino a imitare, dando l’esempio di ciò che dovrebbe imitare. Ciò è di infinita importanza, perché l’istinto di imitazione è una delle prime facoltà su cui si può agire. Le esortazioni e gli insegnamenti hanno il minimo effetto in quel momento. Il bambino imita ciò che vede perché si forma nel modo in cui deve formarsi in base al suo rapporto con il mondo esterno. Poniamo le prime basi per l’intera natura personale del bambino quando nei primi sette anni di vita diamo l’esempio di ciò che il bambino può imitare, quando intuiamo come dobbiamo comportarci nell’ambiente del bambino. Questo è tuttavia un principio educativo alquanto strano per molte persone. Perché la maggior parte delle persone chiede come deve comportarsi il bambino ed ecco che arriva la Scienza dello Spirito con le sue esigenze: le persone devono imparare dal bambino come comportarsi nel suo ambiente, perfino per le parole, gli atteggiamenti e i pensieri! L’anima del bambino, infatti, è molto piú sensibile di quanto si creda, soprattutto piú ricettiva dell’essere umano adulto. Ci sono persone con una certa sensibilità che si accorgono subito di quando, ad esempio, arriva qualcuno che guasta il buon umore. Questo accade soprattutto con i bambini, nonostante il fatto che oggi si presti loro poca attenzione. E non dipende tanto da ciò che si fa in concreto, quanto dal tipo di persona che si cerca di essere, dai pensieri e dalle idee che si hanno. Non basta dissimulare ai bambini e permettersi pensieri che non dovrebbero essere per loro, occorre vivere i nostri pensieri in modo tale da avere la sensazione che possano e debbano convivere con il bambino. È difficile, ma è giusto!
Poi, quando è avvenuto il cambio di denti – si può chiamare allora costruire su di esso – si prende in considerazione non piú ciò che la persona fa, ma ciò che la persona cova come personalità: la costruzione sulla base dell’autorità.
Questa è la cosa piú importante che il bambino nei primi anni di vita possa sperimentare, cioè di cosa parliamo, cosa facciamo e pensiamo, e che nel secondo periodo senta in noi una persona su cui basarsi, in modo da poter dire: quello che fa è buono! Non che dal settimo al quattordicesimo, sedicesimo anno di vita diamo al bambino l’esortazione secondo il principio dello sviluppo di una teoria morale, gli mostriamo che questo va fatto, questo va evitato, bensí gli diamo il piú grande tesoro quando egli può avere la sensazione per l’anima cosciente o razionale: “ciò che fa la persona accanto a me è bene; io devo astenermi da ciò da cui lui si astiene!”. Questo ha un’infinita importanza.
Non è prima del quattordicesimo o sedicesimo anno che l’uomo comincia a essere in grado di costruire sulla parte piú isolata del suo essere, sull’anima cosciente, cioè su ciò che si forma nell’anima cosciente: sulle sue opinioni, concetti e idee. Ma questi devono prima avere una base solida, e questa deve essere creata. Se non la creiamo realizzando l’opportunità attraverso l’educazione, come l’individualità ci permette di riconoscere, se non creiamo cosí un percorso libero per lo sviluppo, allora l’uomo sarà afferrato da un altro elemento: dalla forza della natura del suo involucro. A questo punto si esteriorizza; allora non interviene la sua individualità, che passa di vita in vita, ma diventa schiavo della sua organizzazione corporea, che soggioga l’uomo dall’esterno. L’uomo lo dimostra con il fatto che non è padrone nella sua parte animico-spirituale, ma è completamente dipendente dalla sua organizzazione animico-co-corporea, mostrando qualità rigide e immutabili. Una persona, invece, in cui ci siamo preoccupati di far emergere il piú possibile i suoi talenti, mantiene una certa flessibilità per tutta la vita e può ancora in età avanzata trovare la sua strada in nuove situazioni. Nell’altro, invece, l’organizzazione si esteriorizza, acquisisce forme rigide, e la persona le conserva per tutta la vita. Viviamo in un’epoca in cui l’individualità dell’uomo è poco valorizzata, e quindi c’è poca possibilità di convincersi che l’individualità è ancora flessibile e vivace in età avanzata e può trovare la sua strada in nuove situazioni e verità. Questo ci porta a un capitolo in cui vediamo come alcune persone debbano semplicemente affrontare la vita.
Quante persone si sforzano di persuadere gli altri di una visione del mondo, una volta che ne sono diventate convinte. Credono che sia un’impresa molto lodevole quando dicono: poiché lo vedo cosí chiaramente, dovrei essere in grado di portare tutti a questa convinzione! Ma questa è ingenuità. Le nostre opinioni non dipendono dal fatto che qualcosa sia logicamente provato. In pochissimi casi ciò è possibile. Perché le opinioni e le convinzioni dell’uomo si formano su substrati ben diversi della sua anima: sulla sua natura volitiva, sulla sua natura affettiva ed emotiva, cosicché un uomo può comprendere abbastanza bene le vostre argomentazioni logiche, può cogliere le vostre conclusioni astute, e poi non le recepisce affatto, per la semplice ragione che ciò che un uomo crede e ciò che professa non proviene dalla sua logica e dalla sua comprensione, ma proviene dalla personalità nel suo complesso, cioè da quelle parti dove sorgono la volontà e la mente. Il pensiero, invece, è la parte di noi che emerge piú tardi di tutte le nostre disposizioni, quando l’organizzazione del corpo è stata completata da tempo. Questo è il campo piú remoto. È il campo piú isolato, dove abbiamo meno accesso che agli altri. Possiamo ottenere di piú se li raggiungiamo nelle parti piú profonde: nella mente, nella volontà, si interverrà ancora nell’organizzazione. Ma se una persona è cresciuta in un ambito molto materialista, diciamo dove si tiene conto solo della materia, della sostanza, durante la sua crescita si forma una somma di impulsi emotivi e volitivi che plasma la sua fisicità e anche il suo cervello. In seguito, può acquisire un buon pensiero logico, ma questo non interviene piú nella plasticità del suo cervello.
I pensieri logici sono la cosa piú potente dell’anima umana. È quindi particolarmente importante trovare l’accesso agli altri uomini nell’anima, non semplicemente nella logica. Se il cervello di una persona è già stato addestrato in un certo modo, allora questo cervello, che riflette sempre le vecchie idee solo perché è diventato fisico, non riformula piú la logica. Perciò non si può sperare che tali visioni del mondo, che sono costruite sulla logica piú pura e nitida come la Scienza dello Spirito, possano lavorare in modo tale da passare da una persona all’altra per convincerla. Se qualcuno che comprende l’impulso della Scienza dello Spirito crede di poter convincere le persone con la persuasione o con la logica, se qualcuno crede che lo studioso della Scienza dello Spirito si abbandoni a questa illusione, si sbaglia di grosso! Infatti, nella nostra epoca c’è un gran numero di persone le quali, a causa della loro complessiva personalità, della loro volontà e della loro natura emotiva, non vedono cosa siano il mondo spirituale e la ricerca spirituale. Dalla grande massa di coloro che vivono intorno a noi, coloro che hanno l’attrazione per la Scienza dello Spirito si selezioneranno da soli, andranno verso ciò che percepiscono oscuramente, ciò che hanno già nella loro anima. Una selezione, una scelta può avvenire solo in relazione a una visione del mondo costruita su ciò che la pura logica e la coscienza umana possono comprendere. Ecco perché lo studioso della Scienza dello Spirito si avvicina alle persone e sa come differenziarle: c’è qualcuno a cui potete predicare per anni, ma non sarà in grado di rispondere ai vostri discorsi. Dovete prima farglielo capire; potete parlare alla sua anima, ma lui stesso non può rifletterlo con tutto il suo apparato animico, dal suo cervello. L’altro interlocutore è costruito in modo tale da avere la possibilità di rispondere a ciò che la Scienza dello Spirito gli mostra in modo logico e trova quindi anche la via di accesso a ciò che fondamentalmente vive già nella sua anima.
Rudolf Steiner (2a parte, continua)
Conferenza tenuta a Berlino il 12 gennaio 1911 – O.O. N° 60.
Risposte della Scienza dello Spirito ai grandi problemi dell’esistenza.
Traduzione di Angiola Lagarde. Da uno stenoscritto non rivisto dall’Autore.