Mileto e la scuola ionica

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Mileto e la scuola ionica

Teatro di Mileto

Mileto – Il Teatro

I Greci facevano apoikia, letteralmente costruivano “la casa fuori”, una colonia, quando la polis non bastava piú a contenere i suoi abitanti. Il numero ottimale di questi non doveva superare i cinquemila, secondo Platone, e Aristotele aggiungeva che dovevano conoscersi tutti, almeno di vista. Immaginate. Mileto fu il risultato di un’apoikia forzata, potremmo dire karmica. Invisa agli dèi, la flotta di Agamennone, sulla via del ritorno dopo aver distrutto Troia, fece naufragio. I superstiti ripararono sulla costa asiatica e qui, alla foce del fiume Meandro, fondarono la città, che a sua volta, negli anni successivi, diede vita ad altre colonie lungo la costa dell’Asia Minore, a Cipro, a Creta e persino in Egitto. Chi visitasse oggi Mileto, vedrebbe i resti dell’assetto urbano ideato nel 479 a.C. dal celebre architetto Ippodamo, a coprire le rovine dell’abitato arcaico della città distrutta dai Persiani di Ciro (Vedi Leti Messina/urbanistica1 e Leti Messina/urbanistica2).

 

PolenaFondata da guerrieri distruttori, Mileto si portava appresso lo spirito sovvertitore di realtà consolidate. Come la religione. Fu a Mileto che venne messa alla prova quella su cui si era retta da sempre la società ellenica. Nonostante un inveterato pregiudizio storico che li vuole a tutti i costi atei razionalisti, i Greci antichi erano religiosi, nel senso panteistico del termine, semmai con sfumature paniche, ossia il divino, presente in ogni cosa e fenomeno, era inteso in termini naturalistici. In alcun modo il loro concetto del divino fu monoteistico. Un rapporto confidenziale, quasi familiare, improntava il rapporto dell’uomo greco con gli dèi, per il semplice fatto che il loro pantheon, installato sull’Olimpo, quindi in un luogo topograficamente verificabile, non era abitato da entità astratte, metafisiche, ma da personaggi che degli uomini in carne ed ossa possedevano le fattezze anatomiche, e non bastasse, ne esprimevano anche i moti passionali, i tic e i deragliamenti morali. Lo stesso Zeus, il sovrano olimpico, non era di certo un campione di correttezza etica, soprattutto in fatto di questioni sentimentali e carnali, nelle quali dava dei punti al piú trasgressivo degli umani. Quanto alle dee, Afrodite valeva molte Cleopatre. Questo tratto non convenzionale, informale nelle relazioni tra gli uomini e le varie divinità, i Greci lo hanno lasciato in eredità genetica alle genti del nostro Meridione, che arrivano a dare del tu ai santi fino ad apostrofarli con epiteti impertinenti, non sempre rispettosi, qualche volta persino offensivi, come avviene a Napoli, quando le devote “Parenti” di San Gennaro ne sollecitano lo scioglimento del sangue con gli stessi toni fustiganti e vessatori che hanno certi datori di lavoro esigenti con i loro dipendenti fannulloni. La troppa confidenza finisce però con lo sminuire e infine del tutto annullare il carisma della divinità. Talete, Anassimandro e Anassimene, col supporto a latere di Eraclito, indagando sull’origine delle cose, volendo provare che ci fosse un principio, un ente coordinatore del tutto, l’Uno da cui si fosse diramato il molteplice del creato, misero in moto la macchina del libero pensiero, speculando, scrollando a possenti colpi di ariete, a spallate dialettiche, il dorato castello del mito in cui si era rifugiata l’umanità per millenni. Sotto gli assalti della ragione, gli antichi dèi morivano, gli ipogei dei misteri lunari si aprivano alla invincibile luce del Logos. La Scuola di Mileto compiva un sacrificio doloroso ma necessario all’evoluzione dell’intelletto umano, che cosí si sottraeva alla tutela protettiva ma limitante del Padre per quella del Figlio: assoluta libertà di indagare, sceverare, capire. Nell’attesa di recepire lo Spirito. Condizione ultima e risolutiva che si compirà, come racconta Novalis, nel viaggio iniziatico del giovane Giacinto al santuario di Iside a Sais, con il sollevamento del velo che copre la vera identità dell’Io umano. Compito dell’uomo è di accordare quella identità, ritrovata attraverso il pensiero libero dai sensi, allo Spirito del mondo che non è, dice Steiner “nascosto dietro il mondo sensibile ma vive e opera in esso”. L’uomo quindi in sintonia con lo Spirito Creatore. E l’apeiron, il mare dei filosofi di Mileto, pelago senza sponde, finalmente navigabile, scandagliabile. Mai come oggi, la polena del bastimento che porta l’umanità all’approdo finale, verso il compimento del suo destino materico per lo spirituale, ha i tratti dell’Iside Sofia, della Grande Madre soccorrevole.

 

Ovidio Tufelli